L’attenzione è stata posta, in particolare, su due tematiche: la prima relativa al trattamento ai fini IVA delle prestazioni didattiche erogate dai sodalizi sportivi, e la seconda, sicuramente più impattante, relativa al trattamento ai fini IVA da riservare alle prestazioni di natura sportiva erogate dalle Società o Cooperative Sportive Dilettantistiche a responsabilità limitata.
L’ultimo tema, in particolare, sta diventando oggetto di profonda riflessione, in assenza, in verità, sia di specifici atti legislativi o di prassi, che di pronunce giurisprudenziali.
Pur tuttavia, un’interpretazione letterale e restrittiva di alcuni passaggi della circolare dell’Agenzia delle Entrate 18/E del 0108/2018 e, come accennato sopra, i rumors di alcune verifiche (forse) “pilota” hanno acceso i campanelli di allarme.
Il quadro di riferimento – Prima parte: la normativa nazionale
Il trattamento ai fini IVA delle prestazioni di servizi erogate (e incassate) dai sodalizi sportivi dilettantistici prevede attualmente le seguenti fattispecie:
- Quote associative;
- Quote di partecipazione ai servizi sportivi (corsi, rette mensili, abbonamenti) pagate da soggetti agevolati (soci del sodalizio e tesserati alla F.S.N, E.P.S. o D.S.A. cui il sodalizio stesso è affiliato);
- Quote di partecipazione ai servizi sportivi (corsi, rette mensili, abbonamenti) pagate da soggetti non agevolati (clienti o utenti non soci/tesserati);
- Quote di partecipazione a servizi sportivi aventi natura didattica, pagate da soggetti non agevolati (clienti o utenti non soci/tesserati).
Le disposizioni di riferimento sono rappresentate dall’art. 4 (esercizio di imprese), d.p.r. 633/1972 (c.d. “decreto IVA”), e in particolare il comma 4 di detto articolo, l’art. 10 (operazioni esenti), n. 20, del medesimo d.p.r. 633/1972, la legge 398/1991 e l’art. 90, c. 1, l. 289/2002.
a) Le quote associative
È opportuno, innanzitutto, precisare, che la fattispecie in oggetto è tipica dei sodalizi sportivi costituiti, per l’appunto, in forma associativa (a.s.d.) e non in forma societaria (s.s.d. o società cooperative sportive dilettantistiche). In tale ultimo caso i soci della società sportiva versano una “quota sociale” rappresentativa della partecipazione del socio al Capitale Sociale della società stessa, quota che viene versata una tantum e non, come abitualmente nelle a.s.d., annualmente.
I versamenti operati annualmente in favore di tali sodalizi, denominati solitamente “quota di iscrizione” o “quota di tesseramento” non costituiscono una quota associativa ma un corrispettivo specifico, di cui al paragrafo seguente.
Premesso quanto sopra, ai fini IVA non esiste una disposizione “positiva” assimilabile al primo comma dell’art. 148 del T.U.I.R. – rubricato “enti di tipo associativo” – che, ai fini delle imposte dirette, prevede espressamente che:
“Non è considerata commerciale l’attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo”.
Ai fini IVA, in assenza di una specifica disposizione, occorre operare un ragionamento “a contrariis”, andando cioè a verificare se la quota associativa rientri tra le operazioni soggette all’imposta o meno.
Posto che “L’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate” (Art. 1, d.p.r. 633/1972) e non costituendo la quota associativa una cessione di beni, occorre verificare se, in relazione alla stessa, possa essere configurata una prestazione di servizi.
Ai sensi dell’art. 3 del “decreto IVA” costituiscono prestazioni di servizi “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti … e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”.
Poiché la quota associativa, pur essendo l’espressione, o, meglio, la conseguenza di un contratto associativo, non rientra tra le prestazioni espressamente indicate dalla norma e, a fronte della stessa, non sorge alcuna obbligazione di fare, non fare o permettere, si può concludere che tale quota non integra il presupposto per l’assoggettamento a IVA, rientrando dunque tra le “cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro” espressamente previste dall’art. 2, 2° comma, del decreto IVA tra le operazioni “non soggette “, ovvero “escluse” dall’imposta.
Ne consegue che, a parte ipotesi estremamente particolari che possano essere ritenute elusive, se un’associazione sportiva prevedesse, quale unica fonte di entrata, il solo pagamento di quote associative, anche molto consistenti, da parte dei propri associati, opererebbe in sostanziale esclusione da ogni previsione e obbligo ai fini IVA, anche qualora tale quota comprendesse il diritto a fruire di determinati servizi offerti dal sodalizio, purché le quote siano tutte della medesima entità e non prevedano riduzioni o incrementi in relazione all’”intensità di utilizzo dei servizi associativi”.
b) I “corrispettivi specifici”
Differente è il caso in cui il pagamento non avvenga a fronte della richiesta di diventare associato del sodalizio, ovvero di mantenere tale carica nel corso del tempo, ma sia corrisposto al fine di acquistare dal sodalizio stesso beni o servizi.
In particolare, ciò che interessa in questa sede è l’ipotesi – assolutamente ordinaria – in cui un soggetto paghi una “quota” finalizzata a far fruire allo stesso, ovvero a un altro soggetto, solitamente un figlio, un servizio di natura sportiva offerto dall’associazione.
Stiamo parlando, per essere concreti, delle quote/rette/abbonamenti erogati ai sodalizi sportivi per la frequenza dei corsi sportivi (scuole nuoto, calcio, tennis, basket etc), ovvero per l’ingresso agli impianti sportivi (palestre, piscine, campi da tennis etc) gestiti dal sodalizio finalizzato alla pratica dell’attività sportiva ovvero, ancora, alle quote mensili/trimestrali/annuali pagate dagli atleti per lo svolgimento degli allenamenti finalizzati all’attività agonistica, nonché, infine, per la partecipazione a gare/tornei/manifestazioni organizzate dal sodalizio.
In tutti questi casi si è di fronte a prestazioni di natura c.d. “sinallagmatica”, ovvero di un nesso di reciprocità, tipico del contratto a obbligazioni corrispettive, nel quale una parte (l’associazione) assume l’obbligazione di eseguire una prestazione (di dare o di fare) in favore dell’altra parte (lo sportivo) che a sua volta si obbliga ad eseguire una controprestazione rappresentata dal pagamento del prezzo concordato a fronte del servizio ricevuto.
La prestazione a cui si obbliga il sodalizio è quella di permettere allo sportivo di poter fruire dei servizi necessari alla pratica dell’attività sportiva, garantendogli di svolgere tale pratica alle condizioni, di modo e di tempo, concordate.
Non vi è dubbio che, verificandosi questa situazione, la normativa nazionale [1] prevede l’assoggettamento del corrispettivo a imposta, a meno che non intervengano specifiche condizioni che ne permettano il non assoggettamento.
La fonte normativa di tale conclusione sono l’art. 3 e 4 del Decreto IVA.
Ai sensi dell’art. 3, come già visto, costituiscono prestazioni di servizi “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti … e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”.
Il successivo articolo 4, prevede, come regola generale, che:
“Si considerano in ogni caso effettuate nell’esercizio di imprese:
1) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte dalle società in nome collettivo e in accomandita semplice, dalle società per azioni e in accomandita per azioni, dalle società a responsabilità limitata, dalle società cooperative, di mutua assicurazione e di armamento, dalle società estere di cui all’art. 2507 del codice civile e dalle società di fatto;
2) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da altri enti pubblici e privati, compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica e le società semplici, che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività’ commerciali o agricole.
Il richiamo alle Srl, sopra evidenziato, costituisce un passaggio delicato in relazione al trattamento IVA dei corrispettivi specifici incassati dalle s.s.d., su cui ci soffermeremo infra
Possiamo dunque giungere a una prima conclusione:
- Il trattamento ordinario, ai fini IVA, dei corrispettivi specifici erogati in favore di sodalizi sportivi dilettantistici a fronte di servizi di natura sportiva è l’assoggettamento a imposta;
- L’aliquota applicabile, in assenza di specifiche previsioni, è l’aliquota ordinaria (22%).
Ulteriore conseguenza di quanto sopra esposto è che lo svolgimento continuativo dell’attività di prestazione di servizi in regime di imponibilità è l’assoggettamento del sodalizio a tutti gli adempimenti e gli obblighi previsti dal titolo II del Decreto IVA (certificazione del corrispettivo, registrazione, versamento dell’imposta, obblighi dichiarativi etc), salvo opzione, verificandosene le condizioni, per il regime fiscale ex l. 398/1991 (su cui infra).
c) I “corrispettivi specifici”: le eccezioni all’assoggettamento a imposta
Andiamo ora ad analizzare le ipotesi di “deroga alla regola generale” rappresentata, come sopra esposto, dall’assoggettamento a imposta.
c.1) le attività occasionali
La prima deroga (se cosi la vogliamo chiamare, anche se, in realtà, è un’ipotesi di esclusione dall’imposta) è rappresentata dall’ipotesi in cui l’erogazione di servizi sportivi a fronte di corrispettivi specifici sia operata dalle associazioni sportive [2] a livello meramente occasionale.
In tal caso, non vertendosi nell’ipotesi di cui all’art. 4 di “esercizio abituale, ancorché non esclusivo” di esercizio di attività di impresa, l’associazione non avrà l’obbligo di apertura della Partita IVA e la prestazione non sarà assoggettata a imposta.
Per fare qualche esempio concreto si pensi ai casi in cui l’associazione organizzi una sola manifestazione all’anno con ingresso a pagamento (p.es. il saggio annuale), o l’esibizione di un manifesto pubblicitario in occasione dell’assemblea annuale dei soci o di una manifestazione riservata ai soci [3]
c.2) l’esenzione IVA per attività didattiche riconosciute dalla Pubblica Amministrazione
La norma di riferimento è l’art. 10, primo comma, n. 20) del d.p.r. 633/1972 [4] – ai sensi del quale sono esenti da IVA
le prestazioni educative dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da enti del Terzo settore di natura non commerciale, comprese le prestazioni relative all’alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, ancorché fornite da istituzioni, collegi o pensioni annessi, dipendenti o funzionalmente collegati, nonché le lezioni relative a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale. Le prestazioni di cui al periodo precedente non comprendono l’insegnamento della guida automobilistica ai fini dell’ottenimento delle patenti di guida per i veicoli delle categorie B e C1
Tra le “prestazioni educative rese da organismi riconosciuti da Pubbliche Amministrazioni” possono rientrare, a determinate condizioni, anche le prestazioni didattiche operate da sodalizi sportivi affiliati a Federazioni Sportive Nazionali.
Le condizioni affinché sia possibile operare attraverso l’utilizzo di tale norma di esenzione sono:
a. che si tratti effettivamente di prestazioni didattiche e non di mero utilizzo di impianti o attrezzature (libero o guidato). A tal fine, per potersi parlare di insegnamento di discipline sportive è necessario che il corso presenti tutti i requisiti tipici di un’attività scolastica (istruttori qualificati, orario, programma delle attività, esami finali o simili, rilascio di un attestato di idoneità che riporti gli estremi del riconoscimento), così come disciplinati dalla Federazione Sportiva di riferimento.
b. che il corso sportivo (scuola nuoto, calcio, tennis etc) sia “riconosciuto da una Pubblica Amministrazione”;
ovvero
c. che la a.s.d./s.s.d. sia riconosciuta dalla P.A. attraverso il finanziamento diretto dell’attività (cfr. Ris.ne AdE 16/10/2018 n. 77 e Circ.re AdE 18/03/2008 n. 22E)
d. oppure, ancora, che la a.s.d. si qualifichi anche come “ente del terzo Settore di natura non commerciale” iscrivendosi al Registro Unico del Terzo Settore, non appena questo sarà operativo [5]
Ai fini del soddisfacimento della condizione sub b) si precisa che il “riconoscimento della P.A.” si considera ottenuto qualora il corso sportivo abbia ottenuto il riconoscimento da parte di una Federazione Sportiva Nazionale, ma non qualora il riconoscimento pervenga da un Ente di Promozione Sportiva.
La prassi amministrativa è stata infatti costante nel ritenere che le Federazioni sportive, in quanto organismi di diritto pubblico fossero deputate a riconoscere espressamente le “scuole di sport” delle proprie associazioni e società affiliate, così riconoscendo loro la possibilità di applicare la citata disciplina di esenzione Iva (risoluzione 525996/1973; risoluzione 361488/1977; risoluzione 362614/1977; risoluzione 360751/1978; risoluzione 361426/1978; risoluzione 551/1993; risoluzione 205/E/2002; risoluzione 382/E/2008).[6]
Nello stesso senso si è espressa la giurisprudenza dominante: vedi, tra le ultime, TAR Lazio, Sez. I ter, sentenza n. 4100 del 13.04.2018, e Corte di Cassazione, ord. n. 12698 del 19.05.2017, che, per quanto di interesse ai fini della nostra analisi, ha affermato, richiamando un precedente principio (sentenza n. 8623 del 30/05/2012): “i compensi percepiti da una associazione sportiva a fronte dell’attività didattica svolta sono esenti da Iva soltanto se tale attività è stata formalmente riconosciuta dagli organi della P.A. competenti nel settore, oppure da organismi da essa vigilati come le Federazioni sportive.” [7]
Qualora il sodalizio sportivo riesca a soddisfare i requisiti di cui sopra, il corrispettivo incassato a fronte del servizio offerto, pur mantendendo la natura commerciale non sarà assoggettato a IVA, indipendentemente dalla qualifica del fruitore, che, a questo punto, non è necessario che assuma la qualifica di socio del sodalizio o tesserato della F.S.N. a cui il sodalizio stesso è affiliato, in quanto sarà considerato, ai fini tributari, un ordinario cliente dell’a.s.d./s.s.d.
La natura commerciale dell’attività comporterà che le operazioni in oggetto:
- dovranno essere assoggettate a certificazione (ricevuta fiscale o scontrino fiscale) [8] – salvo opzione del sodalizio per la L. 398/1991[9];
- comporteranno l’obbligo di registrazione contabile ai fini IVA e Imposte Dirette;
- saranno assoggettate a tutti gli ordinari obblighi dichiarativi – salvo, ancora, opzione del sodalizio per la L. 398/1991;
- NON daranno diritto alla detrazione dell’IVA sugli acquisti [10] in quanto operazioni esenti e, qualora il sodalizio svolga contemporaneamente a tali attività altre operazioni imponibili (in regime IVA ordinario) comporteranno l’applicazione del meccanismo c.d. del “pro rata” di detrazione;
- Qualora l’a.s.d./s.s.d. operi in regime agevolato ex l. 398/1991, concorreranno alla formazione del plafond di 400.00,00 euro di ricavi commerciali.
In relazione all’ultima annotazione occorre operare una ulteriore considerazione:
La recente circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 18/2018 ha riproposto la distinzione fra attività connesse e non connesse all’attività sportiva, questione sulla quale ci siamo già ampiamente espressi – in senso critico – su questa newsletter e che non è quindi il caso di affrontare in questa sede.
Sulla base di tale interpretazione i corrispettivi percepiti dai sodalizi sportivi possono essere assoggettati al regime speciale ex l. 398/1991 solamente se riferiti ad attività connesse con gli scopi istituzionali dell’ente, ovvero con lo svolgimento dell’attività sportiva dilettantistica.
Tale connessione, precisa la circolare, non opererebbe nel caso in cui la disciplina sportiva praticata non rientri tra quelle riconosciute dal CONI.
In linea di principio le operazioni oggetto del presente paragrafo non dovrebbero avere problemi a tali fini, considerato che, per poter beneficiare del riconoscimento federale, non possono che essere relative a discipline riconosciute.
Qualche problema potrebbe tuttavia porsi in presenza di riconoscimento ottenuto dalla P.A. (es. comune o istituto scolastico) attraverso il finanziamento diretto del corso che, a questo punto, potrebbe anche avere ad oggetto una disciplina non ricompresa nell’elenco delle discipline riconosciute CONI, ovvero un’attività diversa da quella sportiva.
In tal caso (ma, si ripete, si tratta di casi isolati e particolari) il corrispettivo manterrebbe l’esenzione IVA ma, ai fini delle Imposte Dirette, in quanto “non connesso”, dovrebbe essere trattato in regime ordinario e non potrebbe beneficiare delle agevolazioni ex L.398/1991.
L’ipotesi di lavoro di cui al presente paragrafo (esenzione IVA per attività didattiche) è, in concreto, utilizzata da alcune a.s.d. e, soprattutto, s.s.d., che operano nel campo dell’attività sportiva didattica laddove le Federazioni Sportive di riferimento abbiano formalizzato delle condizioni per l’ottenimento del riconoscimento del corso sportivo (Federazione Nuoto, Tennis, Sci, Calcio ed altre).
c.3) la de-commercializzazione per le Associazioni Sportive Dilettantistiche
La terza eccezione alla regola generale dell’imponibilità dei corrispettivi specifici è rappresentata dall’ipotesi di de-commercializzazione degli stessi, prevista dall’art. 4, c. 4, d.p.r. 633/1972, norma “gemella” all’art. 148, c. 3, T.U.I.R., che prevede analoga agevolazione ai fini delle Imposte Dirette.
La disposizione in oggetto prevede che
Per gli enti indicati al n. 2) del secondo comma, che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole, si considerano effettuate nell’esercizio di imprese soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di attività commerciali o agricole. Si considerano fatte nell’esercizio di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto [Regola Generale di imponibilità – N.d.R], ad esclusione di quelle effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, anche se rese nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali.
Le condizioni affinché possa essere applicata l’agevolazione in oggetto sono quindi:
- Che l’associazione possa essere considerata sportiva dilettantistica (e, quindi, che sia in possesso del riconoscimento sportivo rappresentato dall’iscrizione al Registro CONI delle a.s.d./s.s.d.).
- Che la prestazione sia resa nei confronti di soggetti c.d. “privilegiati” (soci dell’associazione o tesserati della medesima FSN/EPS ovvero altre associazioni affiliate al medesimo Organismo di affiliazione).
- Che l’associazione sia retta da uno statuto redatto nella forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata o registrata (all’Agenzia Entrate).
- Che lo statuto contenga tutti i requisiti previsti dal successivo comma 7 (che prevede condizioni identiche a quelle previste dall’art. 148, c. 8, Tuir) e che il sodalizio rispetti, in concreto, tali requisiti;
- Che il sodalizio abbia presentato il Mod. EAS.
Anche se la norma rappresenta un’eccezione alla regola generale, si tratta, in concreto, del comportamento ordinariamente adottato dalla generalità dei sodalizi sportivi, tanto che, spesso, viene erroneamente considerato “la normalità”, con il rischio che i sodalizi stessi perdano di vista la necessità di rispettare rigorosamente le condizioni sopra evidenziate, e, conseguentemente, che, in caso di verifica fiscale, le operazioni vengano riclassificate in commerciali/imponibili.
Non sono poche, addirittura, le situazioni in cui tali corrispettivi vengono (erroneamente) considerati alla stessa stregua delle quote associative.
Trattandosi di operazioni de-commercializzate ai fini delle imposte sui redditi e fuori campo ai fini IVA, il sodalizio sportivo sarà tenuto, esclusivamente, a:
- Emettere, quantomeno per prudenza e per disporre di una esauriente documentazione da esibire in sede di eventuale verifica, una ricevuta “non fiscale” indicando che trattasi di corrispettivo fuori campo IVA ex art. 4, c. 4, d.p.r. 633/1972;
- Registrare l’incasso in prima nota, ovvero sul libro cassa, ovvero, ancora, qualora trattasi di ente che tenga, per obbligo o per opzione, la contabilità ordinaria, sul libro giornale;
- Riportare il totale dei corrispettivi de-commercializzati incassati nel bilancio/rendiconto economico-finanziario.
Non saranno invece dovuti gli adempimenti previsti dal decreto IVA (versamento, registrazione sui libri IVA, adempimenti dichiarativi) e, qualora il sodalizio abbia optato per l’agevolazione ex L. 398/1991, l’importo dei corrispettivi in oggetto non concorrerà alla formazione del plafond.
c.4) la de-commercializzazione per le Società Sportive Dilettantistiche a responsabilità limitata e cooperative
Come sopra accennato, la problematica che è stata recentemente sollevata a livello dottrinale nonché, a quanto ci risulta, tramite alcuni accertamenti che potremmo definire “pilota” da parte di un isolato Ufficio dell’Agenzia delle Entrate – in evidente controtendenza rispetto al comportamento tenuto dai verificatori fin dall’entrata in vigore della legge 289/2002 – è se l’agevolazione in oggetto possa essere utilizzata anche dalle s.s.d. e dalle Cooperative Sportive Dilettantistiche, ovvero se la fruizione della stessa debba essere limitata ai soli enti associativi e, quindi, alle sole a.s.d.
Non v’è dubbio che, quando sono stati emanati l’art. 4, c. 4 del decreto IVA e l’art. 148, c. 3, del T.U.I.R., i destinatari dell’agevolazione non potevano che essere gli enti associativi, in quanto solo tali enti sono stati esplicitamente citati dalle norme e, soprattutto, all’epoca, le società sportive dilettantistiche di capitali non erano ancora state previste dal legislatore.
La comparsa delle s.s.d. a r.l. [11] nel panorama normativo italiano è infatti avvenuta a opera dell’art. 90 della l. 289/2002.
A quale titolo, dunque, è stata ritenuta applicabile alle s.s.d. a r.l. la disposizione prevista dal legislatore in favore delle a.s.d.?
La risposta è da ricercare nella lettera dell’art. 90, c. 1, della suddetta L. 289/2002, ai sensi del quale:
“Le disposizioni della legge 16 dicembre 1991, n. 398, e successive modificazioni, e le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro.”
Tra “le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche…” la dottrina e la prassi operativa hanno interpretato, inizialmente con qualche titubanza ma progressivamente con sempre maggiore convinzione, che potessero rientrare anche le disposizioni relative alla de-commercializzazione dei corrispettivi specifici di cui agli artt. 148 T.U.I.R. e 4, d.p.r. 633/1972.
Anche la prassi amministrativa ha sempre pienamente avallato tale interpretazione, considerato che, a partire dalla circolare 21E del 22/04/2003, l’Agenzia – dopo avere precisato che le s.s.d., ancorché prive di scopo di lucro, mantengono la natura di società commerciale e il loro reddito pertanto, è determinato, in via di principio, secondo le disposizioni del Titolo II, Capo II, del TUIR relative alle società e agli enti commerciali – confermava l’assunto normativo di estensione alle stesse delle agevolazioni previste in favore delle a.s.d., pur trattando esplicitamente solamente della materia delle imposte dirette.
Cioè, in concreto, l’Agenzia, sin dal 2003, non ha mai accennato all’ipotesi che l’agevolazione non potesse applicarsi anche ai fini IVA, anche se ha sempre trattato la stessa facendo esclusivamente riferimento alle sole Imposte Dirette.
I dubbi degli interpreti, tuttavia, si sono nel tempo concentrati in altri passaggi della circolare, e, per la precisione, sul passaggio della stessa in cui si precisava che, per fruire dell’agevolazione, gli statuti delle s.s.d. dovessero recepire tutte le condizioni previste dall’ottavo comma del 148, tra le quali anche quelle relative alla democraticità della struttura, del voto per teste e dell’incedibilità delle quote, creando non pochi problemi a livello di stesura degli statuti, nonché sull’ulteriore passaggio che chiariva che, ai sensi di legge, i fruitori dei servizi dovessero essere i “soci o associati” dei sodalizi.
Si giunge quindi al 2008, quando la Direzione Regionale delle Entrate della Liguria, con la risoluzione 23 maggio 2008, Prot. N. 903-9486/2008, demolisce (finalmente) due tabù:
- Innanzitutto prende atto che, a norma di legge, tra i soggetti beneficiari dell’agevolazione sono ricompresi anche i “tesserati per la FSN o EPS cui la SSD è affiliata”, con ciò aprendo le porte a un utilizzo massivo dell’agevolazione da parte delle società sportive dilettantistiche di capitali;
- In secondo luogo – e soprattutto, per quanto riguarda il tema in oggetto – chiarisce espressamente che anche alle s.s.d, in forza del rimando operato dal comma 1 dell’art. 90, “possono trovare applicazione le norme agevolative di cui al comma 3 dell’art. 148 del Tuir ed al comma 4 dell’art. 4 del D.P.R. n. 633/72, che concernono specificamente le associazioni sportive dilettantistiche, fermo restando che, di converso, le società sportive dilettantistiche mantengono dal punto di vista fiscale la natura commerciale e sono, pertanto riconducibili, ai fini della determinazione del reddito, all’alveo normativo di cui al Titolo II, Capo II, del D.P.R. n. 917/86.”
Cioè esattamente quanto la dottrina prevalente aveva sin da subito sostenuto.
Tale posizione è stata ribadita, a distanza di due anni, anche dalla Direzione Regionale Lombardia, con risposta ad interpello 77605 del 05/10/2010, la quale, addirittura, con una conclusione tranchant “non ravvisa alcun dubbio sulla sostanziale identità del regime agevolativo ai fini delle Imposte sui redditi e dell’IVA riconosciuto anche alle SSD dalle disposizioni nazionali”, operando solamente un distinguo tra le attività sportive e le attività di “mero fitness” che, non costituendo un diretto completamento dell’attività sportiva, non potrebbero beneficiare dell’agevolazione.
Distinguo, questo, superato in seguito all’individuazione delle discipline sportive da parte del CONI con le note delibere del 2017, mentre la distinzione tra le attività sportive e le attività di mero wellness (sauna e bagno turco) già chiarita dalla Risoluzione 38/2010, è stata ripresa e confermata dalla recente circolare 18E del 01/08/2018.
Ma la Direzione Lombardia non si è limitata alla (fortissima) dichiarazione di cui sopra, in quanto si è spinta anche a motivare le ragioni della propria conclusione andando a cercarne le ragioni nella normativa comunitaria (sulla quale ci soffermeremo infra): sostiene infatti la D.R. lombarda che
“… l’esenzione prevista in sede comunitaria in materia di prestazioni strettamente connesse alla pratica dello sport ….. risulta essere stata recepita nell’ordinamento italiano con la disposizione di esclusione dal campo di applicazione dell’IVA di cui all’art. 4, c. 4, DPR 633/1972…”.
A livello operativo, inizialmente con qualche titubanza, e in seguito ai suddetti pronunciamenti con sempre maggiore convinzione, la situazione concreta è stata che la grande maggioranza delle s.s.d., con qualche eccezione rappresentata da quelle realtà (operanti soprattutto nel mondo delle piscine) che hanno optato per l’applicazione del regime di esenzione ex art. 10, ha operato utilizzando la de-commercializzazione anche ai fini IVA, ai sensi del combinato disposto dell’art. 4, d.p.r. 633/1972 e dell’art. 90, c. 1, l. 289/2002.
Né, a quanto ci risulta, in questi 18 anni, nonostante le numerosissime verifiche cui sono state sottoposte le società sportive, sono stati elevati rilievi in materia di non corretta applicazione dell’art. 4 del Decreto IVA supportati dalla motivazione della non applicabilità dello stesso alle SSD a.r.l. in quanto, per l’appunto, società commerciali.
Il comportamento dell’Agenzia è, dunque, sempre stato, se non altro per comportamento concludente, inequivocabile, e le uniche prese di posizione ufficiali sulla questione, quelle delle D.R.E. Liguria e Lombardia di cui sopra, sono state perfettamente in linea con esso: tale modus operandi ha avallato il comportamento da sempre seguito dai contribuenti, formando in essi il legittimo affidamento che si trattasse di quello corretto.
Anche le più recenti verifiche di cui si ha conoscenza – con l’eccezione delle (poche) verifiche pilota a cui si è accennato sopra – stanno seguendo il vecchio modus operandi.
Qual è, allora, la ragione di tanto allarme?
Sostanzialmente, una lettura particolarmente “restrittiva” del passaggio della circolare 18E del 01/08/2018 nel quale si afferma che “le stesse [le s.s.d. – N.d.R.], ancorché non perseguano scopo di lucro, mantengono, dal punto di vista fiscale, la natura commerciale e sono riconducibili, in quanto società di capitali, nell’ambito dei soggetti passivi IRES di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a) del TUIR”, e, soprattutto, alcuni “rumors” trapelati dai corridoi dell’Agenzia Entrate che indicherebbero una variazione dell’atteggiamento interpretativo, rafforzato dalle citate verifiche pilota.
Le ragioni di chi ipotizza il rischio di disapplicazione dell’art. 4 alle s.s.d. a r.l. sono essenzialmente le seguenti:
- L’art. 4 (come sopra riportato) individua i beneficiari dell’agevolazione negli “enti indicati al n. 2) del secondo comma, che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali …”. Tali enti, come già evidenziato, sono rappresentati dalle sole associazioni e non dalle società sportive;
- Le s.s.d. a r.l. mantengono, nonostante l’assenza di scopo di lucro, la natura di società commerciali. In quanto tali, le operazioni dalle stesse compiute devono essere sempre considerate di natura commerciale, ai sensi del comma 1, n. 1, dell’art. 4, Decreto IVA (sopra riportato);
- Infine, l’istituto della de-commercializzazione da parte delle s.s.dd. cozzerebbe con i principi statuiti dalla normativa europea.
Andando ad analizzare le suddette argomentazioni, le stesse appaiono tuttavia in palese contrasto con quanto previsto dalle disposizioni di riferimento (fra l’altro, nell’interpretazione mai – finora- contestata dall’Agenzia delle Entrate):
- Per quanto attiene alle osservazioni sub 1) e 2) si evidenzia che le stesse sarebbero certamente corrette in linea di principio se non esistesse l’art. 90 della Legge 289/2002, disposizione successiva e speciale, che regola in modo diverso una fattispecie specifica, per la quale stabilisce espressamente e chiaramente una deroga alle norme generali; ignorarlo è come dire, per restare in campo sportivo, che chi corrisponde i c.d. “compensi sportivi” deve operare una ritenuta d’acconto del 20% perché così stabilisce l’art. 25 del d.p.r. 600/73 e la quota dei compensi sportivi eccedenti i 10.000 euro si cumula sempre con gli altri redditi ed è assoggettata al regime ordinario di tassazione, perché così prevede l’art. 3 del T.U.I.R., anche se l’art. 25 della Legge 133/99 detta la disciplina speciale che tutti conosciamo.
- Vero è che in materia di IVA le eccezioni alla regola generale non possono essere in contrasto con le direttive UE ma, quanto alla compatibilità dell’art. 4, c. 4, del decreto IVA con la normativa europea si rinvia all’ultimo paragrafo del presente articolo, nonché agli altri articoli di questa Newsletter, nei quali verranno esaminate le impostazioni della Corte di Giustizia della Comunità Europea;
Né, ad avviso di chi scrive, può rappresentare una linea di confine la posizione assunta dalla circolare 18E/2018, laddove si enfatizza la natura commerciale delle S.S.D., in quanto il documento di prassi utilizza la stessa, identica terminologia già utilizzata sin dalla circolarle 21 del 2003.
Delle due, dunque, l’una:
- O la natura commerciale delle s.s.d. impediva alle stesse la fruizione della de-commercializzazione IVA sin da 18 anni fa. E allora, perché ben due Direzioni Regionali hanno evidenziato, nel 2008 e nel 2010, esattamente il contrario? E perché in nessun accertamento nel frattempo operato è stato elevato tale rilievo?
- Oppure la circolare 18 non costituisce una novità né un cambio di impostazione rispetto al 2003, e allora, il temuto “cambio di passo” è da attribuirsi esclusivamente ai c.d. “rumors”, che non rappresentano, in tutta evidenza, la migliore metodologia di impostazione del rapporto fisco/contribuente (ancorché purtroppo, costituiscano talvolta i passaggi più significativi)
In concreto, ciò che gli operatori sportivi e i consulenti sono chiamati a decidere in questo momento, e per il futuro, è se proseguire nel vecchio, consolidato, modus operandi, ovvero se cambiare impostazione e assoggettare a IVA (eventualmente in regime di 398) i corrispettivi specifici incassati.
La valutazione deve considerare, prima ancora che gli equilibri economici del sodalizio, la correttezza dell’una o dell’altra impostazione, tenuto anche conto dei rischi sanzionatori, i quali devono essere valutati anche a livello penale, tenendo altresì presente che un cambio di impostazione rende chiaramente più complicata la difesa, di fronte ad una eventuale verifica, del comportamento passato.
Va peraltro evidenziato, per dare un quadro della situazione che contempli tutti gli aspetti coinvolti e non solo quelli squisitamente amministrativo/tributari, che, sulla base della suddetta – mai contestata – impostazione, sono stati impostati business plan economici e finanziari finalizzati alla costruzione o ristrutturazione di impianti sportivi, con particolare riferimento agli impianti sportivi di proprietà pubblica messi a bando dalle amministrazioni locali proprietarie: un cambiamento di interpretazione di questa portata, anche limitato al futuro, potrebbe avere in molti casi conseguenze assai rilevanti.
Ciò che, in chiusura del presente capitolo ci sembra doveroso evidenziare, è in primo luogo che il legittimo affidamento che si è formato nei contribuenti, rafforzato dal comportamento, esplicito e concludente, dell’Agenzia, dovrebbe poter garantire quantomeno la non applicazione delle sanzioni (cfr. in tal senso, la circ.re 18E/2018) e in secondo luogo che tutta la questione ricorda sotto alcuni aspetti la vicenda delle Scuole guida, anche se vanno sottolineate alcune fondamentali differenze.
Senza entrare nel merito di quella problematica, il richiamo appare opportuno perché le vicende sono, per alcuni aspetti molto simili. In breve:
- L’attività di scuola guida è stata, da sempre, gestita in regime di esenzione ai sensi dell’art. 10, n. 20, DPR 633/1972 (lo stesso utilizzato per i corsi sportivi riconosciuti dalla P.A.), in quanto considerata, genericamente, attività didattica;
- Tale impostazione è stata confermata come corretta, nel tempo, da due risoluzioni fornite dall’agenzia delle Entrate (la 83/E/1998 e la 134/E/2005);
- Il 14 marzo la Corte di Giustizia UE, con sentenza relativa alla causa C-449/2017, ha stabilito che l’attività di scuola guida non poteva essere equiparata alle attività di insegnamento scolastico ed universitario;
- Prendendo atto di tale sentenza l’Agenzia delle Entrate, il 2 settembre 2019, ha emanato, a seguito di istanza di interpello, la risoluzione 79/E, con la quale, in sostanza, disconosceva i propri precedenti orientamenti, dichiarava che le attività di scuola guida dovessero essere considerate imponibili e che, conseguentemente (sic!!!) le scuole guida dovessero presentare dichiarazione integrativa relativamente ai 5 anni precedenti e versare l’imposta risultante da tali dichiarazioni, provvedendo poi a recuperare l’imposta dai clienti che, negli ultimi 5 anni, avevano erroneamente beneficiato dell’esenzione (!!!!!).
Ad addolcire la pillola, per lo meno, la risoluzione prendeva atto del legittimo affidamento dei contribuenti che si erano conformati alle indicazioni ministeriali, prevedendo conseguentemente la non applicazione delle sanzioni. - Per fortuna, preso atto che la soluzione indicata dall’Agenzia non sarebbe evidentemente stata percorribile, è intervenuto il Legislatore che nella legge di bilancio 2020, in sostanza, ha previsto la decorrenza dell’imponibilità dell’attività delle scuole guida a decorrere da 1/1/2020, sanando conseguentemente il passato.
La similitudine con la problematica della de-commercializzazione dei corrispettivi specifici incassati dalle ASD sta nell’esistenza di pronunciamenti di prassi e di comportamenti concludenti dell’Agenzia.
Le, fondamentali, diversità stanno invece nel fatto che
i – le fonti normative sono diverse, dato che l’art. 10 del decreto IVA parla genericamente di prestazioni didattiche, e che tra queste potessero rientrare quelle operate dalle scuole guida era stato previsto unicamente da documenti di prassi, mentre l’applicabilità delle disposizioni tributarie dettate per le asd (e quindi anche l’art.4 dell’IVA) anche alle ssdrl è invece prevista esplicitamente da una legge (art. 90, c.1, L. 289/2002)
ii – per le scuole guida è intervenuto un nuovo e specifico pronunciamento della Corte di Giustizia UE, che ha esplicitamente stabilito l’inapplicabilità dell’esonero, mentre per l’IVA delle società sportive non è intervenuto alcun pronunciamento nuovo e, come dettagliatamente illustrato nella rassegna giurisprudenziale che viene pubblicata sempre in questa newsletter, non esistono provvedimenti di fonte comunitaria che stabiliscano un diverso trattamento IVA fra associazioni e società sportive.
Anche nel caso in cui la tesi della debenza dell’IVA dovesse prendere piede, se il legislatore ha ritenuto inevitabile intervenire per le scuole guida “sanando” il passato, non vediamo perché la stessa sorte non dovrebbe toccare alle s.s.d., il cui comportamento fino a oggi è, come detto, ben più solidamente motivato.
* * *
Il quadro di riferimento – Seconda parte: la normativa comunitaria
Le prestazioni di servizi di natura sportiva sono disciplinate, ai fini IVA, anche a livello comunitario.
Le norme di riferimento sono gli artt. 132 – paragrafo 1, lett. h), 133 e 134 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio Europeo, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto.
L’esame analitico delle disposizioni europee e delle sentenze della corte di giustizia UE sarà affrontato in altri articolo della presente Newsletter da Marco D’Isanto, La normativa Europea in materia di esenzione IVA nello sport, e Biancamaria Stivanello, L’interpretazione della direttiva UE in materia di esenzione IVA nella giurisprudenza comunitaria.
In questa sede si evidenzieranno i principi fondanti della direttiva e si analizzeranno brevemente le eventuali criticità rispetto alla normativa nazionale, come sopra riportata.
I principi di riferimento della normativa UE sono i seguenti:
- A livello comunitario, la nozione di “sport” è (ovviamente) sganciata dalle delibere CONI relative alle discipline riconosciute e si rifà alla definizione di cui al “libro bianco sullo sport” presentato alla Commissione Europea il 11/07/2007 e comprende “qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o non, abbia per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli”;
- Anche a livello europeo, preso atto dell’importanza, a livello sociale, educativo, sanitare, non ultimo, economico, del fenomeno sportivo, l’attività sportiva è agevolata, a livello tributario, quando è “resa”, cioè organizzata, da “enti senza scopo di lucro”;
- Anche a livello comunitario la suddetta esenzione, in quanto “eccezione rispetto alla regola” (che è quella dell’imponibilità) è sottoposta alla verifica di alcune condizioni.
Nel dettaglio, la norma di riferimento è l’art. 132, comma 1, lett. m) ed o), ai sensi del quale
“Gli stati membri esentano le seguenti operazioni
…
m) talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica, fornite da organismi senza scopo di lucro alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica”;
…
o) le prestazioni di servizi e le cessioni di beni effettuate dagli enti o dagli organismi le cui operazioni sono esenti a norma delle lettere b), g), h), i), l), m) ed n) in occasione di manifestazioni per la raccolta di fondi, organizzate a loro esclusivo profitto, purchè l’esenzione non sia tale da provocare distorsioni della concorrenza”.
Appare immediatamente, in tutta evidenza, la differenza di impostazione rispetto alla normativa nazionale, rappresentata, come sopra visto, dall’art. 4, c. 4, del Decreto IVA:
- innanzitutto, la normativa Europea prevede un meccanismo di esenzione, e non di esclusione dall’imposta, quale quello disposto dall’art. 4;
- in secondo luogo, la normativa Europea fa riferimento a prestazioni fornite da “organismi senza scopo di lucro” e non, come previsto dall’art. 4, da “associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica…… che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”, ancorché tale previsione risulti poi integrata dall’art. 90, c. 1, L. 289/2002 che “apre” alla decommercializzazione (secondo l’interpretazione sinora prevalente) anche alle SSD a r.l.;
- infine, la normativa europea fa riferimento alle “persone che praticano lo sport e l’educazione fisica”, laddove quella nazionale subordina l’agevolazione ai soli soci, associati o tesserati del sodalizio sportivo.
Il sistema nazionale risulta quindi più restrittivo di quello comunitario lì dove subordina la fruizione dell’agevolazione solo se a erogare i servizi sono enti associativi che non svolgano in via prevalente attività commerciale (descrizione che, in tutta evidenza è diversa dall’assenza di scopo di lucro che, come dimostrano le stesse s.s.d., può caratterizzare anche le società commerciali e/o le cooperative) e solo se i fruitori di tali servizi fanno parte di una determinata categoria di soggetti agevolati (soci o tesserati).
Inoltre, il sistema nazionale non prevede la forma tecnica dell’esenzione ma quella dell’esclusione.
Tanto è vero che la risoluzione della D.R.E. Lombardia del 2010, sopra citata, ha interpretato la normativa italiana nel senso che “… l’esenzione prevista in sede comunitaria in materia di prestazioni strettamente connesse alla pratica dello sport … risulta essere stata recepita nell’ordinamento italiano con la disposizione di esclusione dal campo di applicazione dell’IVA di cui all’art. 4, c. 4, DPR 633/1972…”.
Tanto è vero, ancora, che la Commissione Europea ha posto sotto procedura di infrazione lo Stato italiano con la procedura 2008/2010 per il non corretto recepimento della direttiva UE 2006/112/CE.
Le contestazioni che muove la Commissione UE all’Italia afferiscono, in particolare a:
- avere disciplinato fuori campo IVA anziché in esenzione le prestazioni sportive;
- avere, in alcuni casi, allargato la fattispecie fuori campo rispetto a quella che avrebbe dovuto essere la fattispecie di esclusione;
- non avere previsto di subordinare l’esenzione alla condizione che non possa provocare distorsioni alla concorrenza, come invece previsto, a livello europeo, dagli artt. 133 e 134 della direttiva.
Art. 133 e 134 che, testualmente, prevedono quanto segue:
Articolo 133
Gli Stati membri possono subordinare,caso per caso, la concessione, ad organismi diversi dagli enti di diritto pubblico, di ciascuna delle esenzioni previste all’articolo 132, paragrafo 1, lettere b), g), h), i), l), m) e n), all’osservanza di una o più delle seguenti condizioni:
a) gli organismi in questione non devono avere per fine la ricerca sistematica del profitto: gli eventuali profitti non dovranno mai essere distribuiti ma dovranno essere destinati al mantenimento o al miglioramento delle prestazioni fornite;
b) gli organismi in questione devono essere gestiti ed amministrati a titolo essenzialmente gratuito da persone che non hanno di per sé o per interposta persona alcun interesse diretto o indiretto ai risultati della gestione;
c) gli organismi in questione devono praticare prezzi approvati dalle autorità pubbliche o che non superino detti prezzi ovvero, per le operazioni i cui prezzi non sono sottoposti ad approvazione, praticare prezzi inferiori a quelli richiesti per operazioni analoghe da imprese commerciali soggette all’IVA;
d) le esenzioni non devono essere tali da provocare distorsioni della concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette all’IVA
Articolo 134
Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi sono escluse dal beneficio dell’esenzione prevista all’articolo 132, paragrafo 1, lettere b), g), h), i), l), m) e n) nei casi seguenti:
a) se esse non sono indispensabili all’espletamento delle operazioni esentate;
b) se esse sono essenzialmente destinate a procurare all’ente o all’organismo entrate supplementari mediante la realizzazione di operazioni effettuate in concorrenza diretta con quelle di imprese commerciali soggette all’IVA.
Si rinvia, per maggiori approfondimenti, agli articoli di Marco D’Isanto e Biancamaria Sivanello sopra citati.
Ci sia però concessa, in chiusura, una considerazione:
se il problema dell’applicabilità dell’art. 4 d.p.r. 633/1972 è quello della compatibilità con le disposizioni comunitarie, siamo certi che tale problematica investa solamente le s.s.d. a r.l?
E che, al contrario, non investa anche le a.s.d.?
Se così fosse, saremmo di fronte ad una questione di potenziale enorme impatto sul mondo sportivo.
Ricordiamo infatti che l’eventuale trasmigrazione del trattamento dei corrispettivi sportivi dal campo dell’esclusione a quello dell’esenzione, potrebbe sembrare, a prima vista, poco impattante (l’imposta non si pagherebbe né nell’uno né nell’atro caso), ma, in realtà, la differenza è enorme.
Le operazioni esenti sono infatti operazioni di natura commerciale, che concorrono alla formazione del plafond ex L. 398.
Un sodalizio che consegua già un fatturato commerciale importante potrebbe trovarsi, improvvisamente, a superare il plafond a causa della trasmigrazione dei corrispettivi sportivi in area di esenzione, con tutto ciò che ne consegue a livello contabile, di adempimenti dichiarativi e di imposizione.
A meno che non si voglia sostenere che, risultando tali corrispettivi comunque de-commercializzati ai fini delle Imposte sui redditi, non concorrono alla formazione del plafond.
Considerata l’importanza delle problematiche esposte non possiamo che perorare un intervento del legislatore finalizzato a fare chiarezza, definitivamente, sulle questioni sollevate, evitando che l’interpretazione delle stesse sia riservata ai documenti di prassi (variabili nel tempo) dell’Agenzia Entrate e alla valutazione (anch’essa variabile) delle Commissioni Tributarie.
Gli operatori sportivi hanno bisogno, prima di tutto, di certezze, qualunque esse siano.
[1] Si vedrà, infra, che tale conclusione può essere diversa ai sensi delle disposizioni comunitarie
[2] E solo dalle a.s.d laddove le s.s.d., in quanto società commerciali, esercitano per definizione attività di impresa e devono sempre essere in possesso di P.IVA.
[3] Si tratta dei medesimi principi operanti in relazione alle attività di impresa – continuativa ovvero occasionale – esercitate da persone fisiche
[4] Versione in vigore dal 01/01/2020
[5] La dizione ETS non commerciali sostituisce l’originaria previsione delle ONLUS e sarà pienamente operativa con l’entrata in vigore del Codice del terzo Settore. Sino a quel momento deve intendersi ancora operativa l’originaria previsione delle ONLUS
[6] Cfr. Guido Martinelli – Euroconference News – 09/05/2018
[7] Guido Martinelli – Euroconference News – cit.
[8] Che, si ricorda, a decorrere dal 01/01/2020 devono essere comunicati telematicamente all’Agenzia delle Entrate
[9] Che, come noto, prevede l’esenzione del sodalizio dagli adempimenti di cui al titolo II del decreto IVA, tra i quali è compresa la certificazione dei corrispettivi, salvo che la fattura non sia richiesta dal cliente
[10] Se le operazioni attive sono esenti da IVA la detrazione dell’IVA risultante dalle fatture di acquisto non è permessa ai sensi dell’art. 19, c. 2, d.p.r. 633/1972
[11] E delle società cooperative sportive dilettantistiche. Per esigenze di brevità, nel prosieguo del presente lavoro si farà sempre riferimento alle s.s.d. ma i ragionamenti e le conclusioni sono applicabili, per analogia, anche alle società cooperative sportive.