Il quesito
Risposta di: Maurizio MOTTOLA
Le riflessioni che seguono prendono lo spunto dai seguenti dubbi giunti in redazione:
- Una a.s.d. con finalità di diffusione delle discipline sportive della danza e ballo potrebbe avere al proprio interno un bar/esercizio pubblico per l’attività di somministrazione di bevande e/o cibi pronti assumendo per la sua gestione lavoratori subordinati?
- L’eventuale bar/esercizio pubblico che svolgesse somministrazione di bevande e/o cibi pronti potrebbe essere considerato quale attività commerciale se rivolta esclusivamente ai propri associati iscritti ?
- Qualora, invece, l’attività di esercizio pubblico debba necessariamente considerarsi quale attività commerciale: si rende necessario aprire una posizione aziendale (nuova partita iva e c.f.) distinta da quella della a.s.d. con conseguente iscrizione alla CCIAA e il rispetto di tutti gli obblighi di legge in materia?
Si chiede quindi, in sintesi, di conoscere il corretto trattamento fiscale dei corrispettivi derivanti dai servizi di bar e ristorante, in particolare se tali corrispettivi possano essere considerati come entrate “istituzionali” o “commerciali” e, in questo ultimo caso, a quali adempimenti ottemperare.
La risposta al quesito necessita di un ragionamento ampio e dettagliato, considerato che si tratta di una delle fattispecie che più frequentemente diventa oggetto di contestazione e ripresa fiscale in seguito alle attività di verifica e accertamento condotte dagli organi preposti.
Innanzitutto occorre distinguere l’attività di “somministrazione” di alimenti e bevande da quella di “ristorazione”, in quanto:
- la “somministrazione” deve essere intesa come fornitura e servizio di prodotti alimentari confezionati, pronti o che necessitano di una preparazione minima e che sono destinati ad essere consumati sul posto (il bar che offre caffè, gelati, panini o bibite, ad esempio);
- la “ristorazione” invece presuppone una trasformazione delle materie prime e un servizio (al tavolo) più articolati e specifici.
In generale, la somministrazione e la ristorazione da parte di una a.s.d. (nel caso di specie), sono considerate attività “commerciali” in senso stretto, ovvero indipendentemente dalla qualifica dei soggetti verso cui viene offerta (qualificati e non), e quindi i relativi corrispettivi sono imponibili ai fini delle imposte sul reddito e ai fini IVA, ai sensi del combinato disposto dell’art. 148, co. 4, T.U.I.R. e dell’art. 4, co. 5, d.p.r. 633/1972.
Ne consegue che il sodalizio deve ottemperare a tutti gli adempimenti ordinariamente previsti per quello specifico tipo di attività, non può usufruire delle agevolazioni per i co.co.co. sportivi e dovrà valutare l’assunzione di lavoratori dipendenti.
Ciò tranne nel caso in cui tali attività siano del tutto marginali e occasionali rispetto alle attività precipue di effettiva promozione di discipline sportive dilettantistiche riconosciute.
Rispetto alla regola generale di cui sopra sono previste alcune eccezioni, a determinate condizioni, relative alla sola attività di “somministrazione” di alimenti e bevande, ovvero, innanzitutto, quella disposta dall’art. 148, co. 5, T.U.I.R. e dall’art. 4, co. 6, d.p.r. 633/1972:
“Per le associazioni di promozione sociale (aps) ricomprese tra gli enti di cui all’articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’interno, non si considerano commerciali, anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari e l’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, sempreché le predette attività siano strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate nei confronti di soggetti qualificati“.
A seguire, la previsione agevolativa di cui all’art. 25, co. 2, L. 133/1999, secondo cui non sono imponibili, esclusivamente ai fini delle imposte sul reddito e quindi non anche ai fini IVA, i proventi realizzati da un sodalizio sportivo dilettantistico in regime ex L. 398/1991, in concomitanza di eventi sportivi (massimo due eventi per anno e per un importo complessivo massimo di proventi pari a euro 51.645,69), nello svolgimento di attività commerciali connesse agli scopi istituzionali, tra cui a esempio la somministrazione di alimenti e bevande.
Non disponendo di informazioni più dettagliate, escludiamo tutte le eccezioni di cui sopra, ovvero l’ipotesi che le attività del bar e ristorante dell’a.s.d. siano marginali e occasionali, che l’a.s.d. in questione assuma anche lo status di a.p.s. e che le attività di somministrazione e ristorazione siano svolte in concomitanza di eventi sportivi.
Tutto ciò premesso, i corrispettivi derivanti dal bar e dal ristorante, per le attività di somministrazione e ristorazione, potrebbero rientrare nel campo di applicazione del regime di cui alla L. 398/1991, con le notevoli semplificazioni e agevolazioni che tale regime prevede (se incassati da associati e tesserati) a condizione che il bar e il ristorante:
- siano attrezzati all’interno degli spazi adibiti alle attività statutarie della a.s.d. o nelle immediate vicinanze;
- non siano gestiti in maniera del tutto autonoma, ovvero con orari di apertura non coincidenti con quelli dell’a.s.d., attraverso modalità e criteri di tipo imprenditoriale, tali da distorcere la libera concorrenza di mercato (presenza di insegne esterne visibili, accesso dalla pubblica via, pubblicità e simili);
- che le loro attività possano essere considerate strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali sportivi, nel senso che tali attività consentano di soddisfare al meglio le esigenze dei partecipanti alle iniziative promosse dall’asd e quindi agevolarne la pratica rendendola più confortevole;
- che tali attività siano espressamente previste dallo Statuto vigente, con carattere strumentale e straordinario rispetto all’attività sportiva principale (art. 9, co. 1, D.lgs. 36/2021);
- che il criterio “quantitativo” da adottare per misurare il carattere secondario di tali attività sia quello di cui al decreto ministeriale n. 107 del 19 maggio 2021. 1
Tali condizioni sono state stabilite anche dalla Circolare 18/E/2018 Agenzia delle Entrate (in particolare al paragrafo 6.2) che ha introdotto, con non poche critiche e pareri contrari in dottrina, la distinzione fra attività commerciali “connesse” e “non connesse” agli scopi istituzionali, sostenendo l’assoggettamento solo delle prime al regime ex l. 398/1991, concetto non previsto dalla legge in questione e per tale motivo di dubbia legittimità, del quale tuttavia non possiamo esimerci dal consigliarne l’osservanza, per ragioni di cautela.
Per completezza segnaliamo che il Codice del Terzo Settore (d.lgs. 117/2017), all’art. 85, replica l’agevolazione fiscale già prevista dall’art. 148, T.U.I.R. (relativa alla somministrazione di alimenti e bevande) e prevede, tra l’altro, che “non si considerano commerciali le attività svolte dalle associazioni di promozione sociale in diretta attuazione degli scopi istituzionali effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, dei propri associati e dei familiari conviventi degli stessi…”
1 Le attività diverse si considerano secondarie, rispetto alle attività principali, qualora, in ciascun esercizio, ricorra (almeno) una delle seguenti condizioni:
1. i relativi ricavi non siano superiori al 30% delle entrate complessive dell’ente;
2. i relativi ricavi non siano superiori al 66% dei costi complessivi dell’ente.
Nel computo di cui sopra non sono comprese le entrate derivanti da sponsorizzazioni, rapporti pubblicitari, cessioni di diritti e indennità relativi agli atleti, e da gestioni di impianti e strutture (art. 9, co. 1-bis, D.lgs. 36/2021).