Con la Risoluzione sopra citata l’Agenzia delle Entrate è tornata ad occuparsi della problematica relativa ai requisiti dell’attività svolta da un’associazione senza scopo di lucro ai fini della qualificazione della stessa quale attività commerciale o istituzionale. La risoluzione fa seguito alle recenti circolari n. 12 E e 13 E del 12/04/2009 e rientra nel "filone" relativo alla rinnovata e rafforzata attenzione rivolta nei confronti della correttezza nell’utilizzo delle agevolazioni previste dalla legge in favore del terzo settore oggetto dall’art. 30 del D.L. 185/2008 (c.d. decreto anticrisi), sul quale si pone anche la sentenza della Corte di Cassazione n. 22739 del 09.09.2008, citata in altro articolo della presente newsletter.
Al di là del caso specifico oggetto dell’analisi dell’Agenzia delle Entrate – in verità assai particolare e del tutto estraneo al mondo sportivo dilettantistico – l’interesse rivestito dalla risoluzione è relativo alle indicazioni di carattere generale contenute nella stessa ai fini dell’identificazione della commercialità o meno dell’attività svolta da un ente.
1) SINTESI DELLA RISOLUZIONE:
Qualora l’attività svolta da un’associazione, indipendentemente dall’assenza di scopo di lucro prevista dallo statuto e concretamente verificata anche in relazione all’attività esercitata, assuma le connotazioni di un’attività complessa svolta con i caratteri della commercialità, l’associazione stessa non potrà usufruire del regime fiscale agevolato previsto per gli enti non commerciali, ed in particolare per gli enti di natura associativa, dagli articoli 143 e seguenti del T.U.I.R. ai fini delle imposte dirette e dall’art. 4 del D.P.R. 633/1972 ai fini IVA.
Presupposto di carattere generale per l’applicazione delle suddette agevolazioni è infatti – secondo l’Agenzia – la qualificazione dell’ente associativo quale ente non commerciale.
A tal fine non incide la circostanza che lo stesso effettui soltanto le prestazioni individuate nello statuto né assume rilievo che l’ente svolga la propria attività esclusivamente a favore dei propri associati e non anche di soggetti terzi. Ai fini della qualificazione tributaria di un ente come commerciale o non commerciale rilevano, infatti, i criteri dettati dall’art. 73 del T.U.I.R. il quale dispone, fra l’altro, che un ente si considera come "ente non commerciale" quando, a prescindere dalle finalità perseguite e dall’assenza di scopo di lucro, non ha come oggetto esclusivo o principale lo svolgimento di un’attività commerciale.
Per oggetto esclusivo o principale si intende l’attività svolta per realizzare direttamente gli scopi primari dell’ente, così come indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto (cfr. art. 73, comma 4, TUIR). Pertanto, ai fini dell’individuazione della natura tributaria dell’ente rileva il carattere commerciale o non commerciale dell’attività essenziale per realizzare gli scopi statutari, il quale è determinato in base a parametri oggettivi, che prescindono dalle motivazioni del soggetto che la pone in essere.
In sostanza la qualificazione commerciale ai fini fiscali dell’attività svolta deve essere operata verificando se l’attività possa ricondursi fra quelle previste dall’articolo 2195 del codice civile[1] ovvero, quando consista nella prestazione di servizi non riconducibili nel citato art. 2195, se l’attività venga svolta con organizzazione in forma di impresa. Organizzazione che va ravvisata, come precisato dalla Risoluzione n. 286/E del 11 ottobre 2007, quando dette attività vengono svolte con i connotati tipici della professionalità, sistematicità ed abitualità.
A tale fine la ris. 286/E, recependo l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, ha chiarito che la sussistenza del carattere commerciale dell’attività svolta può derivare anche "dal compimento di un unico affare in considerazione della sua rilevanza economica e della complessità delle operazioni in cui si articola, implicanti la necessità del compimento di una serie coordinata di atti economici".
2) SULLA PORTATA GENERALE DEI PRINCIPI INDICATI NELLA RISOLUZIONE E, IN PARTICOLARE, SULL’APPLICAZIONE DEGLI STESSI AGLI ENTI SPORTIVI DILETTANTISTICI
Fin qui, in sintesi, il testo della risoluzione. A questo punto occorre interrogarsi sull’applicabilità o meno dei principi enunciati dalla risoluzione agli enti sportivi dilettantistici.
Innanzitutto va evidenziato che la risoluzione in oggetto è stata emessa a seguito di istanza di interpello ex art. 11, legge 27 luglio 2000 n. 212 (c.d. "interpello ordinario"), e che le risposte a tali istanze non hanno efficacia erga omnes, ma esclusivamente nei confronti del contribuente che ha avanzato l’istanza di interpello, e limitatamente al caso concreto e personale prospettato nell’istanza.
Tale risposta non è giuridicamente vincolante neppure per il contribuente cui è diretta, pur rappresentando, ovviamente, e soprattutto quando assumono la forma di Risoluzione Ministeriale, un autorevole parere dell’Agenzia i cui Organi Ispettivi saranno tenuti a tenere in considerazione in caso di verifica[2].
Peraltro, come anticipato nell’introduzione al presente articolo, il caso specifico oggetto dell’interpello alla base della risoluzione è talmente particolare e lontano dalle problematiche tipiche dello sport dilettantistico che risulta in questa sede superfluo procedere ad un’analisi puntuale dello stesso.
Premesso quanto sopra, non può ovviamente negarsi che i pareri emessi dall’Agenzia delle Entrate attraverso le Risoluzioni e le Circolari Ministeriali rappresentino linee guida di fondamentale importanza nella valutazione dei comportamenti da tenere in situazioni di difficoltà interpretativa delle norme tributarie, soprattutto quando oggetto dell’interpretazione siano agevolazioni fiscali di particolare rilevanza, e, conseguentemente, l’atteggiamento da tenere debba ispirarsi al principio della massima prudenza.
In questo senso i contenuti della Risoluzione 141/E/2009, e soprattutto i principi generali ivi evidenziati, meritano la massima attenzione, a maggior ragione in quanto la stessa fa seguito alle recenti circolari n. 12 E e 13 E del 12/04/2009 e rientra nel "filone" relativo alla rinnovata e rafforzata attenzione rivolta nei confronti della correttezza nell’utilizzo delle agevolazioni previste dalla legge in favore del terzo settore oggetto dall’art. 30 del D.L. 185/2008 (c.d. decreto anticrisi), sul quale si pone anche la sentenza della Corte di Cassazione n. 22739 del 09.09.2008, citata in altro articolo della presente newsletter.
Scendendo sul piano concreto i quesiti da porsi in relazione all’applicabilità dei principi enunciati dalla risoluzione all’attività svolta dagli enti sportivi dilettantistici sono i seguenti:
a) L’attività svolta dai sodalizi sportivi "verso il pagamento di corrispettivi specifici nei confronti dei propri soci, associati e partecipanti nonché nei confronti di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che …… fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale nonché dei rispettivi soci, associati e partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali" [3] è da considerarsi commerciale ogniqualvolta lo svolgimento della stessa avvenga con i connotati di sistematicità ed abitualità?
b) Qualora la risposta al quesito precedente fosse positiva, e nel caso in cui l’attività commerciale dovesse risultare prevalente – quanto all’ammontare dei corrispettivi percepiti – rispetto all’attività istituzionale, il sodalizio potrebbe perdere la qualifica di ente non commerciale ai fini fiscali?
Si tratta di questioni che interessano molte società ed associazioni sportive dilettantistiche, probabilmente la gran parte di esse, e che assumono particolare rilevanza alla luce del nuovo adempimento dell’invio telematico dei dati e delle notizie rilevanti ai fini fiscali previsto dall’art. 30 del c.d. "decreto anticrisi"[4].
Anticipiamo subito, prima di addentrarci nell’analisi delle questioni, che la risposta, in presenza di un sodalizio sportivo in possesso di tutti i "requisiti qualificanti" richiesti dalla normativa tributaria, deve essere negativa in relazione ad entrambi i quesiti [5].
3) SULLA PERDITA DELLA QUALIFICA DI ENTE NON COMMERCIALE DA PARTE DELLE SOCIETA’ ED ASSOCIAZIONI SPORTIVE DILETTANTISTICHE
Cominciamo ad esaminare il secondo dei quesiti sopra evidenziati per sgombrare subito il campo da un pericoloso equivoco a cui potrebbe indurre la lettura congiunta della risoluzione 141/E,e della circolare 12/E:
ai sensi dell’art. 149, c.4, T.U.I.R., così come modificato dall’art. 90, co. 11, L. 27.12.2002 n. 289, le disposizioni che prevedono la perdita della qualifica di ente non commerciale non si applicano alle associazioni sportive dilettantistiche.
Conseguentemente, un sodalizio sportivo che dovesse svolgere, accanto all’attività istituzionale ed al fine dell’autofinanziamento della stessa, un’attività commerciale continuativa ed organizzata, le cui entrate dovessero risultare superiori, anche in misura considerevole, rispetto all’attività istituzionale, non può vedersi disconosciuta, a causa della presenza di tali attività commerciali, la natura tributaria di Ente non commerciale.
Si pensi all’esempio dell’Associazione Sportiva Dilettantistica che gestisca, nell’ambito di un impianto sportivo, un bar/ristorante o, molto più semplicemente, all’Associazione che svolga attività di pubblicità o sponsorizzazione per importi anche rilevanti.
Se il comportamento del legislatore fiscale ha un senso, l’introduzione del comma 4 dell’art. 148 T.U.I.R. sopra citato è chiara espressione della volontà del legislatore stesso di prendere atto della necessità degli enti sportivi di reperire i mezzi finanziari necessari al sostenimento della propria attività attraverso lo svolgimento di attività "profit" al servizio delle attività statutarie "non profit" e di agevolare lo svolgimento di tali attività in considerazione della valenza sociale dello sport dilettantistico[6].
Chiaramente l’agevolazione di cui sopra è subordinata alla condizione che l’Ente Sportivo Dilettantistico sia in possesso di tutti i requisiti richiesti dalla normativa tributaria per definirsi tale (rispetto dei requisiti congiuntamente richiesti dall’art. 90 L. 289/2002 e dall’art. 148 T.U.I.R.) e, soprattutto, che il rispetto degli stessi sia sostanziale e non soltanto formale.
E’ altresì necessario che l’adozione della forma sportiva dilettantistica non costituisca un finzione giuridica finalizzata esclusivamente all’ottenimento dei vantaggi tributari previsti in favore del settore. E infatti evidente che, qualora l’associazione sportiva indichi nel proprio statuto un oggetto "sportivo dilettantistico" (p.es. divulgazione dello sport della pallavolo) ma svolga in realtà esclusivamente un’attività completamente diversa (p.es. gestione di un impianto sportivo con bar-ristorante e centro benessere aperto al pubblico), la "blindatura" costituita dall’oggetto sociale verrebbe travolta e resa inoperante dal fatto che tale statuto non è nella realtà rispettato. Ma siamo nella patologia, non nella vita ordinaria di un sodalizio.
Conseguentemente, le affermazioni
– " ….ai fini dell’individuazione della natura tributaria dell’ente rileva il carattere commerciale o non commerciale dell’attività essenziale per realizzare gli scopo statutari, il quale è determinato in base a parametri oggettivi, che prescindono dalle motivazioni del soggetto che la pone in essere" (ris. 141/E), e
– "…. gli enti di tipo associativo che svolgono in via esclusiva o principale attività commerciale non possono usufruire del regime di favore previsto dall’art. 148 (cir. 12/E)
non valgono quindi per le associazioni sportive dilettantistiche e gli enti ecclesiastici riconosciuti [7].
E’ appena il caso di ricordare che la gestione delle attività commerciali deve essere svolta nel pieno rispetto della normativa civilistica e fiscale prevista per la generalità delle imprese, e che, in presenza della stessa, il sodalizio sportivo deve provvedere a tenere contabilità separata dall’attività istituzionale.
Peraltro, verificandosi i presupposti qualitativi e quantitativi, l’attività commerciale degli enti sportivi dilettantistici può essere gestita attraverso lo speciale regime ex L. 16.12.1991 n. 398.
4) SULLA NATURA COMMERCIALE DELL’ATTIVITA’ SVOLTA IN DIRETTA ATTUAZIONE DEGLI SCOPI ISTITUZIONALI
Si tratta, questo, di un aspetto di grandissima rilevanza, sia in riferimento al nuovo adempimento di comunicazione dei dati e delle notizie rilevanti ex art. 30 D.L. 185/2008 che, soprattutto, per capire l’orientamento dei controlli fiscali sugli enti non commerciali che, come previsto dalla circolare 13/E del 9 aprile u.s., costituiscono uno degli ambiti di accertamento previsti per il 2009 [8].
Oggetto di approfondimento – e di critica – sono in questo caso due affermazioni:
la prima, secondo la quale "In sostanza la qualificazione commerciale ai fini fiscali dell’attività svolta deve essere operata verificando se l’attività possa ricondursi fra quelle previste dall’articolo 2195 del codice civile ovvero, quando consista nella prestazione di servizi non riconducibili nel citato art. 2195, se l’attività venga svolta con organizzazione in forma di impresa. Organizzazione che va ravvisata, come precisato dalla Risoluzione n. 286/E del 11 ottobre 2007, quando dette attività vengono svolte con i connotati tipici della professionalità, sistematicità ed abitualità." Contenuta nella Ris. 141/E,
e la seconda ai sensi della quale costituiscono "operazioni strutturalmente commerciali anche se non imponibili ai sensi dell’art. 148, terzo comma, del TUIR e dell’art. 4 del DPR n. 633 del 1972" [9] le operazioni svolte a fronte di corrispettivi specifici nei confronti di soci, associati etc.
Si tratta, in sostanza, delle attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali quali, ad es, corsi di nuoto, tennis, pallavolo, danza, fitness etc. svolti dai sodalizi sportivi con caratteri di professionalità, sistematicità ed abitualità.
Anche in questo caso le due pronunce di prassi, dovendo una (la Ris. 141/E) disciplinare una fattispecie assolutamente particolare e l’atra (la Circ. 12/E) dare indicazioni relativamente ad un nuovo adempimento (la comunicazione dei dati rilevanti) che interessa la totalità degli enti associativi, non hanno colto la specificità del settore sportivo dilettantistico.
L’art. 148, 3° c, T.U.I.R e l’art. 4, 4° c., D.P.R. 633/1972 sono infatti assolutamente chiari nel definire non commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso il pagamento di corrispettivi specifici, nei confronti di soci, associati …. tesserati.
"Non commerciali" e non "strutturalmente commerciali ma non imponibili" che risulta, a questo punto, una qualificazione del tutto "inventata" dall’Agenzia delle Entrate, uscita dal cilindro dell’autore della circ. 12/E, probabilmente per ovviare ad alcune lacune del Decreto Legge, come è già stato evidenziato in precedenti articoli [10].
La natura "non commerciale" prescinde, a questo punto, dalle caratteristiche di svolgimento dell’attività (professionalità, sistematicità e abitualità) in quanto la norma – che riveste carattere speciale rispetto alla disciplina generale degli Enti non Commerciali) – richiede esclusivamente che l’attività venga svolta nel rispetto delle seguenti caratteristiche:
a) l’attività deve essere esercitata "in diretta attuazione degli scopi istituzionali";
b) deve essere rivolta alle categorie di fruitori "privilegiati" (iscritti, associati, partecipanti, altre associazioni che fanno parte della medesima organizzazione locale o nazionale, rispettivi associati e partecipanti e tesserati delle rispettive organizzazioni nazionali);
c) lo statuto dell’associazione deve essere redatto nella forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata e registrata e deve contenere le clausole indicate nel comma 8 dell’art. 148 T.U.I.R.
Se l’attività viene svolta nel rispetto dei requisiti sopra indicati (di nuovo: rispetto sostanziale e non soltanto formale) non c’è sistematicità, professionalità o abitualità che tenga: l’attività svolta è comunque non – commerciale.
Si pensi, per fare esempi concreti, alle attività didattiche (scuola nuoto, tennis, sci, etc.) ed amatoriali (corsi di fitness, di danza etc.) svolte dai sodalizi sportivi nei confronti di propri soci o tesserati e dalle quali i sodalizi stessi ritraggono spesso le fonti per finanziare l’attività agonistica o giovanile.
Si ritiene opportuno, per concludere, sollevare l’attenzione sul requisito di cui alla lett. a) di cui sopra, che è stato, peraltro, oggetto di analisi nell’ambito della citata sentenza 22739/2008 della Corte di Cassazione;
se, infatti, i requisiti sub b) e c) sono ormai (si ritiene) sufficientemente chiari ai dirigenti degli Enti Sportivi, non altrettanto si può dire, spesso, per quanto attiene alla lettera a).
Come evidenziato dalla Cassazione, affinché l’attività possa essere qualificata "non commerciale" non è infatti sufficiente che la stessa venga esercitata nei confronti dei propri soci, associati etc., ma è altresì richiesto che l’attività rientri nelle finalità essenziali dell’Ente.
Può essere dunque agevolata l’attività di corsi di nuoto svolta da un'associazione sportiva dilettantistica affiliata alla FIN, piuttosto che corsi di danza o fitness svolta da Sodalizi che prevedono lo svolgimento di tali attività nel proprio oggetto sociale.
Non sarà invece possibile "de commercializzare", per fare un esempio lampante, un’attività di commercio al dettaglio di beni o di somministrazione di alimenti e bevande (salvo il caso del bar gestito da associazioni di promozione sociale) solo perché rivolta esclusivamente a socie ed associati.
In realtà i casi "dubbi" sono molto più complicati di quelli appena evidenziati: si pensi, per fare un esempio, alla gestione da parte di un'associazione sportiva dilettantistica di un impianto sportivo (palestra, piscina etc.): nell’ambito di tale impianto potranno senz’altro effettuarsi congiuntamente attività "in diretta attuazione degli scopi istituzionali" (ad esempio i corsi di nuoto) ed attività "non in diretta attuazione", quindi da considerarsi commerciali (ad esempio la gestione del Bar piuttosto che del centro wellness) ancorché svolte in favore di soci, fermo restando che qualsiasi attività svolta in favore di soggetti non soci/tesserati etc. deve essere considerata di carattere commerciale [11].
[1] Art. 2195 c.c.: sono soggetti all’obbligo di iscrizione al Registro delle Imprese gli imprenditori che esercitano: 1) Un’attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi; 2) un’attività intermediaria nella circolazione dei beni; 3) un’attività di trasporto per terra, per acqua o per aria; 4) un’attività bancaria o assicurativa; 5) altre attività ausiliarie alle precedenti.
[2] Cfr. sentenza Corte di Cassazione, sezioni unite, n. 23031 del 02/11/2007 in materie di Circolari ministeriali, applicabile anche alle Risoluzioni : "…può, pertanto, affermarsi il seguente principio di diritto: "La circolare con la quale l'Agenzia delle Entrate interpreti una norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati perché vi si uniformino, esprime esclusivamente un parere dell'Amministrazione non vincolante per il contribuente, e non è, quindi, impugnabile né innanzi al giudice amministrativo, non essendo un atto generale di imposizione, né innanzi al giudice tributario, non essendo atto di esercizio di potestà impositiva", e Consiglio di Stato, Sez. IV (Pres. Pezzana, Rel. Biagini), 27 gennaio 1997, dec. n. 60, ric. Ministero delle finanze c. Soc. Airtour Italia ed altre, secondo il quale le risoluzioni ministeriali si sostanziano soltanto in "un suggerimento autorevole dato agli organi sottordinati, i quali, nelle singole fattispecie concrete", se pure si orientano "verosimilmente nei sensi suggeriti dall'organo sovraordinato", restano comunque "pur sempre liberi di determinarsi, e responsabilmente, in maniera diversa".
[3] Art. 148, c. 3, T.U.I.R. e art. 4, c.4, D.P.R. 633/1972
[4] Il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate che dovrà predisporre il modello da inviare all’Agenzia stessa e, si presume, le istruzioni per la compilazione dello stesso, non è ancora stato emanato, nonostante la scadenza prevista fosse il 31/01/2009, ma da indicazioni dell’Agenzia per il terzo settore sembra che l’emanazione non sia destinata a tardare ancora molto (cfr. anche Valentina Melis su "Il sole – 24 ore"
[5] Cfr. anche gli articoli del sottoscritto e del Dott. Stefano Andreani su Fiscosport – newsletter n. 7/bis 2009
[6] Tant’è che la medesima agevolazione è prevista, oltre che in favore delle A.S.D., anche per gli enti ecclesiastici, il che conferma l’intento di agevolare, nell’ambito del settore non profit, le realtà di maggiore impatto sotto l’aspetto educativo e sociale.
[7] Cfr. articolo del Dott. Stefano Andreani su Fiscosport n. 7-bis 2009
[8] Cfr. Dott.ssa Marta Saccaro – ONLUS, non basta l’esclusiva ai soci – su Il sole 24 Ore, cit.
[9] Circ. 12/E 09/04/2009, par. 1.2.1.2 pg. 10r
[10] Cfr. Fiscosport n. 7-bis
[11] Cass.ne – set. 22739, cit.