La questione trae origine da un accertamento elevato nei confronti di un'associazione sportiva dilettantistica affiliata alla Federazione Nazionale Sport Equestri (FISE) e iscritta al CONI, nei confronti della quale l'Agenzia delle Entrate aveva ricostruito induttivamente il reddito sul convincimento che i servizi relativi alla cura e al mantenimento dei cavalli, in quanto accessori e complementari rispetto all'attività istituzionale, dovessero ritenersi di natura commerciale e pertanto soggetti a IVA e imposte sui redditi. L'ufficio perveniva a tale conclusione essenzialmente sulla scorta delle seguenti considerazioni:
- L'associazione offriva agli associati un'ampia gamma di servizi applicando ad essi una politica di sconti sulle tariffe;
- Si avvaleva di servizi di pubblicità;
- I proventi derivanti da tali servizi erano di gran lunga superiori a quelli per organizzazione di eventi sportivi.
Nella ricostruzione del volume d'affari l'Ufficio, pur in presenza di una contabilità nel suo complesso regolare e attendibile, si avvaleva del metodo induttivo, rilevando la presenza dei cavalli dal registro degli equidi e applicando le tariffe praticate per i vari servizi aggiuntivi di cura e stazionamento.
Ignorava poi l'opzione per la legge 398/ 91 e, ai ricavi così ricostruiti, applicava le imposte ordinarie in luogo del più favorevole regime che, come è noto, consente di assoggettare ad IRES ed IRAP il 3% dei ricavi commerciali, e di versare l'IVA previa detrazione forfetaria del 50%.
Accogliendo in toto il ricorso dell'Associazione i giudici milanesi hanno censurato l'operato dell'ufficio e dichiarato che il servizio di pensionamento è inscindibile dalla attività sportiva equestre e che la cura e l'accudimento dell'animale sono attività a tutti gli effetti inerenti e conseguenti allo svolgimento dello sport.
Dimostrando di aver compreso la peculiarità del settore ippico, i Giudici hanno fatto proprio il convincimento espresso anche dalla Commissione Tributaria Regionale lombarda con la sentenza n. 2048 del 16 aprile 2014 (qui allegata), la quale ha ritenuto che lo scopo sociale, consistente nella pratica e nella la diffusione dello sport equestre richiede per sua natura l'accoglienza e la cura dei cavalli degli associati, sicché i corrispettivi specifici conseguiti a fronte di tale attività, rientrando nei fini istituzionali dell'ente, possono beneficiare della decommercializzazione di cui all'articolo 148 T.U.I.R.
Infine i Giudici hanno ritenuto che in presenza dello Statuto sociale contenente tutti i requisiti formali previsti dal citato articolo, e della contabilità regolarmente tenuta, una politica di differenziazione dei prezzi e di servizi offerti agli associati, così come il ricorso a prestazioni pubblicitarie non integrano in alcun modo violazione delle norme poste dal legislatore tributario a garanzia delle agevolazioni concesse al settore dello sport dilettantistico.
La commentata sentenza ha il pregio di inserirsi in un filone giurisprudenziale che ha contribuito a sgombrare il campo dai dubbi che sono insorti presso gli operatori del settore equestre fin dalla prima riforma del no profit avvenuta nel 1998 ad opera del D. Lgs. 460/1996.
Mentre le lezioni di equitazione e le tasse di gara non generavano dubbi circa il loro inquadramento tra i proventi decommercializzati 1 per i corrispettivi legati alla cura e al mantenimento del cavallo, non appariva così pacifico un analogo inquadramento e ciò per diversi motivi. In primo luogo perché cura e mantenimento del cavallo implicano una serie di attività che vanno dalla cosiddetta scuderizzazione, che comprende l'ospitalità in spazi chiusi o all'aperto dotati di lettiere che necessitano di frequenti sostituzioni e pulizie, al sellaggio e dissellaggio, al servizio di giostra, tosatura, sorveglianza, pulizia, alimentazione, mascalcia, somministrazione di prodotti veterinari, trasporti da e verso i campi di gara ecc.
Anche per gli addetti ai lavori non è sempre agevole distinguere tra attività necessarie per la realizzazione degli scopi istituzionali e attività che possono nascondere profili di commercialità. Basti pensare alla “famigerata “ interpretazione 2 che ha considerato commerciali i servizi di idromassaggio e centro benessere presso le palestre di fitness, in quanto non strettamente inerenti alla pratica sportiva.
Anche la citata sentenza 2048 del 2014, che riconosceva il carattere non commerciale delle attività di ospitalità del cavallo, non aveva sgombrato del tutto il campo da dubbi interpretativi in quanto ne limitava la portata alle sole quote di proventi non eccedenti i costi sostenuti dal sodalizio.
Secondo i giudici lombardi infatti il mero rimborso delle spese sarebbe detassato, mentre una eventuale eccedenza, costituendo margine di guadagno, sarebbe configurabile quale provento tassabile. Agli operatori del settore non può sfuggire la difficoltà derivante dalla individuazione della quota costituente rimborso da quella potenzialmente configurabile quale guadagno, individuazione che richiederebbe continue rilevazioni, se non addirittura l'adozione di una contabilità industriale ad hoc.
In tale contesto giurisprudenziale la sentenza della Commissione Tributaria del dicembre scorso, nell'assimilare tout court i proventi da scuderizzazione e cura del cavallo a quelli istituzionali, rappresenta un ulteriore passo avanti nel creare, per quanto possibile, un contesto normativo in cui gli “addetti ai lavori” possano agire con tranquillità .
E ciò anche in considerazione del fatto che la riclassificazione in sede di accertamento dei proventi in parola quali entrate commerciali, costituendo nella maggior parte dei circoli ippici la maggiore voce di entrata, espone i sodalizi e i loro rappresentanti legali al non trascurabile rischio economico derivante dal pagamento di tributi e sanzioni di rilevante entità.