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Home Lavoro e previdenza Welfare aziendale e corsi sportivi
  • Lavoro e previdenza

Welfare aziendale e corsi sportivi

Franca FABIETTI
Dottore Commercialista in Roma
27 Febbraio 2020
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    La recente risposta dell’Agenzia delle Entrate nell’ambito di Telefisco ci dà l’occasione per analizzare nel complesso la questione non solo quanto all'inquadramento generale ma anche sotto il profilo fiscale

    La risposta a Telefisco

    L’Agenzia delle Entrate durante Telefisco ha fornito una risposta in merito all’ambito applicativo dei rimborsi effettuati dal datore di lavoro per le spese sostenute dal lavoratore in favore dei propri familiari.

    L’amministrazione finanziaria ha chiarito che i rimborsi per le spese sostenute per l’attività sportiva (dilettantistica o professionistica) praticata da familiari di cui all’articolo 12 del TUIR, non possono rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 51, comma 2, lettera f-bis  del TUIR in quanto, secondo tale disposizione,  non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente le somme e servizi per prestazioni aventi finalità di “educazione e istruzione, ludoteche, centri estivi e invernali da parte dei familiari dei dipendenti, e per borse di studio a favore dei medesimi familiari”

    Secondo l’Agenzia delle Entrate, quindi, il rimborso delle spese per attività sportiva sostenute dal lavoratore in favore dei propri familiari non gode del regime fiscale di vantaggio (non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro dipendente).

    Nulla impedisce al datore di lavoro di rimborsare al lavoratore la spesa sostenuta per il corso di sportivo del figlio ma, in tal caso, la somma concorrerebbe a formare il reddito imponibile del dipendente soggetto ad imposte e contributi.
     

    L’inquadramento generale

    Alla luce di questa risposta proviamo ad esaminare quali altre forme di sostegno può attuare il datore di lavoro per favorire lo svolgimento dell’attività sportiva dei dipendenti e dei suoi familiari.

    La normativa di riferimento è contenuta nell’art. 51, comma, 2, lettera f) del TUIR, in base al quale non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente

    “l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell’articolo 12 per le finalità di cui al comma 1 dell’articolo 100;”.

    Le condizioni, affinché i beni e i servizi offerti dal datore non concorrano alla formazione del reddito, sono tre:

    1. il datore di lavoro decide di erogare i benefit volontariamente oppure sulla base di contratti, accordi o regolamenti aziendali;
    2. i servizi devono essere offerti a:
      – la generalità dei dipendenti;
      – categorie di dipendenti, l’espressione “categorie di dipendenti” non va intesa soltanto con riferimento alle categorie previste dal codice civile (dirigenti, quadri, operai..), bensì a tutti i lavoratori “di un certo tipo” (ad esempio tutti quelli che hanno un certo livello o una certa qualifica) o che si trovano nella “medesima situazione” (in tal senso Circ. dell’Agenzia delle entrate 326/1997). L’obiettivo del legislatore è comunque quello di impedire che siano concessi vantaggi ad personam, ovvero solo per alcuni e ben individuati lavoratori;
      – i familiari indicati nell’art. 12 del T.U.I.R., ovvero coniuge, dei figli legittimi, naturali o adottivi, dei genitori, fratelli o sorelle, dei suoceri, generi e nuore; i familiari possono anche non essere fiscalmente a carico e non necessariamente conviventi o nel nucleo familiare.
    3. Le opere e i servizi devono avere finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.

    Dalla lettura di quanto sopra possiamo affermare che il datore di lavoro può offrire servizi (non rimborsare le spese) in ambito sportivo godendo dell’agevolazione contenuta nell’art. 51, comma, 2, lettera f) del T.U.I.R. in quanto hanno caratteristiche tali da poter rientrare quanto meno nelle finalità ricreative.

    La disposizione dell’art. nell’art. 51, comma, 2, lettera f) del T.U.I.R. si differenzia dalle successive lettere f-bis) ed f-ter) in quanto il lavoratore deve risultare estraneo al rapporto economico tra il datore di lavoro e il gestore dei servizi.

    In pratica il pagamento deve essere effettuato direttamente dal datore di lavoro al gestore.

    Non comprende, invece, le somme di denaro erogate ai dipendenti a titolo di rimborsi di spese (previstiallelettere f-bis) ed f-ter), da impiegare per opere e servizi aventi le citate finalità.

    La lettera f-bis), dispone che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente

    “le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di  dipendenti per la fruizione, da parte dei familiari indicati nell’articolo 12, dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a favore dei medesimi familiari” .

    L’attuale formulazione della lett. f-bis) consente di comprendere tra i servizi di istruzione e educazione, gli asili nido, le scuole materne, centri estivi e invernali, ludoteche, borse di studio a favore dei familiari dei dipendenti. Con la Circolare n. 238 del 2000, l’Agenzia delle entrate ha precisato che rientrano nella lettera f-bis) le erogazioni di somme corrisposte al dipendente per assegni, premi di merito e sussidi per fini di studio a favore di familiari di cui all’articolo 12. In tale nozione possono essere ricompresi i contributi versati dal datore di lavoro per rimborsare al lavoratore le spese sostenute per le rette scolastiche, tasse universitarie, libri di testo scolastici, nonché gli incentivi economici agli studenti che conseguono livelli di eccellenza nell’ambito scolastico. Data l’ampia formulazione della lettera f-bis), sono riconducibili alla norma il servizio di trasporto scolastico, il rimborso di somme destinate alle gite didattiche, alle visite d’istruzione ed alle altre iniziative incluse nei piani di offerta formativa scolastica nonché l’offerta –anche sotto forma di rimborso spese – di servizi di baby-sitting.

    Secondo l’Agenzia delle Entrate, quindi, le spese per attività sportiva non rientrano neanche nei servizi “integrativi” dell’educazione.

    Riepilogando, il datore di lavoro non può rimborsare le spese sostenute dal lavoratore per l’attività sportiva dei familiari indicati nell’art. 12 del T.U.I.R. (art.  51, comma, 2, lettera f-bis del T.U.I.R.) ma può mettere a disposizione del dipendente e dei suoi familiari i servizi resi in ambito sportivo (art. 51, comma 2, lettera f) del T.U.I.R.)

     

    Area

    Servizi

    Regime fiscale

    Condizioni

    Normativa di riferimento

    Istruzione e formazione

    Somme, servizi e prestazioni erogati dal datore di lavoro per la fruizione, da parte dei familiari indicati nell’art. 12 del Tuir, di servizi di educazione e istruzione, anche prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per le borse di studio a favore dei medesimi familiari.

    Non concorrono a formare il reddito per il lavoratore dipendente

    Condizioni indicate nell’art. 51, comma 2, lettera f);

    Il valore rimborsato non può essere superiore a quello sostenuto dal lavoratore. Deve essere allegata la documentazione comprovante la spesa.

    Art. 51, comma 2, lett. f-bis) del TUIR

    Oneri di utilità sociale con finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o di culto

    Oneri sostenuti dal datore di lavoro per opere e servizi di utilità sociale a beneficio dei dipendenti e dei familiari.

     

    In questa fattispecie rientrano le spese per attività sportive: gli abbonamenti a circoli sportivi, palestre …

    Non concorrono a formare il reddito per il lavoratore dipendente

    Condizioni indicate nell’art. 51, comma 2, lettera f);

     

    Il lavoratore deve risultare estraneo al rapporto economico tra il datore di lavoro e il gestore del servizio.

    Art. 51, comma 2, lett. f) del TUIR

     

    I voucher

    Ma i c.d. voucher, che il datore di lavoro può assegnare a suoi dipendenti, da spendere presso strutture sportive, dove si collocano?

    Il voucher viene emesso da una società specializzata, che si pone come intermediaria fra il datore di lavoro e la struttura sportiva (ma la sostanza non cambia se il rapporto è azienda/struttura sportiva), secondo il seguente schema (o uno schema analogo):

    a) il datore di lavoro stipula un contratto con l’emittente, che a sua volta stipula convenzioni con strutture sportive

    b) tali accordi prevedono che:

    – il datore di lavoro paghi l’emittente perché fornisca ai suoi dipendenti alcune tipologie di prestazioni sportive, tramite società convenzionate

    – il diritto di usufruire di tali prestazioni viene inglobato in un voucher, che il datore di lavoro consegna al dipendente, il quale lo consegnerà alla società sportiva in luogo del pagamento delle prestazioni di cui usufruirà.

    Di conseguenza, non si tratta di un rimborso spese a dipendente, che è completamente estraneo al rapporto commerciale che si instaura fra datore di lavoro, emittente e società sportiva, bensì della messa a disposizione dei servizi sportivi da parte del datore di lavoro a favore di suoi dipendenti, avvalendosi degli altri soggetti coinvolti: siamo nell’ambito applicativo della lettera “f” e non della lettera “f-bis” dell’art. 51 T.U.I.R. più volte citato.

    Il corrispettivo pagato dal datore di lavoro, e il servizio usufruito dal dipendente, non costituiscono quindi per quest’ultimo reddito di lavoro dipendente, e non vanno pertanto assoggettati a tassazione né a contribuzione (è il meccanismo, per fare un esempio ben più noto a tutti, dei c.d. ”ticket restaurant”).
     

    Il trattamento fiscale in capo alle società e associazioni sportive

    Per individuare il corretto trattamento fiscale in capo all’associazione o società sportiva che aderisce a questa iniziativa è necessario in primo luogo individuare quale sia, ai fini fiscali, il corrispettivo da essa percepito. Si presentano infatti, almeno in teoria, due possibilità:

    – il sodalizio sportivo riceve un corrispettivo per l’attività prestata a favore dei dipendenti del datore di lavoro, e ogni costo aggiuntivo e/o di intermediazione (in primo luogo il compenso per l’emittente) sono a carico del datore di lavoro; in questo caso ai fini fiscali il corrispettivo corrisponde a quanto da esso riscosso;

    – il sodalizio matura un credito per le prestazioni erogate, e al momento dell’erogazione gli viene trattenuto un importo per spese di gestione e/o compenso all’emittente e/o altro; in questo caso il corrispettivo di cui si deve tener conto ai fini fiscali (da assoggettare a IVA se commerciale) non è il netto percepito ma il lordo maturato.

    In secondo luogo si tratta di determinare sa tale corrispettivo sia o meno decommercializzato ex art. 148 T.U.I.R. e art. 4 IVA.

    Per fare ciò, ricordiamo che tali disposizioni recitano entrambe “non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti … e dei tesserati“; su tale periodo esistono due possibili interpretazioni:

    – una parte della dottrina, basandosi sul testo qui sopra riportato, sostiene che perché il corrispettivo sia decommercializzato “iscritti … o tesserati” debbono essere coloro che usufruiscono dei servizi sportivi, nel momento in cui ne usufruiscono, ed è irrilevante chi effettua il pagamento; se si aderisce a questa interpretazione, qualora negli accordi contrattuali sia chiaramente stabilito che i voucher potranno essere utilizzato solo da tesserati (e tale clausola sia effettivamente applicata nella pratica) il corrispettivo potrà essere considerato decommercializzato;

    – altra parte della dottrina, e a quanto ci risulta l’Agenzia delle Entrate, ritengono invece che, per poter usufruire della decommercializzazione, tesserato debba essere chi paga il corrispettivo, nel momento in cui lo paga.

    Al di là di quale sia la tesi per noi più convincente, considerando anche il fatto che gli importi in discussione probabilmente non saranno rilevanti (ricordiamo che il carico fiscale sui corrispettivi commerciali, per i soggetti in “regime 398” è di circa il 10%), oltre al fatto che probabilmente non sarebbe facilissimo far reinserire la clausola sopra descritta negli accordi contrattuali, prudenzialmente riteniamo consigliabile aderire alla seconda delle tesi qui sopra esposte e quindi considerare i corrispettivi in questione proventi commerciali.

    In fine, una volta che, aderendo alla tesi prudenziale, si siano qualificati tali corrispettivi come commerciali, se si ritiene applicabile la distinzione fra attività commerciali connesse e non connesse (si veda l’ennesimo articolo, sul punto, proprio su questa newsletter) si tratta di decidere appunto se considerarli connessi o non connessi all’attività istituzionale.

    Trattandosi esattamente dell’attività sportiva che, quando svolta nei confronti di soci o tesserati, è considerata decommercializzata in base agli articoli qui sopra citati, perché “in diretta attuazione degli scopi istituzionali” riteniamo non sussistano dubbi che si tratti di attività commerciale connessa agli scopi istituzionali.

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      Franca FABIETTI
      Franca FABIETTI
      Dottore commercialista e revisore, opera dal 2000 dedicandosi alla consulenza aziendale. Le altre aree di specializzazione riguardano la consulenza del lavoro e la formazione Membro commissione diritto del lavoro ODCEC Roma. Collabora con la rivista online Fiscosport.

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