Il quesito
Risposta di: Biancamaria STIVANELLO

Il rinnovo delle cariche sociali – che nella maggior parte delle associazioni si esaurisce con la nomina dei componenti del consiglio direttivo – è un adempimento primario e imprescindibile nella vita del sodalizio sportivo e dell’ente associativo in generale.
Per le a.s.d. l’art. 90, l. 289/02 co.18 lett e) prevede che tra i requisiti qualificanti, gli statuti debbano contenere “le norme sull’ordinamento interno ispirato a principi di democrazia e di uguaglianza dei diritti di tutti gli associati, con la previsione dell’elettività delle cariche sociali…”. La disposizione, identica, è ripresa anche dalla riforma dello sport con il d.lgs. 36/21 art. 7, applicabile dal 1.01.2023.
Analogamente l’art. 148 co. 8 T.U.I.R. richiede – al fine di beneficiare della defiscalizzazione dei corrispettivi specifici (abbonamenti, corsi, stage ecc. svolti in diretta attuazione degli scopi istituzionali nei confronti di soci, associati, tesserati) – che le associazioni debbano inserire negli statuti e applicare in concreto, tra le altre, anche la clausola sulla previsione del diritto di voto per la nomina degli organi direttivi dell’associazione .
Sono corollari dei principi di democraticità e uguaglianza su cui si basa la struttura delle associazioni sportive e più in generale degli enti associativi del terzo settore, come ad esempio APS e ODV, per i quali il Codice del Terzo Settore (d.lgs.117/17 art. 25 lett. a) conferma la competenza inderogabile dell’assemblea per la nomina (e revoca) dei componenti degli organi sociali. In tutti i casi è inoltre espressamente codificato il principio del voto singolo, per cui “uno vale uno”.
Tali disposizioni – e in particolare, per quanto di interesse, quelle sui sodalizi sportivi – non indicano la durata minima o massima della carica. Ne consegue che gli statuti potranno individuare autonomamente tale arco temporale – nella prassi comunemente fissato in tre o quattro anni – con il solo limite del rispetto dei principi di democraticità, uguaglianza e partecipazione (è evidente, in tal senso, che la previsione di un mandato eccessivamente lungo potrebbe essere ostativa o porre limitazioni alla concreta possibilità di esercitare i diritti di voto riconosciuti ai soci e quindi potenzialmente illegittima; diversa invece la possibilità di rileggere i componenti che di fatto rimangono in carica per diversi anni ma periodicamente, ad ogni scadenza, vengono investiti della carica e riconfermati dalla volontà dei soci manifestata attraverso l’esercizio del diritto di voto in assemblea).
In assenza di specifiche disposizioni normative, lo statuto può dunque prevedere in piena autonomia la durata delle cariche sociali, così come la rieleggibilità, purché nel rispetto dei principi fondamentali suindicati e fatte salve diverse prescrizioni richieste dagli organismi affilianti (FSN,DSA,EPS).
Il rinnovo delle cariche sociali va fatto alla scadenza del mandato in base a quanto stabilito dallo statuto, mediante assemblea ordinaria.
È un passaggio importante che non può in alcun modo essere omesso, come a volte accade per negligenza degli amministratori in carica e/o per mancanza di interesse da parte dei soci ad avanzare nuove candidature; il mancato rinnovo periodico del direttivo costituisce violazione delle norme statutarie e violazione delle norme imperative previste dalla legislazione speciale sulle associazioni sportive, sugli enti associativi e sugli enti del terzo settore e potrebbe comportare il disconoscimento della qualifica e la conseguente perdita delle agevolazioni.
E se lo statuto non indicasse la durata degli incarichi?
Nel silenzio dello statuto – e in assenza di prescrizioni da parte degli organismi affilianti – non vi sono riferimenti specifici per l’individuazione della durata del mandato degli amministratori perché le disposizioni in materia, come detto, non prevedono alcun termine, nemmeno in via residuale per il caso in cui lo statuto non disponga diversamente; né le norme del codice civile sulle associazioni, riconosciute e non riconosciute, regolano questo specifico aspetto, che è demandato all’autonomia degli associati (e quindi in definitiva allo statuto).
Nelle norme codicistiche un limite alla durata della carica è previsto dall’art. 2383 c.c. solo per gli amministratori delle società per azioni, i quali non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi e scadono alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo esercizio della loro carica. Anche se tale previsione non ha carattere generale – tanto che non si applica nemmeno ad altre società di capitali come la s.r.l. dove gli amministratori possono essere nominati per un periodo superiore e anche a tempo indeterminato – rimane comunque l’unico riferimento legislativo che, non risultando finalizzato alla specifica natura della s.p.a., si potrebbe ritenere applicabile in via estensiva anche al contesto associativo (la previsione di un termine triennale sarebbe del resto pienamente compatibile con il principio di democraticità richiesto per i sodalizi in questione).
L’importante è che, anche in mancanza di apposita clausola statutaria, si provveda al rinnovo periodico delle cariche.
Si raccomanda comunque di integrare le lacune dello statuto, non solo per una maggiore trasparenza e certezza applicativa ma anche per evitare contestazioni sulla violazione del principio di sovranità dell’assemblea.
In particolare lo statuto dovrebbe prevedere non solo la durata delle cariche ma anche la possibilità o meno di un secondo o ulteriore mandato; le regole applicabili in caso di decadenza, morte, dimissioni di uno o più dei componenti; l’eventuale elezione di membri supplenti; l’eventuale cooptazione di uno o più componenti e così via in modo da disciplinare la varie vicende inerenti la successione delle cariche alla scadenza naturale o prima della scadenza.
Al riguardo si segnala che agli enti del terzo settore (e quindi ad esempio ad una a.s.d./aps ) secondo alcune indicazioni ministeriali (Nota Min. Lav. 18244/21) non sarebbe applicabile l’istituto della cooptazione ex art. 2386 c.c. (che consente agli amministratori delle società di capitali di sostituire uno o più dei componenti, quando vengano a mancare, previa approvazione del collegio sindacale e purché rimanga in carica la maggioranza dei consiglieri di nomina assembleare), ma sarebbe invece consentito il subentro di coloro che in occasione delle procedure di nomina erano risultati “non eletti”. Tale ipotesi – secondo la nota – sarebbe possibile purché statutariamente prevista e pienamente legittima in quanto capace di operare un corretto bilanciamento tra principio di democraticità ed esigenza di funzionamento dell’ETS.
Una soluzione che potrebbe essere interessante per tutti gli enti associativi incluse le a.s.d. ma che, naturalmente, per essere applicabile deve essere prevista dallo statuto.
In definitiva uno statuto completo ed esaustivo, che oltre a recepire le clausole richieste dalla legge disciplini in maniera articolata e compiuta l’ordinamento interno, i rapporti con gli associati e il funzionamento degli organi sociali, rappresenta uno strumento fondamentale per una gestione corretta e trasparente del sodalizio, fondata su regole chiare e condivise, idonee a prevenire incertezze interpretative ed eventuali conflitti tra gli associati.