Vediamo dunque da dove origina la nuova normativa: l’articolo 2086 del cod. civ. ha introdotto – a decorrere dal 2019 – il nuovo dovere, per tutti gli imprenditori che operino in forma individuale o societaria, di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alla dimensione dell’attività; la norma va coordinata con l’articolo 3 del CCII (Codice della crisi e dell’insolvenza) che – a decorrere dal 2022 – impone all’imprenditore collettivo di istituire “un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell’articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative”.
La finalità del legislatore è che gli operatori economici (compresi gli enti non profit) monitorino l’andamento della propria attività, al fine di anticipare e scongiurare una eventuale situazione di crisi, attivando un collegamento organizzativo grazie al quale il rilievo costante della situazione economica e finanziaria può tradursi – quando emergono segnali di crisi – in un intervento immediato da parte dell’amministratore; si realizza in tal modo il principio ispiratore della riforma ovvero “consentire alle imprese sane in difficoltà di ristrutturarsi in una fase precoce per evitare l’insolvenza e proseguire l’attività” (raccomandazione 2014/135/UE).
Questo nuovo dettato normativo porta necessariamente molti enti a dover riorganizzare la propria struttura amministrativa al fine di adempiere correttamente all’onere introdotto dal legislatore; occorre però comprendere come un’attività meglio organizzata significhi un migliore funzionamento, una riduzione dei costi e pertanto un’opportunità da cogliere al fine di ottimizzare l’organizzazione e migliorare il monitoraggio dell’andamento.
L’applicazione al mondo non profit
Relativamente al mondo non profit, il Codice del Terzo Settore espressamente rinvia alla suddetta disciplina e alle conseguenti responsabilità per l’organo amministrativo1: tutti gli ETS sono pertanto tenuti a rispettare la normativa in oggetto.
Relativamente agli enti sportivi dilettantistici, occorre distinguere tra le SSD – che in quanto società sono sempre soggette all’obbligo – e le ASD, per le quali è necessario definire quando le modalità di svolgimento dell’attività siano configurabili quale “impresa”.
Nell’individuazione del significato da attribuire alla locuzione “impresa” è di aiuto – da un lato – la giurisprudenza della Corte di giustizia Europea per la quale “si considera impresa qualsiasi ente che esercita un’attività economica consistente nell’offerta di beni e servizi su un determinato mercato, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento”2; dall’altro lato, la dottrina, che ritiene impresa qualsiasi “entità esplicante un’attività economica, indipendentemente dallo stato giuridico e dal suo modo di finanziamento”, con l’ulteriore precisazione per la quale “costituisce un’attività di natura economica qualsiasi attività che partecipi agli scambi economici, anche a prescindere dalla ricerca di profitto”3.
Sussiste pertanto lo svolgimento di attività di impresa ogni qualvolta ci sia un’attività “economica”.
Gli indicatori dello svolgimento di attività economica da parte di un soggetto non profit possono essere: il possesso di partita IVA, l’iscrizione al REA (repertorio economico amministrativo), il perseguimento del lucro oggettivo.
In questo senso, se da un lato le ASD prive di partita IVA e non iscritte al REA sembrerebbero a una prima analisi escluse dall’obbligo, occorre comunque valutare caso per caso se possano essere soggette alla normativa del CCII e se possa essere configurabile una attività di impresa quale perseguimento di uno scopo economico, seppure senza lucro soggettivo.
Si pensi ad esempio ad una ASD priva di partita IVA, che gestisce attività sportiva con notevoli proventi decommercializzati da soci e tesserati, gestendo un impianto sportivo affidato in concessione in quanto dotato di interesse economico, con linee di credito necessarie per fare fronte ai pagamenti periodici (compreso il canone concessorio e gli istruttori) e un finanziamento con rimborso rateale contratto per l’effettuazione dei lavori necessari in fase di affidamento dell’impianto: questa ASD, seppure priva di partita IVA, sta certamente svolgendo un’attività economica che dovrà essere efficiente al fine del conseguimento (quantomeno) del pareggio economico e dell’equilibrio finanziario. Orbene, la nostra ASD sarà soggetta agli adeguati assetti, mediante i quali l’organo amministrativo potrà monitorare e gestire al meglio l’attività e controllarne andamento, in modo da attuare eventuali correttivi ove si presentino segnali di squilibrio.
Ancora, l’individuazione di un’attività di impresa prescinde dalla presenza di lucro oggettivo o soggettivo: ricordiamo, che il lucro oggettivo è l’attitudine a conseguire avanzi di gestione (meritevoli e sintomatici di una economica gestione), mentre il lucro soggettivo è configurabile in caso di distribuzione diretta o indiretta di utili o patrimonio.
Relativamente alla configurabilità del lucro oggettivo, occorre tenere presente che gli enti non profit possono avere finalità di lucro oggettivo senza perdere la loro natura giuridica, in quanto il fine altruistico non pregiudica il carattere imprenditoriale dei servizi resi; gli enti non profit possono pertanto esercitare una attività di impresa secondo criteri di economicità della gestione, senza però poter perseguire il lucro in senso soggettivo dei soci o degli associati, potendosi configurare attività di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicità dell’attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi (c.d. lucro oggettivo).
Vedasi, in tal senso quanto statuito dalla Suprema Corte:
- «lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non è elemento essenziale per il riconoscimento delle qualità di imprenditore commerciale, essendo individuabile l’attività di impresa tutte le volte che necessita una obiettiva economicità dell’attività esercitata, intesa come proporzionalità tra costi ricavi (c.d. lucro oggettivo)» (Cassazione civile, sez., I, n. 6835/2014, conforme 2017);
- «la nozione di imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c. va intesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale all’attività economica organizzata che sia ricollegabile a un dato obiettivo inerente all’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro soggettivo» (Cassazione civile, sez. I, n. 22955/2020).
Risulta pertanto evidente come la disciplina degli adeguati assetti sia applicabile anche alle ASD ogni qual volta si sia in presenza di svolgimento di attività economica.
A integrare il presupposto soggettivo circa l’assoggettabilità alla normativa degli adeguati assetti – strettamente legata al concetto di “crisi” – occorre fare altresì riferimento a quanto previsto dalla Legge fallimentare del 1942 e, da ultimo, dal Codice della crisi e dell’insolvenza in vigore dal 2022.
Nella vigenza della Legge fallimentare la giurisprudenza è approdata ai seguenti principi:
- principio generale: fallibilità di tutti i soggetti che perseguono un lucro oggettivo, compresi gli enti senza scopo di lucro (asd, associazioni riconosciute, associazioni non riconosciute, fondazioni, …);
- gli enti non commerciali sono soggetti alle procedure concorsuali in caso di insolvenza ove esercitino attività oggettivamente commerciali;
- assoggettabilità a fallimento dei soggetti che devono ritenersi imprenditori commerciali, ove si possa individuare una forma organizzativa in cui l’elemento economico diviene prevalente sul piano quantitativo, alla stessa attività istituzionale (raccolta di sponsorizzazioni, attività economiche a latere, quali gestione di esercizi di ristoro, attività di merchandising ecc., ricorso al credito bancario).
Principi ai quali ha fatto seguito il CCII del 2022 che ha confermato e rafforzato il filone giurisprudenziale che si era affermato nella vigenza della Legge fallimentare:
- affermando che la normativa degli “adeguati assetti” si applica anche agli enti non profit, ove esercitino attività oggettivamente commerciali
- riconoscendo la fallibilità degli ETS, attraverso il richiamo esplicito all’articolo 2394-bis, cod. civ. relativo alle azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali (articolo 28, CTS)
Quanto sopra esposto, ci porta ad affermare che la disciplina degli “adeguati assetti” sia applicabile anche alle ASD – e a tutti gli enti non profit all’interno del cui perimetro, lo ricordiamo, trovano spazio le ASD, gli ETS e tutti gli enti privi di una specifica connotazione – ogni qualvolta sia configurabile l’esercizio di attività di impresa, quale svolgimento di “attività economica organizzata ricollegabile a un dato obiettivo inerente all’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro soggettivo”.
Naturalmente, a livello applicativo, occorrerà coniugare la disciplina codicistica con le peculiarità del mondo non profit, in particolare modo relativamente al presupposto della “continuità”, che verrà di seguito approfondito.
Il ruolo degli amministratori
Il ruolo più rilevante è riservato agli amministratori, in linea con quanto recita il codice civile secondo cui “la gestione dell’impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all’articolo 2086 secondo comma, e spetta esclusivamente agli amministratori”.
Ne consegue che gli amministratori hanno il dovere di istituire adeguati assetti e di monitorare costantemente l’equilibrio economico e finanziario dell’ente amministrato indipendentemente da eventuali indizi di crisi.
In particolare, gli assetti ritenuti idonei dovranno consentire di:
- rilevare eventuali squilibri di carattere economico o finanziario;
- verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i 12 mesi successivi e rilevare i segnali di allarme;
Il corretto funzionamento del sistema di monitoraggio permette di rilevare tempestivamente il rischio di perdita della continuità aziendale e ridurre le conseguenze negative della crisi.
La mancata adozione di qualsivoglia misura organizzativa comporterà inevitabilmente una responsabilità dell’organo gestorio.
È opportuno, pertanto, che l’organo amministrativo faccia emergere da apposito verbale le verifiche effettuate e i controlli posti in essere.
Venendo all’aspetto pratico, i tre assetti – organizzativo, contabile, amministrativo – possono essere come di seguito definiti:
Assetto organizzativo | Riguarda il sistema di funzionigramma e di organigramma e, in particolare, il complesso delle direttive e delle procedure stabilite per garantire che il potere decisionale sia assegnato ed effettivamente esercitato a un appropriato livello di competenza e responsabilitàRiguarda il complesso procedurale di controllo |
Assetto amministrativo | Riguarda la dimensione dinamico-funzionale dell’impresa e si compone dei processi e delle procedure che garantiscono il corretto svolgimento dell’attività di impresaRiguarda la formalizzazione delle procedure e i processi utilizzati dalle varie funzioni dell’organizzazione aziendale, rilevandone le responsabilità gestionali, le direttive, nonché gli strumenti |
Assetto contabile | Riguarda, in particolare, la rilevazione contabile dei fatti di gestione, al fine di garantire l’attività di consuntivazione e anche di programmazioneRiguarda l’insieme delle direttive, delle procedure e delle prassi operative dirette a garantire la completezza, la correttezza e la tempestività di una informativa attendibile, in conformità ai principi contabili adottati dall’impresa |
Come sopra schematizzato, per assetto organizzativo s’intende il sistema di funzionigramma e di organigramma, in particolare il complesso delle direttive e delle procedure stabilite per garantire che il potere decisionale sia assegnato ed effettivamente esercitato a un appropriato livello di competenza e responsabilità.
Invece, l’assetto amministrativo e contabile riguarda l’insieme delle direttive, delle procedure e delle prassi operative volte a garantire la completezza, la correttezza e la tempestività dell’informativa societaria, in accordo con i principi contabili adottati dall’impresa.
Il monitoraggio costante della situazione economica e finanziaria dell’impresa dovrà, quindi, tradursi nell’attivazione immediata da parte dell’amministratore in presenza di segnali di crisi, in modo tale da consentire all’impresa in difficoltà di ristrutturarsi prima che la crisi diventi conclamata ed evitare situazioni di insolvenza.
Rinviamo a successivi approfondimenti la disamina dei tre assetti (organizzativo, amministrativo, contabile) al fine di offrire gli strumenti utili per l’adozione e la conseguente applicazione.
- Vedasi l’art. 30 del CTS: “l’organo di controllo vigila sull’osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, anche con riferimento alle disposizioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, qualora applicabili, nonché sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile e sul suo concreto funzionamento” [↩]
- Vedasi in tal senso, Corte di giustizia CE, sentenza 26 marzo 2009, causa C-113/07 P, Selex Sistemi Integrati/ Commissione ed Eurocontrol [↩]
- V. Ghezzi F., Olivieri G. (2013), Diritto antitrust, Giappichelli, Torino; Guizzi G. (2010), Il mercato concorrenziale: problemi e conflitti, Giuffrè, Milano; Mazzoni A. (2010), “La nozione di impresa nel diritto antitrust”, in Rabitti Bedogni C., Barucci P. (a cura di), 20 anni di antitrust. L’evoluzione dell’autorità garante della concorrenza e del mercato, Giappichelli, Torino; Mosco, “L’impresa non speculativa”, Giurisprudenza Commerciale, 2, pp. 216 e ss. secondo il quale: “È ormai noto che l’impresa non si identifica né sotto il profilo teorico, né sotto il profilo operativo con un’attività svolta per finalità speculative, tanto che l’impresa non lucrativa è oggi, non solo in Italia , una realtà fondamentale dal punto di vista sociale e ormai importante anche da quello economico . Si tratta di un fenomeno complesso, nel quale convivono figure con finalità, tratti organizzativi e requisiti identificativi profondamente diversi il cui elemento comune è o dovrebbe essere l’obiettivo di non perseguire ‘fini di speculazione privata’, ma di sostituire la massima creazione egoistica di valore con la produzione di beni e servizi alle condizioni più favorevoli, in termini di responsabilità sociale, di qualità, di costo, per chi ne fruisce, compatibilmente con l’economicità e l’efficienza della gestione imprenditoriale”. E ancora “Se negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore del codice si era negata cittadinanza all’idea che l’attività di impresa potesse essere svolta da associazioni e fondazioni, apparendo in contrasto con il loro elemento teleologico, è ormai opinione condivisa che l’attività realizzata non rappresenti l’elemento determinante ai fini della qualificazione funzionale. Piuttosto, questa rappresenta lo strumento attraverso il quale gli enti collettivi possono perseguire la propria finalità istituzionale, lucrativa o altruistica che sia. (…) In definitiva, lo svolgimento di attività commerciali da parte di questi enti è ormai un dato non solo ricorrente, ma numericamente rilevante”. Si v. anche Ambrosini, L’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili e il rapporto con le misure di allerta nel quadro normativo riformato, ilcaso.it, 15 ottobre 2019, secondo il quale gli adeguati assetti sono applicabili a tutte le imprese, “incluse quelle non commerciali e quelle non formalmente imprenditoriali, come associazioni, fondazioni e consorzi dediti in concreto all’esercizio d’impresa” [↩]