Nonostante l’operatività del RUNTS e lo sforzo condotto in questi mesi dal Ministero del lavoro per completare l’attuazione della Riforma del Terzo Settore siamo ancora in alto mare per la parte fiscale. E non si tratta di acque calme, per restare nella metafora marina, perché nel frattempo sono intervenute diverse disposizioni che hanno complicato ulteriormente il quadro delle norme tributarie per gli Enti di Terzo Settore. Dal 2017, anno di approvazione della Riforma, sono trascorsi quasi 5 anni: un tempo infinitamente grande considerando gli eventi economici e sociali che hanno investito il mondo in questo lasso di tempo.
L’autorizzazione Ue e la legge di Bilancio 2022
Il titolo decimo del Codice del Terzo Settore (d’ora in poi Codice) che racchiude buona parte delle disposizioni fiscali della Riforma è sospeso perché la sua applicazione decorre dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea, richiesta che il governo non ha ancora formulato. Analoga situazione vige per le misure fiscali agevolative previste per le Imprese Sociali la cui attuazione dipende anch’essa dall’autorizzazione della Commissione europea che anche in questo caso non è stata inoltrata. Per gli Enti di Terzo Settore la situazione è resa ancora più complessa dal fatto che l’impianto fiscale richiede necessariamente una revisione, giudizio unanimemente condiviso dagli operatori e dagli esperti di fiscalità. […]*
Cosa è commerciale?
Il concetto di commercialità trova la sua origine nel presupposto che la produzione di un reddito di impresa fiscalmente imponibile debba essere collegato esclusivamente alla capacità di una attività di generare entrate superiore ai costi indipendentemente dalle strutture giuridiche utilizzate e dalle finalità perseguite nell’esercizio dell’attività. Gli enti possono qualificarsi come “non commerciali” solo se sono in grado di attrarre entrate di natura non corrispettiva, e dunque non derivanti dall’esercizio di una attività economica, in forma prevalente rispetto all’esercizio di attività commerciali remunerate dal mercato. Questo principio contenuto nel nostro ordinamento tributario è stato progressivamente attenuato proprio dal recepimento di norme destinate ad enti mutualistici (le cooperative) o del Terzo Settore (ad. esempio le Onlus, le ASD e le SSD, gli enti speciali normati nell’ art. 148 del TUIR etc).
Lo scarso rilievo attribuito dal legislatore tributario alla dimensione soggettiva dell’ente che produce la “ricchezza” nonché alla destinazione funzionale di quella ricchezza è stato progressivamente messo in discussione e la normativa tributaria per le Imprese Sociali lo dimostra. Questa nozione di attività economica, intesa nella sua pura oggettività, trova riconoscimento nel diritto alla tutela della concorrenza il quale si preoccupa di garantire che in ambito nazionale ed europeo non ci siano vantaggi destinati ad una particolare categoria di soggetti la cui attività possa alterare la normale competizione sul mercato a prescindere dalle finalità perseguite e dalla natura soggettiva dell’ente.
È da questo concetto di “commercialità” che il legislatore ha tratto ispirazione per regolare il trattamento fiscale degli ETS imponendo agli Enti di Terzo Settore commerciali di subire la medesima tassazione degli altri enti commerciali con finalità lucrativa. Quello che rileva dunque ai fini impositivi non è lo scopo perseguito né la sua connotazione non lucrativa ma le modalità di svolgimento delle attività le quali, se condotte in modo imprenditoriale e cioè finalizzate ad ottenere un lucro oggettivo, sono considerate commerciali e dunque tassabili. […]*
La grande incognita dell’IVA
Altro tema di grande rilevanza è la questione IVA. È noto infatti che il legislatore ha introdotto per talune prestazioni l’esenzione Iva in luogo della non imponibilità sospendendone l’applicazione per 24 mesi. Questo profilo di incertezza risulta accentuato dall’indeterminatezza delle norme iva applicabili agli enti di terzo settore.
Questi dubbi hanno spinto chiaramente le Onlus a ritardare il proprio ingresso nel Terzo Settore in attesa di conoscere meglio il profilo fiscale a cui vanno incontro. Le Onlus infatti, che sceglieranno di assumere la qualifica di Imprese Sociali, correranno il rischio di perdere l’agevolazione di esenzione IVA per molte delle prestazioni da esse tipicamente svolte essendo, tali agevolazioni, limitate ai soli enti di terzo settore non commerciale. […]*
Il ritardo con cui si sta procedendo per dare stabilità alla Riforma del Terzo Settore rischia di vanificare gli sforzi compiuti finora e indebolisce un pezzo importante dell’economia sociale del nostro Paese. I soli nuovi 485 enti che hanno finora volontariamente deciso di aderire al RUNTS a partire dalla sua operatività ne sono la plastica dimostrazione.
* Il presente articolo è stato pubblicato anche su Vita.it, dove può essere letto nella sua versione integrale