E si iniziano a contare i danni del ciclone pandemico avanzando proiezioni, preventivi, riorganizzazioni con visione dinamica pronta a mutare orientamento al mutare degli input normativi influenzati dall’andamento dell’epidemia.
In questo scenario nel settore dello sport il massimo danno è stato subito dai gestori degli impianti sportivi. Da un lato infatti questi hanno visto arrestarsi improvvisamente i propri ricavi e i connessi flussi di cassa in entrata, dall’altro non hanno visto l’altrettanto pari azzeramento dei costi di gestione.
Oneri per manutenzioni, utenze, canoni di locazione o concessione, canoni di noleggio o di leasing, consulenze amministrative, assicurazioni, spese bancarie, spese di personale dipendente (salvo ricorso alla cassa integrazione), compensi sportivi per corsi online o per semplice sostegno, sono proseguiti anche nel periodo di lockdown per tutelare le strutture e per gli adempimenti amministrativi non procrastinabili in vista della ripartenza aggravando i conti economici dei gestori siano essi di impianti sportivi pubblici che privati.
Per i primi un vantaggio c’è rispetto ai secondi. I gestori di impianti pubblici potrebbero ottenere interventi di sostegno dagli enti pubblici concedenti seppur al termine di un processo di confronto con la pubblica amministrazione concedente non certo semplice che sarà oggetto di approfondimento in questa sede. Di contro i secondi hanno ampia autonomia nel muovere le leve gestionali per intervenire nel riassetto dei propri conti mediante, ad esempio, aumenti tariffari o modifiche di servizi su cui invece i gestori di impianti pubblici non sempre possono agire essendo vincolati agli impegni assunti nelle convenzioni con gli enti concedenti.
Ma entriamo più nel dettaglio delle prospettive future di azione per i gestori di impianti sportivi pubblici per comprendere meglio le procedure attivabili nei confronti dell’ente pubblico “proprietario” degli impianti al fine di avviare una programmazione operativa volta al sostanziale riequilibrio della propria situazione economica e finanziaria.
Il sostegno iniziale alla liquidità
A livello legislativo il primo intervento di sostegno della liquidità è intervenuto proprio a favore dei gestori di impianti sportivi pubblici.
Solo per questi, infatti, l’art. 95 del decreto legge “Cura Italia” del 17 marzo 2020 n.18 ha previsto la sospensione al 30 giugnodel pagamento dei canoni di locazione o concessione del periodo tra marzo e maggio. Successivamente la misura di sospensione è stata estesa anche al mese di giugno 2020 con possibilità di pagare tutti gli arretrati sospesi in unica soluzione al 31 luglio o mediante quattro rate mensili e quindi fino al mese di ottobre 2020.
Questa misura riguarda quindi:
a) Gli impianti sportivi di proprietà dello Stato o degli Enti Pubblici Territoriali (Regioni, Province, Comuni);
b) Affidati in gestione ad un soggetto privato (ASD/SSD, ma anche Federazione sportiva, Disciplina Sportiva, Ente di promozione) in forza di un contratto di concessione o di locazione.
La norma in commento di metà marzo e quindi di fatto agli albori del problema pandemico, ha inteso supportare questi gestori di impianti pubblici non drenando ad essi liquidità per il pagamento dei canoni a favore dell’ente pubblico proprietario.
L’intento, certamente apprezzabile, è apparso subito utile ma timido, sia per il fatto che fosse limitato ad un “rinvio” del pagamento e non ad una “riduzione”, totale o parziale, dello stesso, sia per il modesto tempo di sospensione (tre mesi, poi diventati quattro) peraltro avente fine in maggio (ora in giugno) in un periodo normalmente “scarico” di ricavi e quindi di entrate per i gestori di impianti, eccezion fatta per i gestori di impianti per la pratica di sport estivi o di piscine all’aperto.
La revisione dei contratti
La perdita di ricavi, la sussistenza, seppur ridotta, di costi di gestione nel periodo di chiusura, ma soprattutto la lenta ripartenza delle attività e quindi dei ricavi ed entrate peraltro a fronte di un pressoché totale ristabilimento dei costi di gestione incrementati dagli ammortamenti degli investimenti per la messa in sicurezza anti-covid degli impianti e dagli oneri operativi volti al rispetto dei protocolli attuativi per lo svolgimento delle attività (es. acquisto dei DPI, sanificazione, pulizie quotidiane “rafforzate”, consumo di igienizzanti, mascherine ecc.), hanno dato subito evidenza di un disequilibrio economico e finanziario di gestione.
Per i gestori di impianti sportivi pubblici che operano in forza di concessione o di locazione e che quindi gestiscono impianti per un periodo determinato, dovendo poi formalmente rilasciare gli impianti all’ente pubblico proprietario, il disequilibrio economico e finanziario dell’esercizio in corso – e plausibilmente anche di almeno un paio di prossimi esercizi – inficia alle radici il rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione.
Alla base infatti dei contratti di concessione o di locazione, ma prevalentemente delle concessioni, vi è la sussistenza di un equilibrio economico e finanziario della gestione rilevabile dal piano economico e finanziario redatto ante affidamento e su cui si sono basati i differenti interessi delle parti e cioè:
a) Da un lato quello della pubblica amministrazione concedendo in gestione un impianto sportivo che, altrimenti, avrebbe dovuto gestire direttamente;
b) Dall’altro quello del gestore che dalla stessa gestione può realizzare il giusto guadagno.
E questo a prescindere dalla rilevanza economica o meno dell’impianto e cioè che si tratti di impianti la cui gestione è remunerativa e quindi in grado di produrre reddito dalla gestione medesima o di impianti che non abbiano tali caratteristiche (così anche Consiglio di Stato, Sezione V, con Sentenza n. 5097/2009), e che necessitano di un assistenza finanziaria dall’ente pubblico concedente per consentire al gestore il conseguimento del proprio equilibrio economico e finanziario e quindi l’espletamento del servizio gestorio.
Occorre pertanto intervenire per ristabilire tale equilibrio coinvolgendo le due parti del contratto e quindi il gestore da un lato e appunto l’ente pubblico proprietario dall’altro.
In tal senso si è orientata la disciplina dei contratti pubblici succedutasi nel tempo in materia di concessione o di partenariato pubblico privato, e specificamente la Legge Merloni n. 109 del 1994 e s.m.i., il Codice dei Contratti Pubblici del 2006 (D.Lgs. n. 163 del 2006 e s.m.i.), e l’attuale Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. n. 50 del 2016 e s.m.i.).
Nello specifico, l’art. 19 comma 2-bis della legge 109/1994, Legge Merloni, nel premettere che “I presupposti e le condizioni di base che determinano l’equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione, da richiamare nelle premesse del contratto, ne costituiscono parte integrante” evidenziava altresì che laddove intervenissero norme legislative e regolamentari tali da determinare una modifica dell’equilibrio del piano economico e finanziario, ne sarebbe derivata la necessità di una revisione da attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di equilibrio. In mancanza veniva data la possibilità al gestore di recedere dal contratto.
Analogamente si esprimono anche l’art. 143, comma 8 e 8-bis, del D.Lgs. 163/2006 nonché l’art. 165, comma 6, del D.Lgs. 50/2016 (nuovo codice dei contratti pubblici).
Tra le modalità per il ristabilimento dell’equilibrio economico finanziario tutte e tre le normative citano il prolungamento della durata della concessione.
È di tutta evidenza che la proroga del termine di durata del rapporto di concessione, ma analogicamente anche della locazione, consente al gestore di avere maggior tempo per assorbire le perdite causate dalla sospensione delle attività per il Covid-19.
Ma tale intervento non è l’unica soluzione, pur essendo probabilmente quello più semplice da attuare, seppur con le precauzioni e limitazioni di cui si dirà nel prosieguo.
I limiti di legge alla revisione dei contratti
Con un intervento d’imperio contenuto nel Decreto Legge 34/2020 (c.d. Decreto “Rilancio”), all’art. 216, il legislatore ha voluto porre un freno alla possibile “escalation” di richieste di revisione dei contratti di concessione. Specificamente si dispone che venga data la “possibilità” alle parti dei contratti di concessione di concordare la revisione dei rapporti purché si tratti di rapporti aventi scadenza entro il 31 luglio 2023.
La norma appare infelice sotto diversi aspetti.
Innanzi tutto le disposizioni dei contratti pubblici dianzi citati, dalla legge Merloni fino al nuovo codice dei contratti pubblici, stabiliscono la revisione dei piani economico finanziari in presenza di fatti non riconducibili al concessionario al fine di ristabilire l’equilibrio economico e finanziario senza nessun riferimento o limite temporale alla scadenza naturale del contratto in essere.
E ragionevolmente questa è l’impostazione che appare più condivisibile. Eventi che oggettivamente, come nel caso delle chiusure degli impianti e delle attività in conseguenza della pandemia, minano all’equilibrio economico – inteso come differenza positiva tra ricavi e costi – e finanziario – inteso come differenza positiva tra flussi di cassa in entrata e in uscita – vanno analizzati con una revisione del piano economico-finanziario, posto alla base del contratto di concessione, a prescindere dalla scadenza naturale della concessione, al fine di verificare la capacità del gestore di poter ristabilire quell’equilibrio.
Secondo il vigente codice dei contratti pubblici l’equilibrio economico e finanziario si verifica con la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria, laddove per convenienza economica si intende la capacità del progetto di creare valore nell’arco dell’efficacia del contratto e di generare un livello di redditività adeguato in rapporto al capitale investito; mentre per sostenibilità finanziaria si intende la capacità del progetto di generare flussi di cassa sufficienti a garantire il rimborso dei finanziamenti ottenuti o apportati per la realizzazione di investimenti negli impianti o per la diretta gestione degli stessi.
Situazioni straordinarie come quelle appena vissute del Covid-19, anche in considerazione dei rallentamenti operativi di ripresa per gli attuali obblighi di distanziamento sociale da attuare a decorrere dalla fase della ripartenza, producono effetti di inevitabile contrazione del reddito e dei flussi di cassa netti attesi per tutti gli operatori e, quindi, per tutti i gestori di impianti sportivi con l’ovvia e conseguente necessità, per i gestori di impianti pubblici, di “revisionare” i propri conti e di portarli all’attenzione dell’ente concedente al fine di valutare, congiuntamente, la permanenza dei presupposti di base della concessione, anche in relazione alla concreta possibilità di prosecuzione nell’esecuzione dei servizi attesi.
Il porre un riferimento temporale, quale appunto la data del 31 luglio 2023, quale termine di scadenza della concessione per acconsentire ex lege la mera possibilità di concordare la revisione dei rapporti concessori, appare quindi illogico e privo di fondamento economico e giuridico.
Nella sostanza di fatto ogni concessionario potrà avanzare la richiesta di revisione perché ciò è stabilito nel contratto stesso di concessione (o quanto meno dovrebbe essere previsto nei contratti di concessione). La possibilità ammessa ora per legge dall’art. 216 del Decreto Legge “Rilancio” (n.34/2020) sembra più che altro un monito affinché, almeno nei casi di più evidente difficoltà alla capacità del gestore di recuperare quel livello di redditività adeguato in rapporto al capitale investito e di ottenere liquidità tali da poter rimborsare tutti i finanziamenti (si pensi ai casi dei gestori che abbiano sottoscritto mutui per la ristrutturazione degli impianti) particolarmente coinvolgente i soggetti con una scadenza “a breve” del termine di durata della concessione (appunto il 31 luglio 2023), la pubblica amministrazione, su sollecitazione della parte, diventi propositiva, finanche ad esserne promotrice, nell’individuare soluzioni idonee al ristabilimento degli equilibri economico e finanziari alterati.
Si è dell’avviso che la revisione interessi anche quei concessionari che gestiscano impianti sportivi pubblici pur senza aver effettuato investimenti.
L’espressione dell’art. 216 citato secondo cui la revisione deve “favorire il graduale recupero dei proventi non incassati e l’ammortamento degli investimenti effettuati o programmati” non sta ad indicare la necessità della presenza di entrambi gli elementi di impatto economico onde poter avviare la procedura di revisione. È sufficiente infatti uno solo dei due elementi (il recupero dei ricavi o un maggior tempo per il completamento dei processi di ammortamento degli investimenti effettuati) per originare l’esigenza della revisione del piano economico finanziario ove questo avesse subìto le alterazioni per le misure restrittive sull’operatività quotidiana dando origine al disequilibrio di cui qui si discute. La norma dell’art. 216 quindi intende sostenere che l’intervento di revisione deve garantire l’integrale ristabilimento delle condizioni di equilibrio volte appunto ad assicurare sia il recupero dei ricavi non incassati (da intendersi come capacità di creare le condizioni per un ripristino dell’originario livello dei ricavi laddove possibile) sia il recupero degli investimenti ove sussistenti con il completamento della procedura di ammortamento o uno solo dei due in caso mancasse l’altro elemento di riferimento per l’analisi del riequilibrio.
Infine si ritiene che tali riflessioni valgano anche per i contratti di locazione pur in assenza di un piano economico e finanziario iniziale con l’obiettivo di dimostrare lo squilibrio intervenuto e, quindi, in sostanza, l’eccessiva onerosità del canone sempre al fine di un condiviso riassestamento dei conti.
Elementi per la revisione dei contratti
La revisione del contratto di concessione o anche di locazione con la finalità appunto di ristabilire l’equilibrio economico e finanziario può consistere anche in un solo elemento di intervento peraltro citato sia nei codici dei contratti sia nello stesso art. 216 del Decreto “Rilancio” e cioè la proroga della durata del rapporto, così da favorire appunto “il graduale recupero dei proventi non incassati el’ammortamento degli investimenti effettuati o programmati”.
Dalla relazione illustrativa dell’art.216 si rilevano in proposito due rilevanti conferme: la prima è l’espresso riferimento ai maggiori costi di gestione che dovranno essere sostenuti da parte dei gestori quale concausa del disequilibrio economico e finanziario “… i gestori dovranno comunque fronteggiare rilevanti spese fisse quali utenze, canoni di concessione, tasse … compensi per i vari collaboratori sportivi. Peraltro, gli operatori dei centri sportivi dovranno presumibilmente anche affrontare maggiori spese di riqualificazione degli impianti sportivi per garantire le condizioni minime di sicurezza tra gli utenti, ivi inclusa una possibile riduzione del numero delle presenze all’interno degli impianti sportivi” e di cui tener conto ai fini della revisione dei piani economico e finanziari; la seconda è che la “proroga del termine di durata del rapporto” rappresenta solo una delle possibilità per addivenire al ripristino dell’equilibrio economico finanziario. Sempre la relazione illustrativa, chiarisce infatti che la domanda di revisione del rapporto concessorio possa essere attuata “… anche attraverso l’allungamento del termine di durata del rapporto”, laddove “anche” sta proprio a significare che la proroga rappresenta una delle modalità, ma non l’unica applicabile.
Infatti, l’azione di revisione contrattuale per tale fine può certamente essere maggiore toccando una pluralità di elementi posti alla base dell’originario contratto al fine del raggiungimento dell’obiettivo del riequilibrio.
A titolo esemplificativo, la revisione potrebbe consistere in uno o più dei seguenti interventi in un’ottica di “mix” di azioni da valutarsi poi caso per caso in funzione delle condizioni concrete, quali:
a) Revisione delle tariffe per gli utenti, comprese le tariffe predefinite dagli enti concedenti per talune categorie di utenti;
b) Riduzione delle ore riservate ad attività dell’ente concedente per concederle al libero utilizzo del gestore;
c) Accollo in tutto o in parte di taluni costi di gestione da parte dell’ente concedente, dalle manutenzioni ordinarie e straordinarie, alle utenze;
d) Sostenimento da parte dell’ente concedente delle spese per la messa in sicurezza degli impianti;
e) Concessione di canoni di disponibilità o di contributi in conto esercizio;
f) Riduzione dell’importo del canone di concessione o di locazione (e non quindi mera “sospensione” come previsto dal Decreto “Cura Italia”);
g) Sostenimento da parte dell’ente concedente di interventi di ristrutturazione programmati nell’originaria concessione e non ancora completati;
h) Riduzione dei livelli di servizio sia in termini di qualità che di quantità all’utenza.
L’esemplificazione certamente non esaustiva evidenzia una costante e cioè la necessità per l’ente pubblico concedente di intervenire a sostegno dell’operatore privato gestore, salvo nell’ultima tipologia di intervento dianzi ipotizzata, che tuttavia incide sul rapporto con l’utenza e quindi con la collettività e che, per come definita, si porrebbe in contrasto con il fine principale dell’azione della pubblica amministrazione di dover offrire un servizio al pubblico con il massimo livello qualitativo e quantitativo possibile.
In proposito occorre sottolineare due aspetti rilevanti che incideranno certamente sulle decisioni da assumere:
1. i possibili limiti rappresentati dalle effettive disponibilità dei bilanci dell’ente concedente, bilanci che, sempre in conseguenza della pandemia, rischiano di ridimensionare le proprie fonti di entrate a fronte di un aumento di costi in conto esercizio e in conto capitale per l’ente pubblico proprietario;
2. in presenza di contratti di partenariato pubblico privato, quale la finanza di progetto (project financing) l’intervento finanziario dell’ente concedente non può eccedere il quarantanove per cento del costo dell’investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari.
A ridimensionare lo stato di crisi e quindi il livello di disequilibrio economico finanziario vi sono però due fattori da tenere in debita considerazione nel confronto con l’ente concedente:
1. i minori costi “variabili” subìti nel corso del periodo di chiusura (quali, a titolo di esempio, la riduzione dei costi per i consumi delle utenze e la riduzione dei costi relativi ai servizi ed alle prestazioni, anche di lavoro autonomo, non fruite durante la chiusura);
2. le misure di sostegno cui eventualmente potranno fare accesso i gestori (quali, contributi a fondo perduto statali o regionali, crediti d’imposta anche a fronte di spese di sanificazione o di adeguamento strutturale dei luoghi di lavoro).
Altro elemento da considerare è quello che riguarda il “timing” dell’azione di riequilibrio e ciò tenuto conto proprio del fatto che gli effetti dell’emergenza potrebbero protrarsi nel medio periodo e non, probabilmente, cessare immediatamente dopo la fine di tale emergenza. In merito, la soluzione che potrebbe essere adottata è quella di attendere, ove possibile, la stabilizzazione degli effetti oppure, ove la puntuale erogazione dei servizi necessiti di un intervento tempestivo, si potrà ipotizzare di procedere con azioni di breve periodo di riequilibrio cui far seguito con interventi stabili allorquando gli effetti sviluppatisi nel medio periodo saranno accertati in via definitiva.
Un’ultima considerazione in merito agli elementi per una corretta azione di revisione attiene alla necessità di avere “visione” anche dei potenziali nuovi interventi legislativi di settore che possano avere ripercussione sui bilanci delle società e associazioni sportive.
In proposito giova certamente sottolineare come con la legge delega 8 agosto 2019, n.86 si sono gettate le basi per un intervento di riforma del settore sportivo il quale, tra i vari ambiti di azione, prevede anche il riordino delle disposizioni in materia di rapporto di lavoro sportivo.
Da tale riordino si attendono norme volte a prevedere oneri assicurativi e previdenziali che, pur con il fine di tutelare i legittimi interessi dei lavoratori dello sport, determineranno aggravi economici che incideranno sia sui datori di lavoro (società e associazioni sportive) sia sugli stessi lavoratori (mediante il sistema delle trattenute alla fonte) e che quindi comporteranno un ulteriore sforzo sul fronte dei ricavi e delle entrate per ristabilire l’equilibrio economico e finanziario di gestione.
Il provvedimento di attuazione della predetta legge delega è atteso per il prossimo mese di agosto, ma in proposito si possono prevedere oneri aggiuntivi in percentuali variabili rapportate ai compensi ispirandosi ad esempio a quanto proposto con recente documento elaborato dalla società Sport e Salute S.p.A. in relazione al disegno di legge di conversione del Decreto “Liquidità” (prelievo percentuale per scaglioni di reddito quale ad es. il 4% di prelievo per redditi fino a 5.000€, l’8% per redditi da 5.000€ a 10.000€ e del 12% per redditi da 10.000€ a 15.000€).
Procedura di revisione
In merito alle modalità operative ed ai criteri secondo i quali procedere con il riequilibrio, occorrerà fare in primis riferimento ad eventuali clausole contenute nei rispettivi contratti di concessione o locazione.
In assenza di clausole puntuali per la procedura di revisione o comunque come linea guida di comportamento, ci si potrà attenere alle indicazioni previste dall’art. 34 (“Riequilibrio economico-finanziario”) della “Guida alle pubbliche amministrazioni per la redazione di un contratto di concessione per la progettazione, costruzione e gestione di opere pubbliche in partenariato pubblico privato” del 21 settembre 2018 che testualmente dispone:
“3. Al verificarsi di uno degli eventi di cui al comma 1, il Concessionario, al fine di avviare la procedura di revisione del Piano Economico Finanziario, ne dà comunicazione scritta al Concedente, indicando con esattezza i presupposti che hanno determinato l’alterazione dell’equilibrio economico finanziario e producendo la seguente documentazione dimostrativa:
a) Piano Economico Finanziario in Disequilibrio, in formato editabile;
b) Piano Economico Finanziario Revisionato, in formato editabile;
c) relazione esplicativa del Piano Economico Finanziario Revisionato, che illustri tra l’altro le cause e i presupposti che hanno indotto alla richiesta di revisione e i maggiori oneri da esso derivanti;
d) schema di atto aggiuntivo per il recepimento nel Contratto di quanto previsto nel Piano Economico Finanziario Revisionato.
Alla ricezione della predetta comunicazione, le Parti avviano senza indugio la revisione del Piano Economico Finanziario.
4. La revisione del Piano Economico Finanziario è finalizzata a determinare il ripristino degli indicatori di Equilibrio Economico Finanziario, nei limiti di quanto necessario alla sola neutralizzazione degli effetti derivanti da uno o più degli eventi che hanno dato luogo alla revisione. La revisione deve, in ogni caso, garantire la permanenza dei rischi in capo al Concessionario”.
L’articolo citato, oltre a riprodurre i documenti necessari per la revisione, evidenzia un elemento importante nel confronto tra l’ente concedente e il gestore ovverosia che la revisione non deve rappresentare un “vantaggio” per i gestori, ma che, anzi, in capo ad essi permangano i rischi operativi e almeno due dei tre rischi su cui si fondano i partenariati pubblici privati e cioè il rischio di costruzione, il rischio di disponibilità e il rischio di domanda.
Senza addentrarci nel merito della definizione e comprensione dei vari rischi, deve in questa sede permanere un concetto chiaro: la disponibilità dell’ente concedente all’azione di revisione non deve condurre ad un’alterazione del principio espresso dalla norma dell’attuale Codice dei Contratti Pubblici e sotteso nelle corrispondenti norme previgenti dianzi citate, vale a dire il principio secondo il quale “La revisione deve consentire la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore economico e delle condizioni di equilibrio economico finanziario relative al contratto” (art. 165, c. 6, d.Lgs. n. 50/16 e s.m.i.).
La rinegoziazione del contratto pur con il fine di voler ripristinare le condizioni di equilibrio non deve quindi determinare una sottrazione di rischi sussistenti in capo al concessionario secondo quanto peraltro previsto dall’originario contratto, ma deve essere indirizzata a riportare lo stesso concessionario nella medesima condizione nella quale si trovava antecedentemente all’intervenuto disequilibrio, ivi compresa la sua posizione di soggetto in capo a cui appunto debbano ricadere i rischi operativi.
Conclusioni
È certamente il momento di avviare il confronto tra i gestori di impianti sportivi pubblici e gli enti concedenti.
Il lavoro da farsi è certamente complesso basandosi essenzialmente su dati storici e rettifiche previsionali supportate da piani operativi che tengano conto della situazione contingente e della sua possibile evoluzione.
Il risultato finale deve essere sempre quello di contemperare le esigenze di tutti, sia degli attori in campo e quindi la pubblica amministrazione da un lato e il gestore dall’altro, ma anche della collettività che da tali attori attende poi l’effettiva erogazione del servizio atteso.
Le maglie di azione con cui potrà muoversi la pubblica amministrazione sono davvero rigide, costrette tra limiti di bilancio, necessità di garantire il servizio all’utenza, nonché trasparenza amministrativa e imparzialità nelle proprie decisioni tali da non condurre a soluzioni che possano essere censurate dalle aspettative di altri operatori del settore di fronte, ad esempio, a scelte di prolungamento del rapporto concessorio senza comprovate motivazioni.
L’immagine attuale è che la coperta sia corta. L’impegno, la lungimiranza, la professionalità di tutti i protagonisti sono assolutamente fondamentali.
L’estrema soluzione è che in caso di mancato accordo sul riequilibrio del piano economico finanziario, le parti possano recedere dal contratto (si veda per tutti l’art. 165, c. 6, D.Lgs. n. 50/2016). Ciò appare almeno inizialmente una sconfitta per tutti stante la necessità che si possa presto individuare un nuovo gestore dell’impianto, cosa di non facile soluzione, considerati i tempi attuali, prima che lo stesso impianto vada in degrado, nonché il rischio di un contenzioso con il gestore uscente quantomeno sui termini di determinazione del valore di rimborso che lo stesso articolo 216 del Decreto “Rilancio” individua nel “valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l’opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, nel valore dei costi effettivamente sostenuti dal concessionario, nonché delle penali e degli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza dello scioglimento del contratto”.