La portata della legge delega di riforma del Terzo Settore italiano può essere paragonata a un nuovo D-day per l’ampiezza della delega conferita al Governo (forse un po’ troppa). In questo articolo le prime osservazioni di carattere generale.
Finalmente si dà una definizione in positivo di “terzo settore” mentre, fino a ieri, era definito in negativo come ciò che “non è” né pubblico né privato.
Nell’art. 1 della legge 106/2016 si afferma che “per Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi”.
Personalmente, anziché “enti privati” li avrei definiti “enti di diritto privato” ma forse è una mia vecchia impostazione scolastica.
Il nuovo avanza, anche se non è detto che il nuovo sia migliore del vecchio a prescindere.
Spesso il nuovo viene costruito con troppa fretta e sufficienza e, appena varato, necessita di immediate azioni di restauro.
Sulla portata della “assenza di finalità di lucro” spesso si fa confusione: se cioè si debba intendere che i rendiconti degli enti non profit debbano chiudere il bilancio in pareggio (sbagliato) o se invece, la presenza di un avanzo di gestione sia sintomo di una discreta salute (corretto) ma tale avanzo di gestione non è possibile distribuirlo, anche indirettamente, agli associati o a persone coinvolte nella gestione dell’ente.
Sempre nell’art. 1 leggiamo che cosa può fare un ente del Terzo settore, vale a dire attività di interesse generale da attuarsi mediante:
• azioni volontarie e gratuite o
• mutualità o
• produzione e scambio di beni e servizi
Le tre linee ci portano immediatamente a pensare a
• organismi di volontariato dove le prestazioni sono gratuite e rese da volontari, per i quali è possibile percepire solo il rimborso delle spese effettivamente sostenute
• cooperative
• attività di impresa, anche se, di per sé, la produzione e lo scambio di beni e servizi non significa molto poiché ciò che delinea meglio l’area è il fatto che, sottostante alla produzione e allo scambio dei beni e dei servizi, via sia o meno un corrispettivo, a nulla importando il fatto che sia più o meno remunerativo dei fattori produttivi.
Ma vediamo di non spaccare il pelo in quattro.
Come già ho avuto modo di dire, la riforma del Terzo settore è sicuramente un D-day: le deleghe conferite al Governo sono talmente ampie che in taluni punti rischiano di risultare evanescenti.
La legge delega chiede al Governo di legiferare mediante una serie di decreti legislativi da presentare al Parlamento almeno entro il prossimo 18 maggio 2017 (45 giorni prima del 2 luglio 2017): i tempi perciò sono strettissimi in considerazione della mole di lavoro a cui porre mano.
Con gli articoli 3 e 4 si conferisce delega al Governo affinché si riorganizzi il titolo II del libro I del codice civile (art. 3) e si provveda a riordinare, rivedendole, le leggi speciali che via via nel tempo sono state emanate (art. 4), comprese quelle relative alle organizzazioni di volontariato, di promozione sociale e di mutuo soccorso (art. 5).
Assieme alla riforma delle norme civilistiche, saranno da sviluppare sia le norme relative alle procedure di riconoscimento della personalità giuridica, sia quelle in tema di procedure concorsuali applicabili agli enti, oltre a quelle relative alle operazioni straordinarie (trasformazione/ fusione/scissione) anche eterogenee.
Tralasciando l’art. 6, dedicato all’impresa sociale, con l’art. 7 si devolve al Ministero del Lavoro il potere di vigilanza sull’intero Terzo settore, salvi i necessari coordinamenti con i Ministeri competenti in base alla specifica attività svolta dall’ente.
Questo significa che pure tutta l’attività di pubblicità (cfr. anche art. 4, comma 1, lettera m) connessa agli enti del Terzo settore (atti costitutivi e statuti, cariche di rappresentanza dell’ente ecc.) sarà di competenza del Ministero del lavoro che dovrà organizzare il Registro unico nazionale del Terzo settore, ma senza aggravio della finanza pubblica.
Sul punto il mio scetticismo è molto forte poiché per organizzare tutto l’impianto occorrono risorse umane e mezzi (soprattutto informatici) di importanti proporzioni e che oggi vedo solo nel Registro delle Imprese, seppure con tutti i suoi limiti.
Alla revisione delle misure fiscali e di sostegno economico si è previsto con l’art. 9 mediante il quale si delineano due categorie di enti non commerciali:
– quelli le cui attività saranno qualificate di “interesse generale” e che abbiano finalità civiche, solidaristiche o di utilità sociale, godranno di un insieme di agevolazioni fiscali premiali
– diversamente, gli enti non commerciali “non di interesse generale” avranno un altro regime che, auspicabilmente, non dovrà essere inferiore a quello già previsto negli artt. 143 e 148 TUIR e quindi la non imponibilità di:
• quote associative e corrispettivi specifici
• fondi pervenuti in occasione delle raccolte pubbliche di fondi
• corrispettivi e contributi da Enti pubblici per lo svolgimento convenzionato o in regime di accreditamento
oltre alla possibilità di accedere a regimi fiscali supersemplificati se ed in quanto si esercitino attività commerciali.
Di tutti questi aspetti ci si occuperà con successivi interventi sul tema.
A titolo del tutto personale la legge delega apre la via al Governo della completa revisione della fiscalità degli enti del Terzo settore compresa una loro possibile riduzione.
Lo stesso effetto non lo si sarebbe potuto ottenere con il semplice annuncio di una revisione delle norme agevolative al Terzo settore: la levata di scudi generale avrebbe chiuso sul nascere qualunque tipo di trattativa.
E cosa accadrà alle associazioni sportive? e alle società sportive senza fini di lucro?
Come si dice alla radio “stay tuned”: nelle prossime edizioni ci saranno altri interventi sul tema.