L’art. 148 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917 prevede che non è considerata commerciale: (a) l'attività svolta dagli Enti non commerciali residenti nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo; (b) le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo. Sono, invece, considerate commerciali (e sono, perciò, fonte di redditi di impresa se abbiano carattere di abitualità ovvero di redditi diversi, se occasionali) le attività di cessione di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Queste attività, perciò, non possono essere qualificate commerciali sino a che sono alimentate da quote associative sganciate dall’ammontare dei benefici che i singoli associati o partecipanti traggono da esse. Lo diventano se, e nei limiti in cui,alle prestazioni dell’ente si ricollega una specifica controprestazione dell’associato o partecipante, anche se sotto forma di contributi o quote supplementari. In tale ultima ipotesi, infatti lo scambio di utilità tra l’ente e il suo membro non differisce da quello che potrebbe realizzarsi fra parti indipendenti sul mercato. Con particolare riferimento alle associazioni sportive dilettantistiche, la disposizione contenuta al 3° comma dell’art. 148 (derogando in parte alla disciplina dettata dai due commi precedenti) prevede che:
L’art. 148 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917 prevede che non è considerata commerciale: (a) l'attività svolta dagli Enti non commerciali residenti nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo; (b) le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo. Sono, invece, considerate commerciali (e sono, perciò, fonte di redditi di impresa se abbiano carattere di abitualità ovvero di redditi diversi, se occasionali) le attività di cessione di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Queste attività, perciò, non possono essere qualificate commerciali sino a che sono alimentate da quote associative sganciate dall’ammontare dei benefici che i singoli associati o partecipanti traggono da esse. Lo diventano se, e nei limiti in cui,alle prestazioni dell’ente si ricollega una specifica controprestazione dell’associato o partecipante, anche se sotto forma di contributi o quote supplementari. In tale ultima ipotesi, infatti lo scambio di utilità tra l’ente e il suo membro non differisce da quello che potrebbe realizzarsi fra parti indipendenti sul mercato. Con particolare riferimento alle associazioni sportive dilettantistiche, la disposizione contenuta al 3° comma dell’art. 148 (derogando in parte alla disciplina dettata dai due commi precedenti) prevede che:
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