Il combinato disposto degli artt. 7, comma 1, lettera i, del D. L.vo 30/12/1992 n. 504 e art. 7, comma 2-bis, del D.L. 30/9/05 n. 203 (conv. con modif. dalla Legge 2/12/2005 n. 248), già citati nell’articolo della dott.ssa Sideri sulla presente newsletter, porta alla seguente individuazione degli immobili, posseduti e utilizzati dagli enti non commerciali, che hanno diritto all’esenzione ICI: si tratta di quelli “destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”, a condizione che tali attività non abbiano esclusivamente natura commerciale.
In proposito è intervenuta a inizio anno la Circolare 26/1/09 n. 2/DF, che su due punti in particolare non appare del tutto convincente.
A) Il rigore dell’ “esclusività”
Per tentare un approccio sistematico a questa disposizione certo non semplice la Circolare distingue due elementi che costituiscono la fattispecie oggettiva, che essa chiama entrambi “attività” ma che in questa sede, per meglio orientarci, abbiamo ritenuto opportuno definire:
– l’attività svolta
– la modalità di svolgimento di tale attività.
Per quanto riguarda l’attività, nella prima parte del punto 5, dopo aver puntualizzato che ciò che rileva non è la previsione statutaria ma quella che viene effettivamente svolta (e su ciò non possiamo che essere d’accordo), la circolare afferma che l’esclusività stabilita nell’art. 7, comma 1, lettera i, D.L.vo 504/92, è da intendere in modo assolutamente rigoroso, sì che sarebbe sufficiente che nell’immobile venisse svolta anche in minima parte attività non sportiva perchè si perda il diritto all’esenzione.
Analogo rigore viene utilizzato nel prosieguo del punto 5 dove, passando a esaminare quella che abbiamo definito “modalità di svolgimento di tale attività”, dopo aver affermato che ”un’attività o è commerciale, o non lo è, non essendo possibile individuare una terza categoria”, specifica che “allorquando siano assenti gli elementi tipici dell’economia di mercato (quali il lucro soggettivo e la libera concorrenza), ma siano presenti le finalità di solidarietà sociale sottese alla norma di esenzione” si possa “escludere la commercialità”.
Pare di capire quindi che, superato lo “scoglio” dell’attività effettivamente svolta, che deve essere esclusivamente quella sportiva, l’esenzione spetti anche se le modalità di svolgimento di tale attività siano anche in minima parte non commerciali: solo se l’attività svolta con modalità “esclusivamente di natura commerciale” si perde l’agevolazione.
Non siamo assolutamente d’accordo con tale interpretazione che, se forse rispetta la lettera della norma, certamente ne stravolge il significato, andando contro la sua stessa ratio e portando a risultati aberranti:
a) sarebbe imponibile ICI un immobile destinato solo ad attività istituzionale nei confronti di soci, se fra tali attività ne compaia anche solo una non compresa nell’elencazione di cui al citato art. 7, comma 1 lettera i: un palazzo dello sport o uno stadio di atletica, utilizzato solo per l’attività dei soci, nel quale sono collocati un piccolo bar o gli uffici della società diviene imponibile ICI!
b) per converso, parrebbe essere esente da ICI un immobile destinato esclusivamente ad attività sportiva della quale una minima parte è svolta nei confronti di atleti, soci o tesserati, e quindi con modalità non commerciali, mentre la stragrande maggioranza della stessa è svolta verso terzi, con logiche e finalità commerciali.
Riteniamo invece che alla norma vada data non una interpretazione meramente letterale ma una interpretazione logico-sistematica; ciò che rileva, a nostro avviso, è che l’immobile sia, come dice la legge, “destinato esclusivamente allo svolgimento di attività … sportive”, non che in esso non si possano anche effettuare prestazioni di natura commerciale: un impianto sportivo aperto ai soli soci o tesserati, utilizzato esclusivamente per allenamenti e gare, nel quale nel giorno della gara venga esposto uno striscione pubblicitario o venga aperto un chiosco per le bibite, non perde per questo la sua destinazione esclusiva all’attività sportiva, e quindi il diritto all’esenzione ICI.
Nè, per simmetria, e seguendo la stessa linea interpretativa, si potrà sostenere che sarà sufficiente lo svolgimento di una sola attività con criteri non commerciali, per far divenire esente da ICI un immobile nel quale l’attività sportiva viene svolta in prevalenza con criteri commerciali.
A ben vedere non contrastano con questa impostazione nemmeno la giurisprudenza e la prassi citate dalla Circolare:
– la sentenza della Corte di Cassazione n. 10646/2005 stabilisce che “l’esenzione non può essere riconosciuta” se all’attività tutelata dalla legge (quella sportiva, nel nostro caso) “si associ … un’attività diversa”; riteniamo che il concetto di “attività associata” sia diverso da quello di “attività meramente accessoria o incidentale”; lo striscione pubblicitario o il chiosco delle bibite non sono “attività associate” a quella sportiva, ma sono meramente secondarie, accessorie, incidentali;
– il parare del Consiglio di Stato n. 266/1996 parla di “immobile destinato solo in parte … alle finalità favorite dalla legge”, non di immobile nel quale si svolgono esclusivamente le attività favorite dalla legge: il palazzetto dello sport rimane destinato ad attività sportiva, anche se il giorno della partita c’è un ragazzo che vende i panini, o se sotto le gradinate ci sono gli uffici dell’associazione.
B) La “commercialità” dell’attività svolta
Dubbi ancora più forti sorgono dai due passaggi della Circolare (la seconda parte del punto 5 e il punto 6/H) nei quali viene affrontata la questione delle “modalità commerciali” di svolgimento dell’attività.
Nella seconda parte del punto 5 la Circolare afferma, pur con una formulazione abbastanza confusa, che le attività non sono commerciali, e quindi spetta l’esenzione, se esse:
– non siano di fatto disponibili sul mercato
oppure
– siano svolte per rispondere a bisogni socialmente rilevanti che non sempre sono soddisfatti dalle strutture pubbliche e che sono estranei alla sfera di azione degli imprenditori commerciali.
Al successivo punto 6/H la circolare afferma poi che “è necessario che l’ente svolga nell’immobile esclusivamente attività sportiva agonistica ‘organizzata’ direttamente (ad esempio: partite di campionato, organizzazione di corsi, tornei) e non si limiti a mettere a disposizione l’immobile per l’esercizio individuale dello sport (ad esempio: affitto di campo da tennis, gestione di piscine con ingressi a pagamento, affitto di campi di calcio a singoli o gruppi)”.
Al di là dell’aggettivo “agonistica”, assolutamente non previsto dalla legge (e che alla luce dell’evoluzione del concetto stesso di “sport” negli ultimi 15 anni è da ritenersi ormai anacronistico; ma sul punto si tornerà in altra sede), è necessario sottolineare come tanto la definizione di “commercialità” esposta al punto 5, quanto il requisito della “diretta organizzazione” dell’attività:
– non solo non trovano cittadinanza all’interno della normativa di rango superiore, ma
– arrivano addirittura a stravolgerne il significato,
– senza avere nemmeno alcuna utilità pratica, destinati, come sono, a togliere chiarezza e generare ulteriori problemi applicativi.
Ebbene, non ci stancheremo mai di contrastare questa volontà di individuare un astratto criterio di “commercialità”, che richiama il concetto di “imprenditorialità” della Circolare 9/4/09 n. 12 (sulla quale si veda l’articolo pubblicato di recente su Fiscosport), o quello di “complessità dell’attività svolta” di cui alla recentissima Risoluzione 4/6/09 n. 141 (sulla quale pubblicheremo un’approfondita analisi nel prossimo numero): esiste una norma ben precisa, l’art. 148 T.U.I.R., che così recita:
– al primo comma: “Non è considerata commerciale l’attività svolta ….”
– al terzo comma: “… non si considerano commerciali le attività …”.
C’è la norma, è chiarissima ed è dettata espressamente per gli enti non commerciali: perchè non utilizzarla?
Se ci si riferisce a questa disposizione per individuare quale attività sia svolta in modo commerciale e quale no, e se si interpreta con la dovuta ragionevolezza il termine “esclusivamente”, la questione del requisito oggettivo ai fini dell’esenzione ICI ci pare si risolva, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, senza particolari problemi. In questa prospettiva risulterebbero esenti da ICI gli immobili:
– destinati esclusivamente all’attività sportiva (anche se in essi potranno essere svolte attività accessorie e/o complementari di natura commerciale)
– nei quali tale attività venga svolta prevalentemente nei confronti di soci, associati, partecipanti, tesserati e di altre associazioni affiliate alla medesima federazione o ente di promozione (e non sarà sufficiente che l’attività nei loro confronti sia effettuata in misura non prevalente).
IL REQUISITO OGGETTIVO PER L’ESENZIONE ICI nella Circolare 26/1/2009 n. 2/DF – Tutto bene, ma fino a un certo punto …
Il combinato disposto degli artt. 7, comma 1, lettera i, del D. L.vo 30/12/1992 n. 504 e art. 7, comma 2-bis, del D.L. 30/9/05 n. 203 (conv. con modif. dalla Legge 2/12/2005 n. 248), già citati nell’articolo della dott.ssa Sideri sulla presente newsletter, porta alla seguente individuazione degli immobili, posseduti e utilizzati dagli enti non commerciali, che hanno diritto all’esenzione ICI: si tratta di quelli “ destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive ” , a condizione che tali attività non abbiano esclusivamente natura commerciale . In proposito è intervenuta a inizio anno la Circolare 26/1/09 n. 2/DF, che su due punti in particolare non appare del tutto convincente. A) Il rigore dell’ “esclusività” B) La “commercialità” dell’attività svolta