Il quesito
Risposta di: Barbara AGOSTINIS

Il comportamento tenuto dal lettore, improntato alla prudenza e diligenza, è assolutamente condivisibile. Il recepimento della normativa comunitaria (della direttiva 2011/93/UE, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile) si è rivelato oltremodo caotico e foriero di dubbi e perplessità.
Il diritto del datore di lavoro ad essere informato – al momento dell'assunzione di personale per un impiego che comporta contatti diretti e regolari con minori – delle condanne esistenti per reati sessuali a danno di minori iscritte nel casellario giudiziario o delle misure interdittive esistenti (ai sensi del considerando n. 40 della direttiva), è stato trasformato in un obbligo, la cui violazione è sanzionata pesantemente dal legislatore italiano.
In base al decreto di recepimento della direttiva ed in particolare in virtù dell'interpretazione offerta dal Ministero di Grazia e Giustizia nelle note di chiarimento (emanate il 3 aprile 2014), l’obbligo di richiesta del certificato, sorge soltanto qualora il soggetto che intenda avvalersi dell’opera di terzi – soggetto che può anche essere individuato in un ente o in un’associazione che svolga attività di volontariato, seppure in forma organizzata e non occasionale e sporadica – si appresti alla stipula di un contratto di lavoro; l’obbligo non sussiste, invece, ove si avvalga di forme di collaborazione che non si strutturino all’interno di un definito rapporto di lavoro.
Considerato che presupposto imprescindibile e necessario per la nascita di un simile obbligo è l’instaurazione di un rapporto di lavoro, è oltremodo evidente che restano escluse tutte le situazioni di collaborazione non configurabili come rapporto di lavoro subordinato, parasubordinato o autonomo; si pensi al mondo del volontariato e alle collaborazioni “sportive” (ovvero i percettori dei compensi di cui all’art. 67, comma 1, lett. M del T.U.I.R).
Una simile interpretazione sembra invero contrastare con la ratio della direttiva comunitaria. Se lo scopo, principale e lodevole, di tale provvedimento è la tutela dei minori, non si vede quale valida giustificazione possa portare ad escludere la richiesta del certificato penale in ambiti ove i contatti con i minori sono particolarmente frequenti, si pensi al settore del volontariato e al mondo sportivo.
Inoltre, questa stessa interpretazione si presenta discutibile anche in considerazione delle gravi sanzioni che potrebbero essere inflitte al “datore di lavoro” inadempiente, qualora la mancata richiesta del certificato penale non abbia consentito di impedire la commissione del reato a danno di un minore. L’eventuale inosservanza della prescrizione normativa, oltre ad essere punita con l’inflizione – al datore di lavoro – di una sanzione amministrativa da euro 10.000,00 a euro 15.000,00, potrebbe costituire il presupposto di conseguenze più gravi (ex art. 40 c.p.) a carico del datore di lavoro qualora alla mancata richiesta del certificato segua la commissione di un reato da parte del collaboratore a danno di un minore, la cui realizzazione si sarebbe potuta evitare attraverso la richiesta di tale documento.
Per quanto riguarda infine la specifica richiesta del nostro lettore, il datore di lavoro può procedere alla richiesta del certificato penale del casellario penale con delega del lavoratore; al fine di evitare disservizi soprattutto nella prima fase di attuazione della normativa, il Ministero di Grazia e Giustizia ha chiarito che, qualora il datore di lavoro sia un privato, possa procedere all'assunzione del lavoratore – nelle more del rilascio del certificato penale del casellario giudiziale, prontamente richiesto – in virtù di una dichiarazione, sostitutiva dell'atto di notorietà, ove quest'ultimo dichiara l'assenza a suo carico di condanne penali per i reati di cui agli artt. 600bis, 600ter, 600quater, 600quinquies e 609undecies del codice penale.