Con la sentenza che si segnala, la Suprema Corte di Cassazione per affrontare la questione della validità di un contratto di apertura di credito in conto corrente fra una società sportiva ed una banca, senza l'approvazione, prevista dall'art.12 della legge 23 marzo 1981, n.91, della federazione sportiva nazionale cui la prima è affiliata, si è pronunciata, anzitutto, sui rapporti tra ordinamento giuridico statale ed ordinamento sportivo, nell'ambito del sistema delle fonti del diritto. Nella motivazione, il Supremo Collegio ha precisato, quindi che l'ordinamento sportivo detta una disciplina di carattere particolare e non generale, applicabile solo ai soggetti che ne fanno parte, onde nessun effetto invalidante si determina per effetto del mancato rispetto delle disposizioni dell'ordinamento sportivo cui è sottoposto solo uno dei contraenti, non potendo quello estendere i suoi effetti al di fuori dell'ambito circoscritto, anche di carattere soggettivo, in cui opera.
Con la sentenza che si segnala, la Suprema Corte di Cassazione per affrontare la questione della validità di un contratto di apertura di credito in conto corrente fra una società sportiva ed una banca, senza l’approvazione, prevista dall’art.12 della legge 23 marzo 1981, n.91, della federazione sportiva nazionale cui la prima è affiliata si è pronunciata, anzitutto, sui rapporti tra ordinamento giuridico statale ed ordinamento sportivo, nell’ambito del sistema delle fonti del diritto.
La controversia riguardava la validità, per l’ordinamento statale, di un contratto di apertura di credito concluso da una società sportiva senza l’autorizzazione da parte della Federazione basket alla delibera che decideva la stipulazione del contratto bancario.
In via preliminare la Suprema Corte precisa anzitutto che “le relazioni tra ordinamento (generale) statuale e ordinamento (particolare) sportivo sono caratterizzate da una peculiare complessità, derivante dal fatto che risultano coinvolti in nesso di stretta interdipendenza, gli interessi privati degli enti e degli atleti e gli interessi pubblicistici al regolamentare svolgimento dell’attività’ sportiva”, (cfr. Cass. S.U. n. 4399 del 1989; Cass. n. 3091 del 1986).
Taluni nodi di questa complessità ha inteso appunto sciogliere la Legge n. 91 del 1981, con riguardo specifico alla materia dei rapporti tra società e sportivi professionisti, materia, quindi, certamente di diritto privato, ma tuttavia inserita all’interno di un quadro di garanzia degli interessi pubblici, assicurata da un idoneo apparato d strumenti di controllo e sanzionatori.
Tra le disposizioni di maggiore rilevanza su questo piano si colloca l’articolo 12 della legge – nel testo originario, poi sostituito dal Decreto Legge 20 settembre 1996, n. 485, articolo 4 convertito in Legge 18 novembre 1996, n. 586 -, che, al fine di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi, sottopone le società ai controlli e a conseguenti provvedimenti stabiliti dalle federazioni sportive per delega del CONI. Si tratta del riconoscimento nell’ordinamento generale della funzione di controllo e dell’attività di vigilanza affidata alle federazioni sportive nazionali sugli atti gestionali delle società controllate, esplicantesi – secondo i principi generali – mediante l’approvazione di atti e provvedimenti che comportino esposizioni finanziarie delle stesse società” (Cass. 11462/99).
Va, altresì, ricordato che la Legge n. 91 del 1981, articolo 12 stabilisce al comma 1 che “Le società sportive di cui alla presente legge sono sottoposte all’approvazione ed ai controlli sulla gestione da parte delle federazioni sportive nazionali cui sono affiliate, per delega del CONI e secondo modalità approvate dal CONI”.
Il comma 2 prevede che “Tutte le deliberazioni delle società concernenti esposizioni finanziarie o vendita di beni immobili, o, comunque, tutti gli atti di straordinaria amministrazione, sono soggetti ad approvazione da parte delle federazioni sportive nazionali cui sono affiliate“.
Il comma 4, infine statuisce che “In caso di mancata approvazione è ammesso ricorso alla giunta esecutiva del CONI, che si pronuncia entro sessanta giorni dal ricevimento del ricorso“.
Tenuto conto, poi, dell’assenza di una espressa previsione di nullità per il caso di mancanza della specifica approvazione del contratto da parte della Federazione sportiva nazionale (così come previsto dall’art.12 citato), il Supremo Collegio ha escluso di doverne dichiarare la nullità, ma ha voluto verificare se il contratto non fosse inficiato da altro vizio di invalidità.
A tal fine, ha richiamato il pensiero espresso in precedenza (con le sentenze n.4845/1981 e 3545/04) e ha ricordato che “in ogni caso, le violazioni di norme dell’ordinamento sportivo non possono non riflettersi sulla validità di un contratto concluso tra soggetti assoggettati alle regole del detto ordinamento anche per l’ordinamento dello Stato, poiché, se esse non ne determinano direttamente la nullità per violazione di norme imperative (articolo 1418 c.c.), incidono necessariamente sulla funzionalità del contratto medesimo, vale a dire sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico (articolo 1322 c.c., comma 2); non può infatti ritenersi idoneo, sotto il profilo della meritevolezza della tutela dell’interesse perseguito dai contraenti, un contratto posto in essere in frode alle regole dell’ordinamento sportivo, e senza l’osservanza delle prescrizioni formali all’uopo richieste, e, come tale, inidoneo ad attuare la sua funzione proprio in quell’ordinamento sportivo nel quale detta funzione deve esplicarsi (Cass. n. 4845/81 Cass. 3545/04).
Nondimeno, il caso all’esame della Corte si riferiva a rapporti contrattuali tra una banca ed una società sportiva, in cui, cioè, soltanto uno dei due soggetti era assoggettato all’ordinamento sportivo. Ed allora, il Supremo Collegio ha ritenuto di non dover penalizzare quello dei due che del tutto legittimamente poteva “pienamente e validamente esplicare la propria attività negoziale nell’ordinamento giuridico generale stipulando con soggetti estranei all’ordinamento sportivo contratti tipici previsti dal codice civile, senza che possa ritenersi che l’autorizzazione della Federazione costituisse un elemento integrativo dell’efficacia della deliberazione”.
Ed infatti, la disciplina normativa prevista dall’ordinamento sportivo – a parere della Corte di Cassazione – è “di carattere particolare e non generale ed applicabile, quindi, solo ai soggetti che ne fanno parte. In tale fattispecie ritiene la Corte che nessun effetto invalidante possa determinarsi tra le parti per effetto del mancato rispetto di disposizioni dell’ordinamento sportivo cui è sottoposto solo uno dei contraenti, non potendo il detto ordinamento estendere i suoi effetti al di fuori dell’ambito circoscritto, anche di carattere soggettivo, in cui esso opera. […] Se così non fosse, la disposizione della Legge n.91 del 1981, articolo 12, comma 2 avente efficacia esclusiva nei confronti dei soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo,esplicherebbe effetti nell’ordinamento generale di tipo derogatorio rispetto alla normativa civilistica in materia societaria e contrattuale, investendo così anche soggetti estranei all’ordinamento sportivo; effetti che invece non risultano previsti dalla legge in questione.
Nel caso di specie deve, quindi, ritenersi che la mancata richiesta alla Federazione di autorizzazione a contrarre il finanziamento abbia dato luogo esclusivamente ad una violazione della disciplina dell’ordinamento sportivo che, come tale, è suscettibile di sanzione ai sensi della l. n. 91 del 1981, art.13, che stabilisce che le Federazioni per gravi irregolarità di gestione possono chiedere, con ricorso al tribunale, la messa in liquidazione delle società.”