1. L’interpretazione originariamente proposta dai consulenti Fiscosport
Il punto di partenza del nostro ragionamento è che il 99% dei rapporti di collaborazione nel mondo dello sport dilettantistico, con compensi non marginali, sono rapporti di co.co.co.; di tale tipologia essi infatti presentano quasi sempre le caratteristiche essenziali:
– il collaboratore ha rapporti con uno o comunque pochissimi committenti,
– è inserito in una struttura sufficientemente complessa da necessitare un coordinamento fra collaboratori e committente, e fra collaboratori fra loro
– non ha alcuna subordinazione gerarchica (non sottostà a direttive specifiche, non è soggetto a potere disciplinare, ecc.)
Muovendo da tale considerazione la nostra interpretazione inquadrava le collaborazioni sportive come una ben definita "terza via", alternativa sia al lavoro dipendente che all'esercizio di arti e professioni e non.
Ora la recente Circolare del Ministero del Lavoro pare riproporre la medesima impostazione, che era risultata fra l'altro perfettamente in linea anche con la c.d. "Riforma Fornero".
La riproponiamo quindi, completandola appunto con quanto stabilito dalla Riforma Fornero e dalla recente Circolare.
a) La normativa fino al 2000
Fino al 31/12/2000 i redditi di co.co.co. erano indicati al secondo comma lettera “a” dell’art. 49 del TUIR, che recitava:
“1. Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall'esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l'esercizio per professione abituale, ancorche' non esclusiva, di attivita' di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI, compreso l'esercizio in forma associata di cui alla lett. c) del comma 3 dell'art. 5.
2. Sono inoltre redditi di lavoro autonomo:
a) i redditi derivanti dagli uffici di amministratore, sindaco o revisore di societa', associazioni e altri enti con o senza personalita' giuridica, dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, dalla partecipazione a collegi e commissioni e da altri rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Si considerano tali i rapporti aventi per oggetto la prestazione di attivita', non rientranti nell'oggetto dell'arte o professione esercitata dal contribuente ai sensi del comma 1, che pur avendo contenuto intrinsecamente artistico o professionale sono svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita;”
Quindi era chiaro che una cosa sono i redditi derivanti dall’esercizio di arti e professioni (comma 1) e una cosa ben diversa sono i redditi da co.co.co. (comma 2, lett. a); tant’è vero che avevano anche diverse modalità di determinazione dell’imponibile (analitico, per i primi, forfetario per i secondi, stabilito dal comma 8 dell’art. 50).
Va ricordato, perchè la questione previdenziale è uno dei punti più importanti della recente Circolare del Ministero del Lavoro, che fino al 1996 i primi erano soggetti a contribuzione previdenziale, mentre i secondi no; solo in tale anno venne infatti istituita la "Gestione Separata INPS", nella quale confluirono appunto i soggetti fino ad allora rimasti senza obblighi contributivi e quindi senza copertura previdenziale.
b) Le modifiche dal 2001
L’art. 34, I comma, della Legge 21/11/2000 ha apportato le seguenti modifiche:
“1. Al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono apportate le seguenti modificazioni:
b) all'articolo 47, concernente redditi assimilati a quello di lavoro dipendente, al comma 1, dopo la lettera c), e' inserita la seguente: "c-bis) le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di societa', associazioni e altri enti con o senza personalita' giuridica, alla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, alla partecipazione a collegi e commissioni, nonche' quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attivita' svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita, sempreche' gli uffici o le collaborazioni non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell'attivita' di lavoro dipendente di cui all'articolo 46, comma 1, concernente redditi di lavoro dipendente, o nell'oggetto dell'arte o professione di cui all'articolo 49, comma 1, concernente redditi di lavoro autonomo, esercitate dal contribuente";
d) all'articolo 49, concernente redditi di lavoro autonomo, al comma 2, la lettera a) e' abrogata;
e) all'articolo 50, concernente determinazione del reddito di lavoro autonomo, al comma 8, il primo periodo e' soppresso;”.
Dopo tale modifica quindi i redditi da co.co.co. sono quindi nell’art. 47, intitolato “Redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente”, che segue l’art. 46, intitolato “Redditi di lavoro dipendente”.
Da tale modifica risulta chiaro che, al di là del trattamento tributario molto simile, i redditi da co.co.co. sono cosa diversa dai redditi di lavoro dipendente.
c) La definizione civilistica dei rapporti di co.co.co.
Il codice civile non menziona i rapporti di co.co.co.
Il codice di procedura civile li menziona all’art. 409 (“Controversie individuali di lavoro”), che recita:
“Si osservano le disposizioni del presente capo nelle controversie relative a:
1) rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all'esercizio di una impresa;
2) rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonche' rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie;
3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato;
…”
Anche il c.p.c. conferma quindi che i rapporti di co.co.co. sono cosa diversa da quelli di lavoro dipendente, pur senza definirli in alcun modo.
d) Conclusioni in ordine alla collocazione dei rapporti di co.co.co. e riflessi sull’art. 67 TUIR
L'articolo 67, I comma, stabilisce che:
"Sono redditi diversi … se non sono conseguiti nell'esercizio di arti e professioni …, nè in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:
… m) le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati … nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali, dall'Unione Nazionale per l'Incremento delle Razze Equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto. Tale disposizione si applica anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche;
Ciò che proponemmo allora, e riproponiamo ora, è semplicemente di legare assieme le tre considerazioni che abbiamo esposto qui sopra:
– il rapporto di co.co.co. è di gran lunga la forma di lavoro più frequente nell'ambito sportivo dilettantistico
– il rapporto di co.co.co. è cosa diversa sia dall'esercizio di arti e professioni, sia dal lavoro dipendente
– l'art. 67 lettera "m" del TUIR detta una disciplina specificata per i rapporti di lavoro nello sport dilettantistico, che non siano esercizio di arti e professioni, nè lavoro dipendente.
Ci pare evidente (e, vista la recente Circolare Ministeriale, forse non pare evidente solo a noi …) che anche se l'ambito applicativo definito da tale norma è ancora più ampio, ricomprendendo anche tipologie di compenso diverse (rimborsi spese forfetari, premi, ecc.) e oggetti delle prestazioni anche non "strettamente sportivi" (le collaborazioni amministrativo-gestionali), è indubbio che la tipologia di rapporto che essa ha bene in mente sia il rapporto di co.co.co. per lo svolgimento di tutte le attività che rientrano nell' "esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche".
Se così è, allora nei rapporti di co.co.co. instaurati nell’ambito delle previsioni di cui all’art. 67 lettera “m” (quindi da enti sportivi, per l’esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica) sono rispettate per definizione le preclusioni di cui al primo periodo di tale articolo: se sono co.co.co., inevitabilmente “non sono conseguiti nell'esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali … ne' in relazione alla qualita' di lavoratore dipendente”.
Così inquadrato il nucleo della disposizione, la norma come detto poi si allarga ulteriormente, ricomprendendo anche premi, rimborsi forfetari, ecc., e rapporti necessari per lo svolgimento dell'attività sportiva dilettantistica ma che non rientrano nell' "esercizio diretto" della stessa: le co.co.co. amministrativo-gestionali.
E ciò indipendentemente dalla durata del rapporto, dall’entità del compenso, dalle modalità di svolgimento dell’attività e purchè, ovviamente, si tratti di co.co.co. “genuini” e non di rapporti di lavoro dipendente “mascherati”.
e) La “prova del nove”: l’art. 61 della Riforma Biagi
Abbiamo affermato in sostanza che con l’art. 67 lettera “m” il legislatore ha identificato nel rapporto di co.co.co. la tipologia “ideale” per i rapporti fra società e associazioni sportive dilettantistiche e i loro collaboratori “istituzionali”; e a tali rapporti (unitamente a quelli a essi "contigui", quali quelli ricompensati con premi, quelli resi possibili da rimborsi spese forfetari, o quelli per attività amministrativo-gestionale) ha destinato un trattamento fiscale particolare.
Questa impostazione trova conferma nell’art. 61 del D. L.vo 10/9/2003, n. 276 (c.d. “Riforma Biagi”) il quale, dopo aver stabilito al primo comma che “Ferma restando la disciplina per gli agenti e i rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso”, e quindi avendo vietato la possibilità di continuare a istituire rapporti di co.co.co., al terzo comma stabilisce una unica eccezione a tale divieto, appunto i rapporti fra i sodalizi sportivi e i loro collaboratori: “Sono escluse dal campo di applicazione del presente capo … i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.O.N.I., come individuate e disciplinate dall'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289”.
In sostanza: il rapporto di co.co.co. è così comune e "adatto" al mondo sportivo, che solo in esso è consentito continuare a utilizzarlo.
2. Una ulteriore conferma della correttezza di tale impostazione all’interno della c.d. “Riforma Fornero”
Come abbiamo già detto, l’interpretazione qui sopra riproposta non trovò però alcun seguito né in dottrina, né in prassi, né “sul campo”, ove i verificatori, su impulso soprattutto dell’ENPALS, hanno sempre cercato di ricondurre i rapporti fra sodalizi sportivi e loro collaboratori o nell’alveo del lavoro dipendente, o nell’esercizio di arti e professioni, ignorando il fatto che l’art. 67 potesse delineare, come detto, una sorta di “terza via”.
Il fatto che questa “terza via” esistesse avrebbe dovuto apparire ancor più chiaro quando la Legge 28/6/2012 n° 92 (c.d. “Riforma Fornero”) introdusse nel citato D. L.vo 10/9/2003, n. 276, l’art. 69-bis che recita:
“Le prestazioni lavorative rese da persona titolare di posizione fiscale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto sono considerate, salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:
a) che la collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva superiore a otto mesi annui per due anni consecutivi;
b) che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d'imputazione di interessi, costituisca più dell'80 per cento dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell'arco di due anni solari consecutivi;
c) che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente”.
Cosa dice sostanzialmente questo articolo? Dice che nel momento in cui un titolare di partita IVA lavora essenzialmente per un solo committente la sua prestazione esce dall’esercizio di arti e professioni e “scivola” verso il rapporto di co.co.co..
Se applichiamo questa disposizione (e non possiamo fare altrimenti, essendo una precisa norma di Legge), cosa accade a quelle che, con l'emanazione della Riforma Fornero, sono state suggestivamente definite le “false partite IVA”?
Accadono due cose ben distinte a seconda che operino nell’ambito dell’attività istituzionale di sodalizi sportivi o no:
– se operano nell’ambito di strutture diverse da quelle sportive dilettantistiche, non essendo stato ritualmente fissato un progetto, la “scivolata” prosegue, e dal co.co.co. senza progetto finiscono direttamente nel rapporto di lavoro dipendente
– ma se operano nell’ambito di sodalizi sportivi dilettantistici, questo ulteriore passaggio non avviene, perché esse possono continuare a stipulare rapporti di co.co.co.: quelli eccezionalmente previsti per esse dall’art. 61 della Legge Biagi e dall’art. 67 lettera “m” del T.U.I.R.
In sostanza i principi della Riforma Fornero confermano l’iter interpretativo sopra proposto a proposito dei rapporti di lavoro legittimamente instaurabili dalle società e associazioni sportive dilettantistiche, che a fianco di quelli comuni con tutte le altre realtà economiche, il lavoro dipendente e l’esercizio di arti e professioni, prevede la tipologia della co.co.co., le cui peculiarità si sposano perfettamente (ovviamente senza scendere in casi particolari, e con svariate eccezioni) con l’attività che svolgono:
- nessun vincolo di subordinazione, perché (al di là di direttive generali e di disposizioni per coordinarne l’attività con gli altri collaboratori) è normale che l’istruttore, l’allenatore, il preparatore atletico, per non parlare dell’atleta, abbiano margini di autonomia molto superiori, a parità di “livello”, a quelli di qualsiasi dipendente
- possibilità di farsi sostituire in caso di bisogno (ovviamente c’è un discorso a parte per atleti e allenatori, ma in questo caso sopperisce proprio l’aspetto “dilettantistico” dell’attività: quando si passa al professionismo, sono figure immediatamente collocate nei rapporti di lavoro dipendente)
- remunerazione non per mansione, tipica del lavoro dipendente, ma, in modi diversi, al risultato conseguito: normale è che i dieci atleti di una squadra percepiscano dieci compensi diversi, come pure compensi assai differenti fra un istruttore e un altro in una palestra o una piscina
- rapporti raramente di lunga durata
e, passando dal confronto con le caratteristiche tipiche del lavoro dipendente a quello con le caratteristiche tipiche dell'eserizio di arti e professioni:
- svolgimento dell’attività nei confronti di una cerchia estremamente ristretta di committenti, spesso di uno solo
- rapporti generalmente continuativi, assenza della prestazione singola
- inquadramento, pur con le peculiarità viste ai punti precedenti, nell’ambito dell’organizzazione del committente, coordinandosi con i fornitori di prestazioni analoghe o complementari.
3. La recente Circolare 37/4038 del Ministero del Lavoro
Nonostante tutto ciò scritto qui sopra, questa tesi non trovò assolutamente accoglimento e anche noi abbiamo dovuto prendere atto che prassi, controlli, dottrina e giurisprudenza non la prendevano nemmeno in considerazione.
Non abbiamo quindi potuto fare altro che allinearci alle interpretazioni “ufficiali”, non potendo certo “sacrificare” i nostri clienti e lettori all’altare delle nostre convinzioni; abbiamo preso atto dei rilievi estremamente pesanti sollevati nelle verifiche ispettive, delle sentenze talvolta positive e talvolta negative, ma purtroppo “negative” significava spesso dover cessare l’attività, o comunque sanzioni di estrema gravità: il rischio era veramente altissimo e da anni oramai raccomandiamo, nel caso in cui il collaboratore svolga un’attività (ovviamente diversa da quella di lavoro dipendente, nel qual caso l'assunzione è imprescindibile) con un impegno, e per una remunerazione, abbastanza rilevante, di “regolarizzarne” la posizione con l’apertura di una posizione IVA, o con la stipula si contratti di co.co.co. assoggettati a tassazione e contribuzione ordinaria.
Questa attività di “regolarizzazione” sta trovando però numerosi ostacoli, fra i quali due ci paiono i più importanti:
- l’onere contributivo decisamente gravoso, perché il 33% di aliquota esclusivamente per la tutela previdenziale, escluse quindi le altre tutele riconosciute ai dipendenti (malattia, gravidanza, ecc.), è un carico nettamente superiore addirittura a quello dei lavoratori dipendenti
- il pesante carico fiscale e soprattutto contributivo crea una distorsione competitiva fra i soggetti che “mettono in regola” i loro collaboratori, e quelli che continuano a stipulare contratti ex art. 67 T.U.I.R.: a parità di compenso netto, ai primi il collaboratore costa il 45/50% in più.
In uno degli ultimi numeri della nostra newsletter abbiamo dato una prima lettura della Circolare 37/4038 del Ministero del Lavoro esprimendo la nostra grande approvazione soprattutto per la prima parte di essa, le ampie premesse, nella quale dà finalmente conto di principi generali che spesso i verificatori ignorano o comunque non condividono, esprimendo invece qualche perplessità sulla seconda parte, della quale non si riusciva bene a comprendere la portata.
Ma rileggendola ora con più calma e attenzione, alla luce delle considerazioni esposte qui sopra, è proprio la seconda parte che potrebbe acquisire un significato completamente nuovo e importantissimo; essa infatti afferma:
- che chi opera nello sport dilettantistico svolge un’attività di interesse sociale e lo fa sottostando a regole particolari e ulteriori rispetto agli operatori commerciali: questo ulteriore sistema di regole e vincoli legittima un trattamento di favore in ambito fiscale e previdenziale
- che l’impostazione “o dipendenti o esercenti arti o professioni” in base alla quale sono stati redatti quasi tutti i verbali, alla prova dei tribunali si è spesso mostrata ben poco solida
- che questo accanimento contro rapporti di collaborazione regolamentati da precise disposizioni (l’art. 67 del TUIR e le disposizioni collegate), pretendendo di limitarne la portata a situazioni marginali, non è nella lettera e nello spirito della Legge.
E soprattutto risolve la principale critica ai rapporti di lavoro ex art. 67 lettera “m” del TUIR, ovvero la mancanza di una tutela previdenziale: certamente corretta era la posizione di coloro che sostenevano l’incostituzionalità di rapporti di lavoro nei quali il lavoratore non godeva del diritto alla pensione, garantito dall’art. 38 della Costituzione.
Esattamente come è accaduto nel 1996 per tutti i lavoratori autonomi non iscritti a casse di previdenza, con l’istituzione della c.d. “gestione separata INPS”, la Circolare preannuncia la graduale introduzione di un sistema previdenziale specifico per lo sport dilettantistico: anche i lavoratori nello sport dilettantistico inquadrati nell’art. 67 T.U.I.R. avranno quindi, come tutti i lavoratori, una tutela previdenziale (e ovviamente il correlato obbligo contributivo).
4. Conclusioni
Ribadiamo ancora una volta che la delicatezza della questione (data soprattutto la rilevanza delle sanzioni irrogate in sede di verifica) ci impone la massima prudenza, e quindi prima di considerare la nostra tesi tranquillamente applicabile è certamente opportuno attendere qualche chiarimento in più (e il chiarimento potrebbe giungere proprio con le nuiove disposizioni in materia previdenziale che la Circolare auspica con forza e chiarezza).
Ma lasciateci ripetere che tutte le norme che abbiamo citato e commentato qui sopra, comprese quelle della Legge 28/6/2012 n° 92 (c.d. “Riforma Fornero”), nonchè la recente Circolare 37/4038 del Ministero del Lavoro, paiono proprio convergere verso un inquadramento delle collaborazioni sportive come "terza via" fra il lavoro dipendente e l'esercizio di arti e professioni.
Una "terza via" chiaramente "qualitativa", che tiene cioè conto delle peculiarità dei rappprto fra sodalizi sportivi e i loro collaboratori, indipendente dai parametri "quantitativi" che vengono invece abitualmente utilizzati in sede di verifica: tempo dedicato al lavoro, entità dei compensi corrisposti, e simili.
Una "terza via" giudicata dal Legislatore particolarmente adatta al mondo dello sport dilettantistico, tanto da renderla destinataria di un trattamento fiscale specifico (nonchè, se troveranno attuazione i propositi contenuti nella più volte citata Circolare del Ministero del Lavoro, di uno specifico trattamento previdenziale).
Forse la conferma non arriverà, forse il preannunciato nuovo trattemento previdenziale non vedrà mai la luce, ma … se avessimo veramente avuto ragione fin dall'inizio, e tutte le tessere del complesso (e delicatissimo) mosaico si stessero finalmente componendo secondo le linee che abbiamo descritto? Sarebbe una grande sodddisfazione per noi, ma soprattutto sarebbe una soluzione chiara ed equilibrata a un problema che oramai da troppi anni sta creando fortissime preoccupazioni al mondo dello sport dilettantistico.