La questione posta nel suo intervento di apertura da Nereo Benussi all’attenzione di autorità sportive e politiche, è ben nota anche ai lettori di Fiscosport: il rischio che i capillari controlli dell’Ade, quando mirati a colpire violazioni di carattere formale, finiscano per minare alle fondamenta un sistema organizzativo – quello sportivo – in gran parte ancora improntato sul volontariato o comunque su un’organizzazione non imprenditoriale.
E’ ben noto che il “modello italiano” di organizzazione dello sport è caratterizzato dalla delega di fatto da parte del settore pubblico a una miriade di soggetti privati – ai quali sono concesse agevolazioni appunto perchè svolgono una funzione pubblica – costituiti per la stragrande maggioranza nella forma di associazioni non riconosciute, senza quindi autonomia patrimoniale perfetta: sono oltre 100.000 le associazioni sportive dilettantistiche che, grazie alla loro capillare presenza sul territorio, svolgono tale ruolo suppletivo di welfare.
E proseguendo nei numeri: si è calcolato che senza i benefici che derivano dalla pratica sportiva, sullo lo Stato graverebbe il 25% in più di spese sanitarie; e ancora, che ogni 100 euro di spesa pubblica per il settore dello sport (in contributi, agevolazioni, ….) corrispondono a 1000 euro di costi risparmiati per il SSN.
Il messaggio al mondo politico è stato chiaro: lo sport ha bisogno del riconoscimento del proprio ruolo e valore e chiede a gran voce che da un lato sia fatta chiarezza nel dedalo di adempimenti normativi e fiscali, dall’altro che le verifiche mirino a scovare chi abusa di agevolazioni che non gli spettano, e non chi svolge un ruolo sociale e non riesce a rispettare con assoluta puntualità gli adempimenti formali.
Se dovesse perdurare il clima di “epurazione” di questi ultimi mesi, non dovremo stupirci se assisteremo a vere proprie fughe da parte di chi – dirigenti, presidenti, ecc… – a quel mondo dedica tempo, energie, spesso soldi, ma non può permettersi di rischiare il proprio patrimonio personale.