Sono stati necessari un paio di anni ma finalmente il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è arrivato alle stesse conclusioni di chi scrive (e di altri consulenti): i fondi del 5 per mille non devono essere rendicontati ai fini della legge 124/2017.
È ciò che si legge nella circolare n. 6 del 25/06/2021.
Tuttavia, nella precedente circolare n. 2 del 11/01/2019 si leggeva esattamente l’opposto e cioè che i fondi 5 per mille rientravano tra i contributi pubblici e quindi oggetto dell’informativa ex legge 124/2017.
La presa di posizione, aveva suscitato non poche perplessità in parecchi operatori del settore per due ragioni molto semplici:
- i fondi del 5 per mille NON sono considerati fondi pubblici
- il sistema normativo che regola l’accreditamento, la spesa e la rendicontazione dei fondi del 5 per mille prevede già un grado di trasparenza tale che è semplicemente inutile prevederne un altro.
Il Ministero, per mano dell’estensore della circolare, però adduce motivazioni differenti, classificando i fondi 5 per mille come un beneficio generalizzato
erogato a tutti i soggetti che soddisfano determinate condizioni: in tale prospettiva si deve ritenere che rientri nella suddetta accezione anche il contributo del cinque per mille, con la conseguenza che le somme introitate a tale titolo non sono soggette agli obblighi di pubblicità recati dalla normativa citata in oggetto. Per altro verso, per le somme ricevute a titolo di cinque per mille troveranno applicazione gli specifici obblighi di pubblicità in capo ai beneficiari delle stesse, previsti dall’articolo 16, comma 5 del D.P.C.M. 23 luglio 2020.
La lettura effettuata dal Ministero non soddisfa pienamente perché si tralascia il fatto che la natura non pubblica dei fondi 5 per mille è il frutto di due pronunciamenti dei massimi organi giurisdizionali:
- la Corte Costituzionale che con la sentenza 18/06/2007 n. 202 aveva già affrontato il problema classificando il contributo in questione come un’erogazione liberale (effettuata dal contribuente) a favore di un beneficiario (l’ente o la categoria di enti) mediante l’intervento di un terzo necessario (l’Agenzia delle entrate);
- e la Cassazione che, a Sezioni Unite (sentenza 23/10/2017 n. 24964), aveva stabilito quale fosse il giudice a cui rivolgersi, in caso di controversie in materia di 5 per mille, posto che non si trattava di un’agevolazione tributaria e quindi non erano certamente competenti le commissioni tributarie né lo erano i giudici amministrativi, posto che i fondi non erano di natura pubblica. Pertanto, in virtù di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, era ed è competente il Giudice ordinario.
Di tutto questo (e di altro) ci eravamo già occupati in questo intervento, pubblicato nel 2019.
Sebbene la lettura ministeriale non sia convincente, perché un contributo è pubblico o meno non per la natura dei suoi potenziali beneficiari e per la natura generalizzata o limitata ad una determinata platea di beneficiari, ma per effetto del fatto che detti contributi provengano o meno dal bilancio dello Stato, preferiamo essere pragmatici per cui ci si può dichiarare ugualmente soddisfatti: i fondi 5 per mille non vanno (anche) nel sistema pubblicitario ex legge 124/2017. Va bene così!
Tuttavia vale la pena riportare un passaggio chiave della sentenza della Corte Costituzionale 18/06/2007 n. 202 che dirime alla base la questione:
“(…) Detto presupposto interpretativo è erroneo, perché si fonda esclusivamente sulla formulazione letterale del secondo periodo del censurato comma 340, per il quale “le somme affluite all’entrata” sono riassegnate “ad apposite unità previsionali di base dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (…) per essere destinate ad alimentare un apposito fondo”, e non tiene conto del sistema risultante dal complesso delle norme censurate e di quelle – contenute nel citato d.P.C.m. del 20 gennaio 2006 – che ad esse danno attuazione. Dalla lettura sistematica delle norme denunciate emerge chiaramente che il titolo di acquisto della quota del 5 per mille dell’IRPEF incassata dall’erario subisce una trasformazione nel caso in cui il contribuente – con apposita dichiarazione di volontà – si sia avvalso della facoltà prevista dalla legge di finanziare i soggetti di cui al censurato comma 337. Infatti, per effetto di tale dichiarazione, la pretesa tributaria dello Stato si riduce della quota del 5 per mille degli “incassi in conto competenza relativi all’IRPEF” (comma 339) del singolo contribuente e il relativo importo viene trattenuto dallo Stato non più a titolo di tributo erariale, ma come somma che lo Stato medesimo è obbligato, come mandatario necessario ex lege, a corrispondere ai soggetti indicati dal contribuente stesso, svolgenti attività ritenute meritevoli dall’ordinamento (comma 337) ed inclusi in apposite liste (comma 340). Il finanziamento di detti soggetti è, perciò, direttamente ascrivibile alla volontà del contribuente (commi 337, alinea, e 339) e la quota del 5 per mille dell’IRPEF perde la natura di entrata tributaria erariale ed assume quella di provvista versata obbligatoriamente all’erario per tale finanziamento. Ne deriva che l’obbligo del contribuente di corrispondere la suddetta quota non viene meno, ma è da lui adempiuto a favore del beneficiario per il tramite necessario dell’erario. Da una parte, dunque, detta quota si imputa direttamente al patrimonio del beneficiario medesimo e, dall’altra, il “fondo” cui fa riferimento il censurato comma 340 non è vincolato a finanziare una determinata spesa pubblica, ma costituisce una mera evidenza contabile, strumentale alla ripartizione delle somme fra i destinatari del finanziamento. Tale conclusione è confermata dall’esame del suddetto d.P.C.m. del 20 gennaio 2006, il quale ha un rilievo interpretativo essenziale, perché è diretto ad attuare norme destinate a valere solo per l’ormai trascorso anno finanziario 2006, “a titolo iniziale e sperimentale” (comma 337), limitatamente “al periodo di imposta 2005
(…) Dall’intero decreto attuativo risulta, perciò, confermato quanto desumibile dalla lettura sistematica delle norme censurate, e cioè che la devoluzione della quota del 5 per mille dell’IRPEF ai soggetti beneficiari si realizza in base alla volontà del contribuente, sia pure con la necessaria mediazione dello Stato, il quale non effettua una spesa, ma si limita, in esecuzione del vincolo di destinazione impresso dal medesimo contribuente, a corrispondere l’indicata quota d’imposta ad un soggetto svolgente un’attività considerata dall’ordinamento socialmente o eticamente meritevole. Solo in mancanza di un’idonea manifestazione di volontà del contribuente in tal senso, la quota del 5 per mille mantiene la sua originaria natura di entrata tributaria erariale e resta, perciò, destinata al complesso della spesa pubblica statale”
Forte di quanto sopra, chi scrive è del parere che sia giunto il momento di modificare una parte delle linee guida per l’utilizzo e la rendicontazione dei fondi 5 per mille riguardante l’acquisto di autovetture/ambulanze.
Nell’attuale versione del vademecum pubblicato dal MLPS si afferma infatti che nel caso in cui il contributo del 5 per mille sia utilizzato per l’acquisto di autovetture e/o ambulanze, l’Ente dovrà trasmettere una dichiarazione in cui si certifica che tale acquisto non sia stato oggetto di altri contributi pubblici.
Alla luce del fatto che il 5 per mille non ha la caratteristica di “fondi pubblici” viene meno la ratio di questa prescrizione che, al contrario, manterrebbe ancora senso qualora vi fosse una “contemporaneità” di provvidenze pubbliche: si vuole evitare che vi sia una doppia partecipazione pubblica per l’acquisizione dello stesso bene, che tuttavia non sussiste se parte dei fondi derivino dal 5 per mille.
Il concetto è stato adeguatamente spiegato in questo intervento a cui si rimanda per una trattazione completa.