Premesso che, ovviamente, le ragioni di natura sanitaria hanno e dovranno avere la priorità rispetto a qualsiasi valutazione di natura economica, anche il mondo dello sport si sta interrogando in merito a quando potrà ripartire e, soprattutto, a come potrà ripartire e a come potrà recuperare le gravose perdite economiche subite in questo periodo.
Nel contributo che segue cercheremo di individuare le maggiori criticità che sono emerse da questa crisi e capire se e come a queste criticità potrà essere data risposta.
1. Il tema dei collaboratori sportivi
In altro articolo in questa newsletter Patrizia Sideri pone l’accento su cosa stia accadendo in relazione ai collaboratori sportivi che, in questi giorni, stanno sbrigando le pratiche necessarie alla richiesta dell’indennità dei 600 € prevista dall’art. 96 del decreto “cura Italia” e disciplinata dal decreto MEF del 06/04/2020.
Riassumendo, attraverso le domande Sport e Salute – e, “di rimbalzo” tutti gli enti di riferimento, a partire dai Ministeri dello sport, del Welfare, dell’Economia e Finanze, passando per il CONI per finire ad Agenzia Entrate e Inps – avranno, per la prima volta, il panorama completo di “chi fa cosa” nello sport dilettantistico. Avere finalmente a disposizione questo quadro sarà un elemento determinante per i soggetti di cui sopra. Nella diretta Facebook di ieri, 7 aprile (a proposito, questa crisi ha sdoganato alcune modalità comunicative, e di confronto, quali i social network – Facebook e Telegram in particolare – che potranno fare storcere il naso ai tecnici del mondo giuridico e fiscale, ma che sicuramente hanno creato un inedito contatto tra la politica e i cittadini e, soprattutto, decuplicato la velocità di circolazione delle notizie e del confronto), in quella diretta – dicevamo – il ministro Spadafora ha ammesso che il problema principale che si è trovato ad affrontare nello stabilire a chi spettasse l’indennizzo dei 600 € e quanti fondi fossero necessari alla copertura del provvedimento è stato quello di non sapere quanti fossero e cosa facessero i “lavoratori dello sport”.
Ha usato proprio questo termine: “lavoratori dello sport”. E non a caso, considerato che la più importante causa ostativa alla richiesta del contributo è rappresentata dall’avere il potenziale richiedente in corso un altro rapporto di lavoro, ovvero la percezione di un’indennità sostituiva di un rapporto di lavoro o di un trattamento pensionistico.
In concreto, chi presenterà la domanda sarà chi “vive di sport”. Tanto che le critiche più forti al provvedimento, provenienti sia dai “lavoratori sportivi” che dai rappresentanti di FSN, DSA ed EPS, sono relative all’aver privilegiato i percettori di compensi inferiori a 10.000 € – che potrebbero essere dei semi-volontari ovvero soggetti con altro lavoro o studenti che “arrotondano” le proprie finanze – rispetto a chi percepisce compensi superiori a tale soglia e che, quindi, trae dall’attività il proprio sostentamento.
Preso atto della situazione lo stesso Ministro ha dichiarato, in sostanza, che questa situazione non può continuare a essere disciplinata come lo è stata sinora, e che occorrerà trovare un sistema che contemperi le esigenze di tutela e di assicurazione alla vecchiaia per il lavoratore con le esigenze di equilibrio finanziario dei sodalizi sportivi.
Cioè, in definitiva, niente di più e niente di meno di quanto già indicato dall’art. 5 della Legge 86/2019, che prevede l’emanazione di “uno o più decreti legislativi di riordino e di riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici nonché di disciplina del rapporto di lavoro sportivo” secondo i seguenti principi-guida:
a) riconoscimento del carattere sociale e preventivo-sanitario dell’attività sportiva…;
b) riconoscimento del principio della specificità dello sport e del rapporto di lavoro sportivo…;
c) individuazione, … nell’ambito della specificità di cui alla lettera b) del presente comma, della figura del lavoratore sportivo, … , indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell’attività sportiva svolta, e definizione della relativa disciplina in materia assicurativa, previdenziale e fiscale e delle regole di gestione del relativo fondo di previdenza;
Cioè, in concreto: i collaboratori sportivi / lavoratori dello sport andranno inevitabilmente incontro a una regolamentazione della relativa disciplina e a un assoggettamento previdenziale (e, presumibilmente, anche tributario) dei compensi percepiti.
Come, quanto, e quando non siamo ovviamente in grado di dirlo, ma che la direzione sia questa è assai probabile, per non dire quasi certo.
In termini economici – e prescindendo da ogni valutazione di carattere tecnico e di equità tributaria e previdenziale, che abbiamo più volte affrontato in questa rivista – ciò significherà, inevitabilmente, un incremento del costo delle risorse umane a carico degli operatori sportivi.
Come sarà affrontato questo incremento da parte dei sodalizi sportivi?
Le possibili soluzioni possono essere le seguenti (individualmente ovvero in mix):
1. la prima – la più auspicabile: con un’azione tesa all’efficientamento della struttura e dei consumi, al miglioramento delle azioni per incrementare il numero dei propri utenti (soci/tesserati), all’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse umane;
2. la seconda, rappresentata dalla ricerca di personale de-qualificato e “occasionale/dilettantistico”, al fine di continuare a utilizzare l’area delle agevolazioni rispetto all’utilizzo del personale qualificato e regolarizzato;
3. la terza, rappresentata dalla traslazione dei maggiori costi sull’utenza, intesa sia nel senso dei frequentatori degli impianti a fini ludico/amatoriali, che dei soggetti che praticano lo sport agonistico o che partecipano alle attività didattiche.
È auspicabile che, soprattutto con riferimento ai gestori degli impianti, venga perseguita la prima strada, ma è purtroppo molto più ipotizzabile che vengano perseguite le altre due, e in particolare che l’incremento dei costi venga fatto ricadere a valle sugli utenti del servizio/sugli associati/tesserati che praticano l’attività sportiva.
Aggiungiamo, ma questa è una nostra valutazione personale, che, tutto sommato, fino a quando l’incremento dei costi colpirà gli adulti che praticano l’attività sportiva a livello amatoriale (i frequentatori delle palestre, piscine, scuole di ballo, etc) non vediamo nulla di scandaloso: i prezzi dei servizi sportivi sono, mediamente, e proprio grazie alle agevolazioni, piuttosto popolari, e un incremento non potrà far gridare allo scandalo.
Diverso è il discorso delle attività agonistiche, soprattutto a livello giovanile, e didattiche: qui un incremento dei costi andrà a impattare sui bilanci familiari, e non possiamo escludere che ciò si traduca nella rinuncia di un numero non preventivabile di famiglie all’attività sportiva dei figli, e comunque di un ulteriore sacrificio per tutti.
Basta saperlo, per affrontare consapevolmente le inevitabili reazioni delle famiglie e dello sport di base.
Del resto, le agevolazioni fiscali e contributive previste dal legislatore in favore del settore sportivo avevano, e hanno, proprio la finalità di ridurre il costo a carico delle famiglie di un’attività – per usare la terminologia della L. 86/2019 – “di carattere sociale e preventivo-sanitario”.
A tale obiettivo primario era stato sacrificato l’interesse dei collaboratori sportivi (in cambio dell’esenzione fiscale e previdenziale dei compensi percepiti) ad avere le medesime tutele dei lavoratori di altri settori economici. Se il paradigma si ribalta, e l’esigenza di tutela dei lavoratori prevale sull’interesse legittimo delle famiglie e dei giovani a praticare l’attività sportiva, va da sé che questa risulterà più onerosa.
2. Il tema della fragilità economico-finanziaria dei sodalizi sportivi
Le maggiori criticità evidenziate dagli operatori di settore a seguito della chiusura forzata delle attività sono relative alla difficoltà, spesso impossibilità, di far fronte ai costi correnti (affitti, bollette, canoni leasing o rate di finanziamenti per l’acquisto di attrezzature sportive, personale per la parte che rimane a carico dei sodalizi) a seguito dell’azzeramento degli incassi. Tanto più che tale situazione si è prodotta in un periodo dell’anno (la primavera) solitamente caratterizzata da un incremento dei frequentatori degli impianti e delle attività sportive e, quindi, degli incassi.
Laddove ai costi correnti si sommano le rate dei mutui contratti per la ristrutturazione degli impianti la situazione è ancora più pesante, anche se il decreto “cura Italia” ha previsto la (salvifica) possibilità di richiesta generalizzata di sospensione delle rate dei mutui, finanziamenti e leasing a tutto il 30/09.
In relazione ai costi correnti il decreto poco ha potuto: nulla è infatti previsto in termini di sospensione/differimento dei canoni di locazione nei confronti dei privati (laddove i canoni di locazione degli impianti di proprietà pubblica sono stati sospesi fino al 30/06), né tantomeno di contribuzione a fronte del costo delle utenze.
Non solo: sta emergendo un po’ ovunque una potenziale “bomba inesplosa” rappresentata dal rischio della richiesta di rimborso degli abbonamenti e delle rette pagate dagli utenti in via anticipata per servizi non usufruiti e che non tutti sono disponibili a postergare. Ma anche laddove gli utenti fossero disponibili ad allungare la durata del proprio abbonamento è evidente che ciò si tradurrà in un allungamento del periodo di mancati incassi a fronte della ripresa dei costi di esercizio necessari a garantire il servizio.
La situazione è potenzialmente dirompente e rischia di affossare molti operatori del settore.
Ma anche sotto questo aspetto il settore sportivo dovrà porsi molti interrogativi in termini di corretta organizzazione delle attività, corretta gestione economico/finanziaria delle stesse e assenza di pianificazione, anche a breve termine.
Vale la pena infatti ricordare che questa situazione di illiquidità, emersa immediatamente dopo la chiusura, investe un settore che, generalmente, incassa i propri proventi in anticipo rispetto al sostenimento dei costi: l’abbonamento in palestra/piscina e la frequenza alle attività didattiche sono pagati all’atto dell’iscrizione e garantiscono le risorse finanziarie per il mese/trimestre/anno a venire, così come, normalmente, l’incasso delle rette delle attività agonistiche.
Si tratta di un “ciclo finanziario ribaltato” comune a poche attività (viene in mente, in primis, la grande distribuzione): come può essere possibile che dopo una settimana di fermo le organizzazioni sportive fossero già al collasso?
Carenza di organizzazione operativa e scarsa pianificazione finanziaria? Bassa o addirittura negativa redditività/capacità di copertura dei costi? (di nuovo) tariffe eccessivamente basse? Un mix di tutto ciò?
Di fatto, gran parte delle organizzazioni sportive lavorano, per dirla in gergo commerciale, “con il cassetto”, gestendo le scadenze, man mano che si presentano, con gli incassi giornalieri.
Il concetto del “risconto passivo”, cioè del ricavo anticipato che costituisce un debito della struttura verso l’utente che ha pagato un servizio ancora da fruire, è spesso sconosciuto. A maggior ragione sono spesso ignorati i concetti di business plan, di budget economici e finanziari, e, finanche, di scadenziario.
Il Bilancio preventivo (che, se non altro, consentirebbe di individuare i limiti di spesa affrontabili con le risorse certe a disposizione nel periodo considerato: esercizio finanziario o anno sportivo), quando viene predisposto, è quasi sempre fatto per ragioni di rispetto formalistico alle previsioni statutarie.
La crisi Covid-19 ha messo duramente a nudo queste carenze organizzative, e, alla ripresa, le organizzazioni sportive non potranno esimersi dal rivedere i propri modus operandi.
3. Il tema degli strumenti finanziari
Il decreto “Cura Italia” già prevede importanti interventi in materia di strumenti finanziari tesi a favorire l’accesso al credito delle piccole e medie imprese, tra le quali rientrano sicuramente le s.s.d. a r.l. ma, sostanzialmente, anche se non formalmente, anche le a.s.d.
Le bozze del decreto “aprile” o “Liquidità Italia” o come diversamente sarà chiamato, in attesa di pubblicazione, prevedono il rafforzamento delle misure finanziarie e la previsione di un fondo di garanzia presso il Credito Sportivo al quale potranno attingere anche le associazioni sportive per far fronte anche ad esigenze di liquidità corrente.
Su questi temi ci riserviamo di intervenire quando il decreto sarà pubblicato e saranno disponibili le prime indicazioni operative.
Il concetto base rimane però quello sopra esposto: si tratta di pianificare la gestione economica e finanziaria del sodalizio, di analizzarne la redditività e l’efficienza, di definire la propria struttura dei costi, distinguendo tra questi i fissi dai variabili, verificare la sostenibilità di tali costi e dei relativi flussi finanziari in uscita rispetto al budget delle entrate.
In poche parole, si tratta di ottimizzare la gestione amministrativa e contabile del sodalizio e di operare una analisi economica e finanziaria della gestione
Certo: la bocciofila di paese ha e avrà problemi diversi dal gestore di una grande piscina, e dovrà prevedere modelli organizzativi e sistemi di controllo molto più basici. Ma il principio vale per tutti, e le società sportive dovranno fare un salto in avanti a livello di mentalità e di approccio alla gestione economica e finanziaria.
Come amo dire spesso: un buon collaboratore amministrativo è forse più importante di un bravo centravanti.