La crisi del Governo Monti e lo scioglimento dei due rami del Parlamento hanno portato con sé anche la decadenza del progetto di legge per l’istituzione del Tribunale dello Sport.
Il progetto, presentato in Senato lo scorso 15 novembre 2012 a cura del senatore On. Adragna e sottoscritto da tutti gli schieramenti politici, prendeva spunto dalle vicende della scorsa estate che la Giustizia Sportiva è stata chiamata a giudicare con riferimento a taluni tesserati accusati, a vario titolo, di illeciti nell’ambito dello scandalo del “Calcioscommesse”.
Queste vicende avrebbero riproposto, a detta dei promotori, la questione dell’intervento della giurisdizione dello Stato in sede di impugnazione delle decisioni delle Corti di Giustizia Federali.
Elemento centrale dell’iniziativa parlamentare era la tutela del tesserato, declinata sia come tutela del diritto soggettivo al mantenimento del rapporto di lavoro (che può essere risolto unilateralmente dalla società di appartenenza), sia come tutela del diritto soggettivo alla difesa della sua integrità morale, nonché dell’immagine di leale professionista.
Dopo aver rilevato che le sanzioni previste dal Codice Federale per tali violazioni sono di elevata gravità (le squalifiche, a seconda dei casi, non sono inferiori a 3/6 mesi e si spingono fino ad un massimo di 3 anni), i promotori del progetto segnalavano nella relazione di accompagnamento che proprio il rigore con cui opera la “giustizia sportiva” postulava che i controlli giurisdizionali in sede di impugnazione dei suoi arresti fossero altrettanto inflessibili, fondandosi – con riferimento ai modelli decisionali adottati, alle motivazioni dei provvedimenti e alle sanzioni inflitte ai tesserati – su meccanismi processuali atti a ricostruire l’intera res giudicanda e a verificare in modo appropriato le linee di legittimità e di adeguatezza delle decisioni oggetto dei ricorsi.
Lungi dal mettere in dubbio la professionalità delle Corti Federali e dei suoi componenti, gli On.li Senatori ponevano in risalto l’inadeguatezza dello stesso processo sportivo, e in particolare la ridotta tutela a disposizione dei tesserati una volta esauriti i vari gradi di giudizio sportivo.
Sotto il profilo processuale giova ricordare come le decisioni degli organi di giustizia sportiva rientrino senza dubbio nel novero degli atti amministrativi e possano essere impugnate dinanzi al giudice amministrativo solo per la tutela risarcitoria. L’attuale disciplina (art. 2, legge 17 ottobre 2003 n. 280) prevede infatti che la decisione in ordine a controversie aventi a oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche, inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e società sportive, ove coinvolgano situazioni di diritto soggettivo (o di interesse legittimo) siano tutelabili dinanzi al giudice amministrativo sia pure attraverso la sola tutela risarcitoria.
Ma questa impostazione (recentemente confermata dal Consiglio di Stato, Sez VI, sent. n.302 del 24.1.2012) veniva dai promotori criticata e censurata perché la decisione dell’organo di giustizia sportiva, pur rivestendo i caratteri di atto amministrativo, non può essere in alcun modo paragonata ai provvedimenti amministrativi classici giacché attiene ad accertamenti di fatto e motivazioni in fatto e in diritto funzionali al giudizio finale di condanna o di assoluzione, che non si rinvengono in nessuno degli atti della Pubblica Amministrazione impugnabili dinanzi alla giurisdizione amministrativa.
Da qui l’opportunità, se non proprio l’esigenza, che gli strumenti del sindacato giurisdizionale sulle decisioni degli organi della giustizia sportiva fossero ricondotti a quelli del giudice ordinario, ben più penetranti e completi rispetto ai mezzi di accertamento utilizzati dal giudice amministrativo, il quale giudica esclusivamente sulla base di documenti e non può svolgere alcuna verifica se non quella affidata, per singoli atti o per tutto il processo, al consulente tecnico.
Queste considerazioni, tuttora di estrema attualità, erano alla base del disegno di legge con il quale un folto raggruppamento di Onorevoli Senatori proponeva al Parlamento di approvare la riforma del sistema di impugnazioni delle decisioni della giustizia sportiva, imperniandola sulla giurisdizione del Tribunale del lavoro.
Ecco in sintesi i principali temi innovativi del progetto di legge:
1) l’istituzione, nell’ambito della Sezione Lavoro del Tribunale di Roma, di una Sezione specializzata nella cognizione delle impugnazioni contro le decisioni delle Corti e dei Tribunali di giustizia di ultimo grado delle Federazioni sportive affiliate al CONI, relative agli illeciti e alle sanzioni previsti dai Codici di giustizia sportiva; la sezione, denominata Tribunale dello Sport, dovrebbe essere formata da magistrati della Sezione Lavoro, oltre che da giudici onorari esperti in diritto sportivo nominati dal Consiglio Superiore della Magistratura;
2) il Tribunale dello Sport sarebbe stato istituito a Roma, presso il CONI;
3) i relativi procedimenti seguirebbero il rito del processo del lavoro e sarebbero improntati alla massima celerità (20 giorni dalla prima udienza per il primo grado e 15 giorni dal deposito del ricorso in cancelleria per l’appello) in considerazione delle particolari esigenze delle attività sportive;
4) i motivi di ricorso sarebbero connaturati alla specificità delle decisioni delle Corti sportive, i cui procedimenti utilizzano sistemi probatori e parametri di giudizio assimilabili a quelli processuali ordinari; in particolare il ricorso potrebbe essere proposto per uno o più dei seguenti motivi:
4.1) violazione di norme di diritto comune o di norme regolamentari federali o dello Statuto e dei regolamenti del CONI;
4.2) violazione del diritto di difesa nella raccolta di atti rilevanti del procedimento, nonché nella discussione dinanzi alla Commissione;
4.3) violazione della garanzia del contraddittorio fra le parti in condizioni di parità, con particolare riguardo alla omessa formazione della prova per testi nella discussione dinanzi alla Commissione;
4.4) falso o insufficiente apprezzamento dei fatti e delle prove;
4.5) erronea applicazione delle norme sul rito premiale conseguente alla illogica o non corretta valutazione delle testimonianze e delle altre prove raccolte nelle indagini preliminari;
4.6) erroneità o contraddittorietà della motivazione su punti essenziali;
4.7) erronea applicazione delle sanzioni.
5) resterebbe ferma la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti.
Concludendo, l’obiettivo che si proponevano i Senatori firmatari del disegno decaduto, e che speriamo sia ripreso quanto prima nella prossima Legislatura, era il conseguimento di soddisfacenti risultati sul piano dell’affermazione della verità per mezzo di un sistema di giustizia innervato da giudici specializzati e fondato sul rigore degli accertamenti e sulla approfondita valutazione delle prove, ferma restando l’autonomia delle Corti Federali e quindi nella sostanza dei due gradi giurisdizionali della giustizia dello sport.
* Federico Loda, Dottore Commercialista e Revisore contabile in Verona