I decreti legge emanati durante l’emergenza covid-19, sia il d.l. 18/2020, c.d. “Decreto Cura-Italia”, che il d.l. 23/2020, c.d. “Decreto Liquidità”, ci hanno interpellato circa il significato che il legislatore ha inteso dare al termine “impresa”, in quanto molti provvedimenti utilizzano tale dizione, a prescindere dalla forma giuridica assunta – appunto – dal soggetto che svolge attività di impresa.
Il dubbio è se alcuni interventi di aiuto – pensiamo all’art. 65 del d.l. 18 sul credito d’imposte per le locazioni, o alle misure sul credito bancario del Decreto Liquidità – possano essere utilizzati anche dagli enti no profit, ovvero dalle associazioni sportive dilettantistiche.
Di quest’ultimo, in particolare, parla diffusamente, in un articolo ad hoc di questa Newsletter, Stefano Andreani (In cosa consiste il c.d. “finanziamento dei 25.000 euro”, e soprattutto: è accessibile alle società e associazioni sportive?) chiedendosi se le a.s.d. possano o meno rientrare tra i soggetti beneficiari del finanziamento fino a 25mila euro garantito dal Fondo di Garanzia; e – scrive – «se si può affermare che sicuramente sono escluse quelle a.s.d. senza partita IVA, che non svolgono alcuna attività d’impresa, sussistono per contro forti dubbi se siano incluse quelle con partita IVA, dato che svolgono attività d’impresa, ma non sono “imprese” in senso stretto.»
Ed ecco che si torna alla questione qui di interesse: qual è il concetto di impresa?
L’art. 2082 del codice civile definisce la figura dell’imprenditore, da cui deriva la definizione di impresa quale “attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”.
Il dubbio è pertanto se un ente associativo o una fondazione possa essere definita “impresa” ove sia svolta attività commerciale con partita IVA e iscrizione al REA (Repertorio Economico Amministrativo) tenuto presso la Camera di Commercio.
In ambito europeo sono considerate imprese le associazioni che svolgano un’attività economica: la Raccomandazione della Commissione europea n. 2003/361/CE definisce impresa “ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un’attività economica. In particolare sono considerate tali le entità che esercitano un’attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che esercitino un’attività economica.”
Pertanto, sulla base della Raccomandazione UE, rientrano senza dubbio nella definizione di impresa gli enti no profit che esercitano attività di impresa. Sul punto si v. anche: S.S.D.: può definirsi una PMI?.
Al contrario, sulla base del d.m. 18/04/2005 – emanato ai sensi dell’art. 2, co. 2, del l.lgs 123/1998 “la definizione di piccola e media impresa sono indicati e aggiornati con decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, in conformita’ con le disposizioni dell’Unione europea” – gli enti associativi non vengono annoverati dal legislatore interno tra le “imprese” (vedasi anche il documento all’epoca pubblicato da Aristeia, in cui si evidenzia che il legislatore italiano si è limiato a individuare i limiti dimensionali dell’ “impresa”, senza occuparsi della definizione del soggetto giuridico).
Sul punto, occorrerebbe una presa di posizione chiara anche da parte del nostro legislatore nella fase di definizione dei beneficiari delle diverse agevolazioni di aiuto nella fase emergenziale.