Il quesito
Risposta di: Stefano ANDREANI
Per rispondere alla domanda posta, qualora si consideri la cessione del titolo sportivo – laddove consentita dai regolamenti organici federali – attività commerciale, anche a voler aderire alla tesi della distinzione fra attività connesse e non connesse, non si può negare che essa sia connessa all’attività sportiva, pertanto senz’altro anche questo ricavo entra nel regime di cui alla legge 398/91, con diritto alla detrazione forfetaria del 50%.
Cogliamo però l’occasione per esaminare più approfonditamente la questione, che presenta più aspetti di particolare interesse.
Le imposte dirette
Per quanto riguarda le imposte dirette, la cessione del titolo sportivo è stata oggetto della risposta 7.9 nella fondamentale Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 18/2018, che alla domanda “Quale è il trattamento tributario ai fini IRES della cessione, da parte di associazioni e società sportive dilettantistiche senza fini di lucro, del diritto alla partecipazione al campionato?” ha risposto come segue:
“Nell’ipotesi in cui le norme sportive consentano la cessione, da parte delle associazioni e società sportive dilettantistiche senza fini di lucro, del diritto alla partecipazione al campionato, potrà trovare applicazione la previsione agevolativa di cui all’articolo 148, comma 3, del TUIR a condizione che la cessione avvenga da parte di una associazione o società sportiva dilettantistica senza fini di lucro in favore di un’altra associazione o società sportiva dilettantistica senza fini di lucro affiliate entrambe alla medesima Federazione Sportiva.
E’ necessario, inoltre, ai fini della ricorrenza del requisito della diretta attuazione degli scopi istituzionali, che l’associazione o la società sportiva dilettantistica non lucrativa che pone in essere la cessione continui comunque, seppure in una categoria inferiore, a partecipare ai campionati“.
Tale risposta è a nostro avviso importante non solo per la chiara conclusione a cui giunge, ma anche per aver illustrato l’iter che segue per giungervi, come vedremo più avanti.
Applicando il dettato della Circolare al caso esposto nel quesito, la cessione del titolo sarà considerata attività commerciale ai fini delle imposte dirette solo se, l’anno successivo alla cessione, la società cedente non parteciperà ad alcun campionato (che la cessione sia fra soggetti affiliati alla medesima federazione ci pare ovvio); in caso contrario si rientra nell’attività istituzionale, fuori dalla sfera commerciale.
Per completezza (e perché ci servirà più avanti) ricordiamo che la precedente risposta 7.8 afferma il medesimo principio per il caso di “cessione verso corrispettivo del diritto alla prestazione sportiva dell’atleta“, affermando che essa
“può considerarsi rientrante nell’ambito delle attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali ai sensi dell’articolo 148, comma 3, del TUIR sempreché l’atleta abbia svolto nell’ambito dell’associazione o società sportiva dilettantistica non lucrativa cedente un’effettiva attività volta ad apprendere e migliorare la pratica sportiva dilettantistica“.
Precisando poi, coerentemente, che
“deve escludersi la ricorrenza del requisito della diretta attuazione degli scopi istituzionali nel caso di cessioni aventi finalità meramente speculative, come nel caso in cui il diritto alla prestazione sportiva sia stato precedentemente acquistato e successivamente rivenduto senza che l’atleta sia stato sostanzialmente coinvolto dall’ente nell’attività formativa e di crescita nell’ambito della pratica sportiva dilettantistica“.
L’IVA
La questione IVA è più delicata, poiché non c’è una presa di posizione ufficiale sul punto, e in dottrina esistono due principali correnti di pensiero.
Una di esse, che non ci convince del tutto, parte dall’art. 4 della Legge 398/91, che recita “le cessioni dei diritti alle prestazioni sportive degli atleti effettuate dalle associazioni sportive di cui alla presente legge sono soggette all’imposta sul valore aggiunto con l’aliquota del 9%”, per affermare che ai fini IVA la cessione del diritto alla prestazione sportiva dell’atleta, ai fini IVA, è operazione sempre imponibile, essendo specificatamente stabilita un’aliquota agevolata.
L’altra, che riteniamo più convincente, si basa sul seguente coordinamento di quanto qui sopra esposto:
– l’Agenzia delle Entrate ha scritto chiaramente che l’introito da cessione sia del diritto alla prestazione sportiva dell’atleta che del diritto di partecipazione al campionato è fuori dalla sfera commerciale “ai sensi dell’articolo 148, comma 3, del TUIR” in quanto operazione effettuata in diretta attuazione degli scopi istituzionali fra soggetti affiliati alla medesima Federazione sportiva
– ma se questa è la motivazione, allora una dizione assolutamente identica all’art. 148, terzo comma, la troviamo nell’art. 4, quarto comma, del d.p.r. 633/72 ai fini IVA: la dizione è identica, perché la conclusione dovrebbe essere diversa?
– non ci pare che il citato art. 4 della legge 398/91 sia sufficiente, perché l’esclusione dal campo di applicazione dell’IVA opera “a monte” della scelta di quale aliquota si applichi
– e allora l’art. 4 della legge 398/91 quando si applica? Ben sappiamo che per principio generale una legge deve essere interpretata partendo dal principio che essa abbia uno scopo, ma lo scopo c’è: se una associazione non ha i requisiti per l’applicazione dell’art. 4 del d.p.r. 633/72, p.es. se non ha lo statuto conforme a quanto stabilito dal settimo comma di tale articolo, allora l’operazione rientra nel campo di applicazione dell’IVA, e in tal caso si applicherà l’aliquota agevolata.
Cambia qualcosa con la Riforma dello sport?
Nel riesaminare la questione dopo tanti anni da quando sono state espresse le due tesi di cui abbiamo dato conto qui sopra, ci siamo posti il problema se nella riforma dello sport in via di entrata in vigore vi fossero novità, ed effettivamente qualcosa abbiamo trovato, vale a dire l’art. 36, quarto comma, del d.lgs. 36/2021, che affronta una fattispecie diversa, non esattamente sovrapponibile ma in qualche modo simile a quella che abbiamo appena esaminato, ovvero il trattamento fiscale del premio di addestramento e formazione tecnica, ai sensi dell’articolo 31, comma 2, del decreto n. 36.
Il comma in questione stabilisce che tali somme “sono equiparate alle operazioni esenti dall’imposta sul valore aggiunto” e che “Tale premio, qualora sia percepito da società e associazioni sportive dilettantistiche senza fini di lucro che abbiano optato per il regime di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398, non concorre alla determinazione del reddito di tali enti“.
Ci pare abbastanza evidente che chi ha scritto la norma abbia le idee ben poco chiare, dato che:
– ai fini delle imposte dirette fa riferimento non all’art. 148 del T.U.I.R., ma alla legge 398/91, che si occupa del trattamento fiscale dell’attività commerciale, non della distinzione delle operazioni fra commerciali e non
– ai fini IVA, si è basato non sul testo attuale della normativa ma su quello che risulterà dopo la ben nota e ampiamente discussa modifica che dovrebbe (ma forse è più corretto già dire “avrebbe dovuto”) entrare in vigore il 1/1/2024, che collocherà le operazioni con tesserati non fra quelle fuori campo IVA ma, appunto, fra quelle esenti; anche perché in base al testo attuale dell’art. 10 non si vede sotto quale voce dello stesso tale operazione si potrebbe collocare.
E allora, se il confuso legislatore intendeva dire che tali operazioni sono ai fini delle imposte dirette non rilevanti in base all’art. 148 del T.U.I.R., e ai fini IVA fuori dal campo di applicazione del tributo, allora si tratta di una ulteriore conferma della tesi a cui qui sopra abbiamo dichiarato di aderire.
[agg: 9 giu 2023]