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    Home Giurisprudenza Rassegna Cassazione (fino 2010) Rassegna Normativa : la sentenza n. 612/2006 - Corte Suprema di...
    • Rassegna Cassazione (fino 2010)

    Rassegna Normativa : la sentenza n. 612/2006 – Corte Suprema di Cassazione – Sezione Tributaria, in tema di somministrazione alimenti e bevande presso circoli ricreativi.

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    LIPARATA Andrea
    dottore commercialista
    6 Marzo 2006
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      SENTENZA n. 612/2006, depositata il 13/1/2006, sul ricorso proposto dal CIRCOLO RICREATIVO ... ricorrente contro il Ministero delle Finanze, Agenzia delle Entrate ... avverso la sentenza n. 58/01 della commissione tributaria regionale di Firenze

      REPUBBLICA ITALIANA
      in nome del popolo italiano

      LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE – Sezione Tributaria

       … omissis …

      SENTENZA sul ricorso proposto dal CIRCOLO RICREATIVO … ricorrente contro il Ministero delle Finanze, Agenzia delle Entrate … avverso la sentenza n. 58/01 della commissione tributaria regionale di Firenza, depositata il 15/05/01;
      udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/11/05;
      udito per il resistente l’Avvocato dello Stato … , che ha chiesto il rigetto del ricorso;
      udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore … che ha concluso per il rigetto del ricorso.

      SVOLGIMENTO DEL PROCESSO:
      Il Circolo ricreativo … ha impugnato l’accertamento Ipeg ed Ilor per il 1992, basato su un processo verbale con il quale la Guardia di Finanza aveva qualificato come commerciale l’attività di somministrazione di alimenti e bevande da parte del Circolo.
      La Commissione Provinciale ha accolto il ricorso, ma la sentenza è stata riformata dalla Commissione Regionale che ha accolto l’appello dell’Ufficio.
      Il Circolo ha proposto ricorso per Cassazione.
      Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno resistito con controricorso.
      Il Circolo ha depositato una memoria.

      MOTIVI DELLA DECISIONE:
      Il problema di cui si discute è quello della qualificazione, a fini tributari, dell’attività di somministrazione di alimenti e di bevande all’interno di un circolo ricreativo. L’Ufficio ha ritenuto trattarsi di attività commerciale, come tale assoggettabile ad Irpeg ed Ilor, e questa tesi è stata condivisa dal Giudice tributario di appello.
      Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione “di norme di diritto in relazione alla mancanza del requisito di soggetto passivo d’imposta” ed ha negato la natura commerciale della attività di somministrazione di bevande ed alimenti.
      Con il secondo motivo il Circolo ha dedotto violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla presunta effettuazione di servizi ai non soci sia perchè la Guardia di Finanza non ha trovato nei locali persone estranee (non soci) e sia perchè a suo avviso è del tutto irrilevante ed ininfluente la presenza di cartelli pubblicitari sulla parte esterna dei locali, in quanto tali cartelli hanno l’esclusiva finalità di promuovere l’acquisto di prodotti e non quella di attirare i non soci nei locali del Circolo.
      Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto omessa motivazione in relazione alla presunta effettuazione di servizi ai non soci poichè la CTR non ha addotto alcun elemento probatorio sul punto.
      Con il quarto motivo il Circolo ha dedotto contraddittoria motivazione e conseguente rischio di contrasto di giudicati in quanto in materia Iva la CTR aveva annullato i provvedimenti dell’Ufficio.
      Con il quinto motivo il ricorrente ha dedotto omessa pronuncia in ordine alla eccezione di inammissibilità per mancata autorizzazione all’appello da parte del responsabile del servizio contenzioso della Direzione regionale Toscana per le entrate.
      Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno contestato nel merito il primo motivo del ricorso ed hanno ribadito l’assoggettabilità a tributo delle somme derivanti da attività commmerciale. Hanno ritenuto inammissibili il secondo ed il terzo motivo sul presupposto che, una volta accertata l’imponibilità dell’attività, non assume rilievo che essa sia stata svolta o meno nei confronti di soli soci. Hanno dedotto l’infondatezza del quarto motivo perchè la produzione di documenti è preclusa ex art. 372 c.p.c. tranne che non si tratti di documenti che riguardano la nullità della sentenza  o l’ammissibilità del ricorso in Cassazione. Inoltre, il Circolo non aveva indicato né aveva prodotto queste pronunce favorevoli, peraltro ininfluenti aventi ad oggetto altre imposte ed altre annualità. Ha poi contestato la fondatezza dell’ultimo motivo in quanto l’autorizzazione all’appello da parte dell’ufficio risulta essere stata regolarmente concessa e depositata.
      Nella memoria il Circolo ha richiamato in suo favore la norma di cui all’art. 4, comma 1, lett. f) della legge n. 383/2000 secondo la quale “Le associazioni di promozione sociale traggono le risorse economiche per il loro funzionamento e per lo svolgimento delle loro attività da:
      f) proventi delle cessioni di beni e servizi agli associati e a terzi, anche attraverso lo svolgimento di attività economiche di natura commerciale, artigianale o agricola, svolte in maniera ausiliaria e sussidiaria e comunque finalizzata al raggiungimento degli obiettivi istituzionali”.
      I primi tre motivi devono essere esaminati congiuntamente essendo strettamente connessi tra loro.
      Le censure mosse con questi mezzi sono infondate e devono essere rigettate.
      Innanzitutto, dalla sentenza impugnata emerge che il Circolo … è sprovvisto di un proprio statuto, che risulta affiliato all’Arci, di cui ha dichiarato di recepire i fini istituzionali, e che tra i fini istituzionali non è ricompresa la somministrazione ai soci di bevande ed alimenti.
      Già questo primo accertamento è idoneo a fare ritenere di natura commerciale l’attività di somministrazione di bevande ed alimenti, essendo emerso che tra i fini istituzionali dell’Ente non c’è quello di svolgere questa attività, ed essendo previsto, come dato imprescindibile nell’art. 108 del Tuir, che l’esclusione della natura commerciale presuppone una attività resa “in conformità alle finalità istituzionali dell’ente”.
      Dalla sentenza emerge anche che il Circolo ha la porta di accesso sulla pubblica via e che alla stessa erano attaccati depliants pubblicitari di gelati, bibite ed altro, ed emerge infine che i prezzi praticati erano di poco inferiori a quelli degli altri esercizi commerciali della stessa specie aperti al pubblico.
      Sia l’art. 111 del Tuir che l’art. 4, comma 4 del D.P.R. n. 633/72, in ragione ratione temporis, allorchè prevedono “cessioni di beni” e “prestazioni di servizi” presuppongono che esse vengano effettuate soltanto nei confronti dei soci e degli associati. Se c’è la possibilità che la somministrazione venga effettuata nei confronti di terzi, siamo evidentemente al di fuori di questa previsione normativa, per cui non c’è alcuna valida ragione per escludere la natura commerciale ad una attività rivolta indiscriminatamente a tutti (cfr. sul punto Cass. sent. n. 15321/2002).
      L’art. 4 L. n. 383/2000 invocato dal resistente nella memoria, a parte le perplessità che possono sorgere in ordine alla sua applicabilità a causa della individuazione nella specie del presupposto della “utilità sociale” della attività svolta, conferma in ogni caso la validità della impostazione qui evidenziata, posto che solo a partire dalla entrata in vigore di questa norma il legislatore ha consentito, in una mutata realtà sociale (che ha visto crescere il ruolo e l’importanza delle Onlus) la possibilità che i Circoli si finanzino con attività commerciali consistenti nella cessione di beni e servizi a soci e a terzi. Prima di questa norma (che non è retroattiva poichè inserisce un quid novi nel sistema), i terzi non erano considerati come possibili destinatari di cessione di beni o di prestazioni di servizi da enti non commerciali che volessero restarenell’ambito di una attività non commerciale.
      Sul piano probatorio, poi, cìè da rilevare che, a fronte dell’accertato accesso diretto dei locali sulla pubblica via, incombeva sul Circolo fornire la prova della esistenza di meccanismi che consentivano l’accesso solo ai soci e che escludevano i terzi , proprio perchè la pretesa natura non commerciale dell’attività (in quanto diretto solo ai soci) costituiva una deroga rispetto alla regola generale derivante dal fatto che nessun ostacolo è stato accertato all’ingresso per i terzi (cfr. le puntuali osservazioni contenute, per una fattispecie analoga, nella sentenza n. 16035/2005, secondo cui “l’onere di provare che l’attività svolta, sebbene somigliasse ad una attività commerciale in realtà non lo era, doveva essere fornita dalla parte ricorrente”, e cioè dalla associazione ricreativa). Questo principio discende dalle regole probatorie generali secondo le quali chi vuole fare valere una forma di esenzione o di agevolazione qualsiasi deve provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che legittimano la richiesta della esenzione o della agevolazione. Qui, a fronte di un accesso diretto sulla pubblica via (che costituisce un fatto certo che fa pensare alla possibilità per chiunque di accedere ai locali del bar), incombeva al Circolo fornire la prova di strumenti di esclusione dei terzi. Dalla lettura della sentenza impugnata questa prova non emerge affatto.
      Con riferimento al dato relativo ai prezzi praticati (che sarebbero stati di poco inferiori a quelli praticati dagli altri esercizi), c’è da rilevare che di recente in una fattispecie analoga è stato ritenuto che “lo schema utilizzato e la correlazione logica tra le diverse previsioni ha indotto, ragionevolmente, a ritenere che solo le prestazioni ed i servizi che realizzino le finalità istituzionali senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione, non vanno considerate effettuate nell’esercizio di attività commerciale e, quindi, non imponibili, mentre ogni altra attività espletata dagli stessi soggetti deve ritenersi rientri nel regime impositivo” (Cass. sent. n. 19840/2005, che ha richiamato sul punto le sentenza nn. 3850/2001 e 6340/2002).
      Ma, al di là di questi precedenti che meritano di essere condivisi e confermati, c’è da evidenziare anche come l’art. 108, comma 1 del Tuir (che è norma di carattere generale che apre il Capo III dedicato agli enti non commerciali), dopo avere previsto nel primo periodo come può essere formato il reddito degli enti non commerciali, esclude nel secondo periodo la natura commerciale solo per alcune “prestazioni di servizi non rientranti nel 2195 del codice civile”.
      Questo significa a contrario che se l’attività rientra nella previsione dell’art. 2195 c.c., la natura commerciale non può essere esclusa mai.
      Ora, la gestione di un bar aperto a chiunque rientra a pieno titolo nella disciplina dell’art. 2195 del codice civile per cui, ai fini della sua qualificazione a fini tributari, diventa irrilevante anche la quantità dei corrispettivi pagati. Questo tipo di attività – per previsione esplicita dell’art. 108 – riceve la sua qualificazione irreversibile sul piano civilistico, e produce i suoi effetti necessitati sul piano tributario, senza possibilità di deroghe. La ratio di questo principio è evidente poiché non vi sarebbero valide ragioni per riservare un trattamento tributario di favore ad una attività commerciale (riconducibile all’art. 2195 c.c.), sol perchè essa viene svolta da un ente non commerciale.
      Diversa, invece, è la situazione quando l’attività:
      a) non rientra nell’art. 2195 c.c.;
      b) è conforme alle finalità istituzionali dell’ente non commerciale;
      c) è svolta senza una specifica specifica organizzazione;
      d) il corrispettivo che l’utente versa non eccede il costo di diretta imputazione.
      In questo caso, vi sono tutti gli elementi per fare un trattamento di favore poichè manca qualsiasi ricarico, manca qualsiasi organizzazione e si persegue un fine proprio (istituzionale) dell’ente non commerciale.
      Un ulteriore elemento della infondatezza del ricorso è dato anche dalla previsione normativa relativo alla natura commerciale delle “prestazioni effettuate nell’ambito delle seguenti attività: a) gestione di spacci aziendali e di mense” (previsione contenuta nell’art. 111 comma 4 del Tuir), e della “gestione di spacci aziendali, gestione di mense e somministrazione di pasti” (previsione contenuta nell’art. 4, comma 5 del D.P.R. n. 633/72, che significativamente esclude la natura commerciale, invece, per la “gestione, da parte delle amministrazioni militari o dei corpi di polizia, di mense e spacci riservati al proprio personale ed a quello dei Ministeri da cui dipendono, ammesso ad usufruirne per particolati motivi inerenti al servizio”).
      Le ipotesi elencate da queste norme hanno sempre natura commerciale, sia ai fini dell’Irpeg, che dell’Iva.
      Ora, per comprendere meglio la ratio che è sottesa a questa chiara scelta normativa che ribadisce la natura commerciale di alcune attività da chiunque svolte (anche da enti pubblici, come sottolinea la norma sull’Iva), e per stabilire se la gestione di un bar rientra nel concetto di “spaccio” o meno, occorre soffermarsi sul tipo di attività individuate dal legislatore nelle due norme citate.
      Queste attività riguardano gli spacci aziendali, la ristorazione, la ricettività alberghiera, l’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, la pubblicità commerciale, la gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale. Trattasi di alcuni settori sensibili che tradizionalmente appartengono ai privati esposti al rischio di impresa, sichhè il consentire che enti pubblici o enti non commerciali svolgano quelle stesse attività senza essere sottoposti al trattamento tributario previsto per gli imprenditori privati avrebbe potuto creare innanzitutto una forma di agevolazione irragionevole, ma anche squilibri ingiustificati sul piano della concorrenza. In questa ottica, allora, anche i servizi che vengono forniti in un bar si collocano nell’ambito della vendita di prodotti che si trovano in uno spaccio aziendale (si pensi alle bevande) e nell’ambito di un concetto di ristorazione in senso ampio. Si può allora concludere che il termine “spaccio” deve essere correttamente inquadrato sul piano sistematico in un contesto più ampio nel quale il legislatore dell’Iva e delle imposte sui redditi ha unitariamente ribadito la natura commerciale per una serie di attività che coprono sicuramente il settore della ristorazione e della ricettività alberghiera.
      Il quarto motivo del ricorso è inammissibile per la sua genericità, per violazione del principio di autosufficienza, e per l’impossibilità di esibire documenti che non riguardino la nullità della sentenza o l’ammissibilità del ricorso. Nel ricorso non sono state specificate le sentenza passate in giudicato che il Giudice di appello non avrebbe esaminato, mentre sono stati allegati documenti che non possono essere presi in esame in questa sede.
      Il quinto motivo è infondato poiché l’autorizzazione all’appello risulta rilasciata ed allegata agli atti (nota prot. …)
      Sussistono giustificati motivi per compensare le spese.

      P.Q.M.
      Rigetta il ricorso
      . Compensa le spese.
      Così deciso in Roma il 18.11.2005 nella camera di consiglio della Sezione Tributaria.

      omissis …




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