Le erogazioni liberali in natura hanno avuto in passato una regolamentazione non sempre lineare in tema di scelta del metodo di valutazione dei beni stessi.
La riassumiamo giusto per inquadrare la situazione:
- nel d.lgs. 460/97 (cfr. art. 13, comma 3) si parlava di “costo specifico”
- nel d.p.r. 441/97 (cfr. art. 2) si parlava di “costo” in modo generico.
Questo ha generato non poche perplessità tra gli operatori. Tuttavia l’applicazione del metodo del costo specifico andava certamente bene per i beni merce ma non risolveva il problema dei beni strumentali.
Il valore fiscalmente rilevante
La novità principale contenuta nel decreto interministeriale (pubblicato sulla GU – serie generale n. 24 del 30/01/2020) è che i metodi di valutazione (art. 3 del decreto) dei beni oggetto di erogazione liberale e quindi il valore fiscalmente riconosciuto dell’erogazione liberale sono i seguenti:
- per un bene di natura strumentale (comma 2), cioè un bene che è iscritto come cespite nelle scritture contabili del donatore, il valore è determinato in base al valore residuo fiscalmente riconosciuto all’atto del trasferimento; per valore residuo, si intende la differenza tra il costo di acquisizione (o costo storico) fiscalmente riconosciuto e l’ammontare degli ammortamenti effettuati;
- per i beni merce (comma 3), cioè beni oggetto dell’attività propria dell’impresa) e per i beni considerati materie prime, sussidiari, semilavorati o altri beni mobili (cfr. art. 85, comma 1, lettere a) e b), T.U.I.R.), il valore dell’erogazione liberale fiscalmente riconosciuto è dato dal minore tra il valore normale (cfr. art. 9 T.U.I.R.) e il valore a cui sono valutati i beni come rimanenza (cfr. art. 92 T.U.I.R.);
- per i beni diversi dai precedenti (comma 1) per esempio i beni provenienti dal patrimonio personale di una persona fisica, si tiene conto del valore normale (cfr. art. 9, T.U.I.R.)
Nell’esposizione dei criteri di valutazione, volutamente non si è rispettato l’ordine di elencazione seguito nell’art. 3 in quanto è risultato più facile mostrare le scelte operate dal legislatore a seconda della tipologia dei beni.
Peraltro occorre prestare particolare attenzione a quanto riportato nell’art. 3 del decreto circa la scelta dei metodi di determinazione dei valori poiché da questi derivano gli effetti fiscali, in capo al donatore, delle liberalità effettuate.
Due parole di approfondimento merita la scelta del legislatore di utilizzare il valore residuo fiscalmente riconosciuto per i beni strumentali.
Facciamo l’esempio di un bene che, pur essendo totalmente ammortizzato in capo al donatore, abbia conservato una sua efficienza e che possa svolgere la propria funzione nell’attività svolta dall’ente beneficiario.
Il suo valore fiscale sarà pertanto zero e il donatore non avrà alcun beneficio fiscale (deduzione o detrazione che sia) dalla dismissione del bene suddetto poiché il valore fiscalmente rilevante della donazione sarà zero.
Anche il valore della presa in carico da parte dell’ente beneficiario sarà zero.
Ma è corretto acquisire un bene a valore zero mentre questo ha un suo valore in quanto può essere ancora utilizzato nell’ambito dell’attività del beneficiario?
Se si tengono presente le antiquate tecniche contabili di iscrizione di beni di questo tipo, allora dovremmo iscrivere il bene al valore simbolico di 1 euro (un tempo era una lira).
Se vogliamo invece attenerci (ed è meglio) alle direttive degli organismi contabili in tema di finalità e postulati di bilancio, l’ente beneficiario dovrebbe iscrivere il bene in questione a valore corrente e su questo determinare un piano di ammortamento. Le quote annuali sarebbero assorbite dalla corrispondente riserva patrimoniale iscritta in bilancio al momento dell’acquisizione del bene.
Dal punto di vista fiscale non accadrebbe nulla poiché la rivalutazione sarebbe fiscalmente neutra.
A ben vedere, comunque, anche se il donatore dichiarasse il valore corrente del bene, certamente superiore al valore residuo, questo non significherebbe l’emersione di una plusvalenza tassabile perché realizzata NON a titolo oneroso (cfr. art. 54 TUIR) tuttavia non avrebbe alcun vantaggio fiscale dalla cessione a titolo gratuito del cespite.
Erogazioni liberali in natura non per fare cassa
Affinché le erogazioni liberali siano deducibili o detraibili, secondo quanto indicato nell’art. 83 del d.lgs. 117/2017, queste devono essere utilizzate dagli enti del terzo settore non commerciali per lo svolgimento dell’attività statutaria, ai fini dell’esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.
Nel novero degli enti che possono acquisire le erogazioni liberali in natura sono comprese le cooperative sociali e le imprese sociali non costituite in forma di società.
Ciò significa che l’ente destinatario non può successivamente utilizzare i beni ricevuti in donazione per finalità di cassa.
Si può fare un esempio estremizzato: cessione a titolo gratuito di un immobile, considerato bene merce, effettuato da una società immobiliare, che utilizza la deduzione dell’onere ex art. 83, comma 2, d.lgs. 117/2017.
L’ente beneficiario non potrà utilizzarlo per fare cassa ma solo come bene strumentale o per il perseguimento dei fini istituzionali.
Si pensi a un ente del terzo settore che assiste senzatetto o migranti e utilizza l’immobile per offrire ospitalità ai propri assistiti.
È opinione di chi scrive che potrebbe dismettere l’immobile e quindi cederlo (anche a titolo oneroso) nel caso in cui, per ragioni organizzative, dovesse spostare il luogo di esercizio dell’attività.
La procedura
Occorre porre attenzione all’iter mediante il quale si effettuano le erogazioni liberali in natura perché il donatore:
- deve elencare analiticamente i beni donati e il loro valore in un atto scritto
- in tale atto il beneficiario dichiari l’impegno a utilizzare direttamente i beni medesimi per lo svolgimento dell’attività statutaria, ai fini dell’esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.
Qualora il donatore sia un’impresa o un libero professionista, l’atto scritto, di cui all’art. 4 del decreto in esame, può essere costituito dal documento di trasporto o dalla fattura che accompagnerà la merce.
Si ricorda che le operazioni di cessioni gratuite di beni sono e restano operazioni esenti ex art. 10, comma 1, numero 12 d.P.R. 633/72 e quindi danno luogo alla rettifica della detrazione dell’imposta (IVA) ex art. 19-bis 2, d.P.R. 633/72
Se i beni oggetto dell’erogazione liberale
- non sono considerati beni merce o strumentali e di importo superiore ai 30.000 euro oppure
- se per la natura dei beni stessi non sia possibile desumerne il valore sulla base di criteri oggettivi,
il donatore dovrà acquisire una perizia giurata avente data non anteriore a 90 giorni il trasferimento dei beni.
Una copia della perizia dovrà essere consegnata anche all’ente beneficiario.
Erogazione liberale o donazione?
Quando le liberalità in denaro o in natura sono particolarmente consistenti, sorge il dubbio se l’operazione, da “erogazione liberale” divenga una “donazione” (art. 769 c.c.).
L’aspetto che accomuna le due fattispecie è l’animus donandi cioè il libero convincimento del donatore che, mediante l’operazione, stia arricchendo la controparte.
L’aspetto che invece le divide è (per la donazione) la forma solenne dell’atto pubblico (art. 782 c.c.) del contratto, da redigersi in presenza di due testimoni, forma che è richiesta ad substatiam e senza il rispetto della quale il contratto è nullo.
Nel Codice civile le donazioni di modico valore (art. 783 c.c.) sono ugualmente valide anche in mancanza dell’atto pubblico, purché riguardino beni mobili e vi sia stata la tradizione (cioè la consegna) del bene o del denaro.
Stabilire quando una liberalità sia di modico valore e quindi un’erogazione liberale e quando una donazione è un’impresa ardua poiché si dovrebbe far riferimento alla capacità patrimoniale del donatore e… apriti Cielo!
In qualità di ipotetico ente beneficiario mi preoccuperei perciò di predisporre un regolamento interno in cui si stabilisce il limite della materialità oltre a stabilire schemi operativi utili alle parti per gestire in modo più efficiente ed efficace queste operazioni.
Cosa resta in vigore
In attesa che il Runts diventi operativo e che arrivi l’autorizzazione della Commissione europea al d.lgs. 117/2017, le norme che regolano le erogazioni liberali in natura si applicano alle Onlus, alle OdV e alle Aps regolarmente iscritte nei rispettivi registri.
Il decreto in rassegna non cancella né interviene sulle norme relative alla legge 166/2016 (cd. legge Gadda) che riguardano però le cessioni gratuite di talune tipologie di beni (principalmente alimenti e farmaci) destinati a essere ritirati dal circuito commerciale per difetti di confezionamento o perché prossimi alla scadenza.
È appena il caso di ricordare che pur trattandosi di cessioni gratuite di beni, queste operazioni riguardano beni che altrimenti sarebbero destinati alla distruzione.
Ecco spiegato il perché il legislatore abbia previsto la loro valutazione secondo l’ultimo prezzo di vendita oltre al fatto di escludere tali operazioni dall’ambito di applicazione dell’IVA.
I disturbi delle norme IVA e una possibile soluzione
Ai fini IVA, come si è già fatto notare in altri interventi, le cessioni gratuite di beni da parte di imprese o di lavoratori autonomi, diverse da quelle indicate nella legge 166/2016, costituiscono destinazione diversa dei beni rispetto a quella della produzione e scambio di beni e servizi.
In altri termini occorre effettuare la rettifica dell’IVA dedotta al momento dell’acquisto dei beni oggetto di donazione.
Entra quindi in gioco l’art. 19 bis 2 del d.P.R. 633/72 capace di… provocare improvvise emicranie negli operatori.
Questo, unitamente alle questioni già esaminate in precedenza, comporta una serie di disincentivi per le erogazioni liberali in natura.
Questioni di coordinamento con le norme comunitarie e di cautela per evitare abusi e turbative del mercato, non permettono una regolamentazione meno invasiva.
La soluzione più lineare resta, a parere di chi scrive, l’erogazione in denaro che va a costituire la provvista finanziaria mediante la quale acquistare, a prezzi correnti e con l’applicazione dell’IVA, gli stessi beni che si sarebbero ricevuti in donazione.
L’operazione così come descritta non costituisce una frode, né un raggiro della legge ma un semplice e pragmatico operare giornaliero: la cessione dei beni avviene a titolo oneroso, il cedente applica i prezzi correnti e l’eventuale scontistica d’uso per cessioni similari.
In altri termini non c’è alcuna sotto o sovrafatturazione, gli obblighi IVA risultano adempiuti, l’operazione è tracciabile in tutte le sue fasi poiché il donatore versa l’erogazione liberale attraverso i canali finanziari previsti dalla legge, emette la fattura elettronica che l’ente beneficiario pagherà sempre attraverso un’operazione tracciabile.
Entrata in vigore
Attenzione all’entrata in vigore del decreto: non essendo prevista una data, entrerà in vigore il 15° giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e quindi il 14 febbraio 2020.
Vale a dire solo due anni, sei mesi, una settimana e quattro giorni dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 117/2017.