1. La sentenza
La sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna n. 19/2/14 del 13/11/2013 decide, respingendolo, sul ricorso di un’azienda sponsor di una scuderia automobilistica.
Superata una eccezione preliminare, la Commissione decide sulla questione che viene così inquadrata dalle parti:
– la ricorrente sostiene che la sponsorizzazione in questione è inerente l’attività svolta, di importo ragionevole e adeguato alle prestazioni ricevute, importo regolarmente pagato con assegni e bonifici
– l’Ufficio dichiara che il controllo rientra in un progetto nazionale che coinvolge il mondo del rally, con un’ampia motivazione a cui anche la sentenza rinvia ma che non è in essa riportata e nemmeno riassunta.
Nella parte motivata della sentenza si sottolinea che:
a) i contratti sono estremamente generici e stipulati “con soggetti altamente sospetti”
b) hanno per oggetto “forme di pubblicità di dubbio ritorno per l’impresa”
c) dall’esame delle foto risulta che la scritta dello sponsor “è sempre riportata in basso sulle vetture ed in mezzo ad una miriade di altri sponsor” e quindi i messaggi pubblicitari sono “pressochè invisibili e illeggibili”
d) che “L’enormità delle scritte contenute sulle auto da rally danno la percezione di dovere solo formalmente giustificare che la pubblicità è stata fatta in base ad un impegno contrattuale”.
Così inquadrati i termini sostanziali della vicenda, la sentenza inizialmente menziona il principio di inerenza, richiamando la sentenza della Corte di Cassazione 4/4/2012 n. 5374, che riconosce all’Ufficio il potere di valutare “l’inerenza e finanche la congruità dei costi”, ma successivamente cambia radicalmente rotta, non parlando certo di inerenza e congruità, ma di inesistenza della prestazione: il costo è indeducibile e l’IVA indetraibile perché non esiste un vero messaggio pubblicitario, ovvero la prestazione della quale l’impresa si è dedotta il costo.
Come detto, non conosciamo le “articolate e lunghe deduzioni” dell’Ufficio, ma ben conosciamo la difficoltà di dirimere i contenziosi relativi a operazioni inesistenti, contenziosi spesso di dimensioni enormi (si pensi alle c.d. “frodi carosello IVA”).
Si tratta di decisioni che vengono dall’esame non del diritto e della forma (le fatture sono sempre correttamente emesse e registrate, i documenti di trasporto firmati, i corrispettivi pagati con mezzi tracciabili) ma della sostanza, sulla base di indagini spesso estremamente ampie e complesse, con rilevanza e mezzi di indagine spesso tipici del diritto penale (dalle verifiche sui rapporti bancari delle persone fisiche coinvolte, alle intercettazioni telefoniche e ambientali).
Se la tesi dell’Ufficio era adeguatamente supportata, come la sentenza ritiene, è evidente il fondamento dell’accertamento e della sentenza, che quindi appare sotto il profilo logico corretta: se le deduzioni dell’Ufficio e la documentazione che le supporta hanno portato alla considerazione riportata al precedente punto “d”, non ne poteva che conseguire il rigetto del ricorso.
2. Il commento della rivista dell’Agenzia delle Entrate
Il commento della rivista FiscoOggi (riportato in calce) si dilunga invece ad analizzare, con dovizia di citazioni, il tema dell’inerenza che, ripetiamo, è solamente enunciato e poi sostanzialmente abbandonato della sentenza.
Sappiamo che quello del possibile sindacato sull’inerenza e “finanche sulla congruità” delle spese è argomento caro all’Ufficio, che per tale via, in base alla citata sentenza di Cassazione, può entrare in profondità nel merito dell’attività dei contribuenti, andando a sindacare anche sulle scelte gestionali, terreno che fino a essa gli era precluso.
Tale argomento ci pare assolutamente marginale nella sentenza in esame; peraltro, se non ci pare coerente con il contenuto della sentenza, ciò non toglie che ciò che si afferma nel commento sia corretto: dopo la citata sentenza della Corte di Cassazione, l’Ufficio in presenza di elementi di adeguato peso può sindacare anche le scelte gestionali dell’azienda, e spetterà ai contribuenti proporre una diversa lettura della situazione e difendere il proprio operato.
3. L’insegnamento per le società e associazioni sportive
Ma al di là della (rilevante) differenza fra non inerenza del costo e inesistenza della prestazione, sia la sentenza che le argomentazioni esposte nel commento dell’Agenzia ci invitano a ripetere ancora una volta una chiara raccomandazione alle società e associazioni sportive: come pretendiamo la prevalenza della sostanza sulla forma quando si tratta di verificare l’effettività del rapporto associativo, la democraticità, la regolarità della gestione amministrativa, non possiamo sollevare obiezioni di principio quando l’Ufficio oltrepassa la forma (il contratto, la fatturazione, l’avvenuto pagamento) per verificare l’effettività del rapporto pubblicitario o di sponsorizzazione.
La regolarità formale non “blinda” l’operazione: un contratto dal quale non si comprendano gli obblighi delle parti, una prestazione risibile, un corrispettivo manifestamente sproporzionato, un mezzo pubblicitario manifestamente inadatto, una platea di destinatari del messaggio pubblicitario assolutamente lontana dai potenziali clienti dello sponsor, sono elementi che legittimano le contestazioni dell’Ufficio.
Certo, in presenza di adempimenti regolarmente effettuati gli elementi portati dai verificatori debbono essere puntuali e ben documentati ma, se lo sono, per controbatterli sia l’azienda sponsor che la società o associazione sponsorizzata dovranno a loro volta portare elementi concreti a supporto della correttezza della loro operazione.
Nel caso in esame, non per ipotizzare una linea di difesa ma semplicemente per fare un esempio per i nostri lettori, se il nome dello sponsor, oltre che in una piccola scritta in basso sulle vetture, fosse comparso anche in materiale promozionale distribuito dalla scuderia, fosse stato citato in articoli e interviste, se il circuito di gara fosse stato nella zona di attività dello sponsor, se ci fosse stato un evento presso lo sponsor (p.s. una presentazione del team), se la produzione dello sponsor riguardasse specificatamente il settore auto, se la “miriade di sponsor” fossero in realtà collegati (p. es. tutte aziende facenti parte di un medesimo distretto produttivo), se gli eventi a cui partecipava il team fossero di tale rilevanza che il solo farvi parte desse comunque prestigio allo sponsor, se lo sponsor fosse anche fornitore o cliente della scuderia, e così via, allora gli elementi portati dall’Ufficio avrebbero potuto essere “bilanciati” da elementi portati dall’azienda, e il contenzioso avrebbe potuto avere esito diverso.
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Sponsorizzazioni indeducibili se generiche e di dubbia efficacia
L’incerto ritorno per l’impresa e l’indeterminatezza del contratto nell’ambito del settore delle corse automobilistiche di rally non consentono di “scalarne” i costi
Una recente decisione della Commissione tributaria provinciale di Ravenna (sentenza n. 19/02/14 del 15 gennaio 2014), respingendo il ricorso presentato da una società di capitali e decidendo in senso favorevole all’Amministrazione finanziaria, ha considerato indeducibili, ai fini Ires e Irap, compresa l’indetraibilità della relativa Iva, alcuni componenti negativi di reddito riguardanti alcuni contratti di sponsorizzazione nel settore delle corse sportive automobilistiche di rally.
In particolare, i giudici tributari sono pervenuti a tale determinazione conclusiva ritenendo, fra l’altro, che i contratti di sponsorizzazione presentavano un “contenuto estremamente generico” e, inoltre, avevano “ad oggetto forme di pubblicità di dubbio ritorno per la impresa”.
La fattispecie concreta
La sentenza ha deciso, in senso favorevole all’Amministrazione finanziaria, un contenzioso che vedeva contrapposti la direzione provinciale di Ravenna delle Entrate e una società di capitali.
Più in dettaglio, i fatti sono ben riassunti dall’organo giudicante che, nella parte della propria pronuncia dedicata al fatto, ha puntualmente osservato che “…la società impugnava l’avviso di accertamento sopra rubricato con il quale l’Agenzia delle Entrate di Ravenna, provvedeva a rettificare i redditi dichiarati dalla società ai fini Ires, Iva, Irap e altre imposte, per l’anno d’imposta 2007, come meglio indicato nell’atto impositivo qui integralmente richiamato, redatto sulla scorta di un corposo PVC , chiedendone l’annullamento”.
Più precisamente, come anche osservato dalla stessa Ctp, l’atto impositivo contestava alla società:
“1) di avere portato in deduzione costi per operazioni oggettivamente inesistenti relativi a sponsorizzazioni (fatture ricevute dalla società S.R. srl) per € 56.000,00 e di avere indebitamente detratto l’Iva per € 11.200,00;
2) di avere indebitamente detratto l’Iva afferente a costi per operazioni soggettivamente inesistenti relativi a sponsorizzazioni (fatture ricevute dalla società S.R. srl ) per € 2.800,00”.La società ricorrente impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’ufficio, contestando vari specifici elementi di fatto della concreta vicenda e sollevando anche molteplici eccezioni di natura eminentemente giuridica di portata generale.
In particolare, così come anche colto dai giudici romagnoli, i rilievi sollevati dal ricorso presentato dalla parte privata possono essere così riassunti:
preliminarmente la parte privata eccepiva “la decadenza dell’ufficio dal potere accertativo per l’annualità 2007, il quale si è avvalso del beneficio del raddoppio dei termini per l’accertamento per effetto della presenza di violazioni giudicate penalmente rilevanti in capo alla condotta della società contribuente, ai sensi dell’articolo 2 Dlgs 74/2000, ma l’ufficio avrebbe potuto avvalersi del predetto ‘raddoppio dei termini’ solo nel caso in cui avesse proceduto a proporre denuncia della parte alla Procura della Repubblica prima della notifica dell’accertamento”
nel merito, la società ricorrente contestava il fatto che “l’Agenzia delle Entrate basa i propri accertamenti sulle risultanze della verifica fiscale eseguita e contenuta nel PVC del 30.10.2012 e nella fattispecie dall’esame del rapporto contrattuale intercorso con la società S.R. srl (società operante nel mondo dei rally e delle corse) la quale ha fornito prestazioni pubblicitarie e promozione del marchio “N. I. srl” mediante apposizione del logo sulle vetture da competizione impegnate in manifestazioni agonistiche e fieristiche della specialità rally, dietro pagamento di un corrispettivo, regolarmente versato e registrato in contabilità dalla società contribuente, ottenendo benefici commerciali. La società ricorrente sostiene che è proprio nel settore delle corse che si può promuovere il proprio marchio e acquisire nuova clientela per sviluppare gli affari sia localmente sia in altre aree territoriali”.
L’Amministrazione finanziaria resisteva in giudizio ribattendo punto per punto, sia ai rilievi specifici del caso concreto sia, e soprattutto, contestando anche quelli generali appena sopra citati.
Più in dettaglio, come anche osservato dalla Ctp, la Dp di Ravenna dell’Agenzia, nei propri atti difensivi, sottolineava, in primo luogo, che “L’ufficio prima di notificare l’avviso di accertamento ha preventivamente inviato alla competente Procura di Ravenna la notizia di reato secondo quanto previsto dall’art.331 cpp per il reato punibile ai sensi dell’articolo 2 del Dlgs n. 74 del 2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti) per l’anno d’imposta 2007 il 14.11.2012, copia allegata alle deduzioni (all.2)…”.
In secondo luogo, con riferimento alle spese di sponsorizzazione, l’Amministrazione finanziaria precisava che “occorre notare che il citato controllo si inquadra in un più ampio progetto nazionale denominato ‘Off Road’ relativo al settore delle corse automobilistiche e nello specifico al mondo delle scuderie rally in cui diverse società si trovano coinvolte, descritte con articolate e lunghe deduzioni e anche nelle motivazioni dell’accertamento a cui si rimanda per una integrale e puntuale lettura. L’ufficio su tutti i punti ribadisce la bontà del proprio operato e concludeva chiedendo il totale rigetto del ricorso con vittoria di spese di giudizio”.La motivazione della sentenza
La Commissione tributaria romagnola ha compiutamente esaminato le contrapposte posizioni assunte dall’Ente impositore e dalla parte privata, nonché i molteplici elementi posti dall’Amministrazione finanziaria alla base dei rilievi fiscali mossi alla società di capitali.
Tutto ciò ha consentito al collegio giudicante di merito di cogliere, con precisione e puntualità, la complessa attività istruttoria posta in essere dall’ufficio tributario e poi trasfusa nella parte motivazionale dell’atto impositivo emanato.
Passando all’analisi della parte motiva della pronuncia resa dai giudici, deve porsi in evidenza come sono due i passaggi fondamentali del percorso logico-giuridico che ha guidato le loro determinazioni conclusive.Sulla decadenza dal potere accertativo in capo all’Amministrazione finanziaria
I giudici tributari romagnoli, nella parte motiva della propria decisione, hanno chiaramente ritenuto, in primo luogo, che “Per quanto attiene alla supposta decadenza dell’ufficio, dal potere accertativo, si rileva che l’Agenzia delle Entrate di Ravenna ha provveduto a depositare denuncia alla Procura di Ravenna, protocollata in data 15.11.2012 a carico della N. I. srl, quale ‘Denuncia ex articolo 331 del c.p.p’, e tale denuncia produce l’effetto immediato del ‘raddoppio dei termini’ per la notifica di accertamenti a carico della società contribuente. L’accertamento infatti è stato notificato il 22.4.2013 e quindi successivamente a tale denuncia e pertanto risulta regolarmente nei termini”.Sulla certezza e inerenza dei costi
Con riguardo ai contratti di sponsorizzazione, la Ctp di Ravenna, nella parte centrale dell’impianto motivazionale della propria decisione, ha, in primo luogo, sottolineato che “la stipula di un contratto di sponsorizzazione è ovviamente, come sostengono i ricorrenti, attività del tutto lecita, conforme alle esigenze della impresa, ed inerente agli scopi dell’imprenditore che sono quelli di raggiungere sempre migliori risultati aziendali. L’ufficio non ha però contestato la stipula dei contratti di sponsorizzazione. Circa la doglianza sulla presunta assenza della facoltà, per l’Amministrazione finanziaria, di sindacare le scelte dell’imprenditore relative alla propria attività, si evidenzia che la giurisprudenza della Corte di cassazione, con la sentenza n. 5374 in data 04.04.2012, ha affermato che rientra nei poteri dell’ufficio, in sede di accertamento, la valutazione dell’inerenza e finanche della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni”.In relazione a tale aspetto, proseguendo nel proprio ragionamento logico-giuridico, i giudici romagnoli hanno, in secondo luogo, puntualmente evidenziato che si deve, inoltre, osservare che “i contratti: a) stipulati con soggetti altamente sospetti; b) dal contenuto estremamente generico; c) aventi a oggetto forme di pubblicità di dubbio ritorno per la impresa; d) dall’esame visivo delle foto delle auto si rileva che la scritta ‘N. I.’ è sempre riportata in basso sulle vetture e in mezzo a una miriade di altre scritte di altri sponsor tali che di fatto rendono pressoché invisibili ed illeggibili tali messaggi pubblicitari e quindi assolutamente privi di un’efficacia sul pubblico. L’enormità delle scritte contenute sulle auto da rally danno la percezione di dovere solo formalmente giustificare che la pubblicità è stata fatta in base a un impegno contrattuale, peraltro stipulato con una miriade di inserzionisti e ciò accredita a maggior ragione le motivazioni dei verbalizzanti e di quanto sostenuto con ampie e valide argomentazioni dell’ufficio”.
È importante evidenziare che, con tali ultime statuizioni, la Ctp di Ravenna perviene alla determinazione di considerare indeducibili i costi di sponsorizzazione anche in quanto ritenuti non inerenti all’attività svolta dalla società di capitali che ha presentato ricorso.
Con riferimento al principio di inerenza si osservi che il dettato normativo di riferimento, per l’individuazione della sussistenza di tale principio ai fini dell’imposizione diretta, va individuato nel comma 5 dell’articolo 109 del Tuir, secondo il quale “le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.
Il fondamentale principio in esame rappresenta un requisito indispensabile ai fini della deducibilità di un componente negativo di reddito.
In particolare, il principio di inerenza presuppone nel concreto un’analisi preventiva e fattuale atta a verificare il collegamento del singolo costo all’attività di impresa, in un rapporto di causa-effetto per cui, a fronte del sostenimento del costo (che rappresenta la causa), sia possibile la realizzazione dell’attività (ossia l’effetto) da cui derivano i redditi imponibili.Utili precisazioni in merito all’applicazione concreta del principio di inerenza sono contenute anche nella decisione della Corte di cassazione 9196/2011.
I giudici di legittimità hanno chiarito che “…perché un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito, non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa. Per provare tale ultimo requisito, non è sufficiente, poi, che la spesa sia stata dall’imprenditore riconosciuta e contabilizzata, atteso che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo, la ragione della stessa (cfr Cassazione 24.3.2006 n. 6650; cfr 18.12.2006, n. 27095; 20.11.2001, n. 14570; 25.6.1998, n. 6300)”.Ancora più di recente, la suprema Corte, con l’ordinanza n. 9/2013, ha fornito precise linee guida che possono trovare applicazione nelle ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria muove ai contribuenti contestazioni fondate sull’operatività concreta del principio di inerenza; più precisamente, anche con tale ultimo citato arresto giurisprudenziale, i giudici di legittimità hanno confermato che l’inerenza dei costi resta sottoposta alla valutazione del giudice di merito, il cui vaglio non può essere censurato se non per vizio di motivazione, ma che deve comunque seguire nella valutazione dei fatti di causa un “criterio logico”.
In altri termini, il requisito dell’inerenza, onere del contribuente, non può essere ridotto al mero ragionamento senza ricorrere a prove di fatto.Con riferimento, infine, alla ripartizione dell’onere probatorio nelle ipotesi di applicazione concreta del principio di inerenza, giova evidenziare che la Corte di legittimità ha chiarito, con un orientamento giurisprudenziale consolidato, che è principio inderogabile quello secondo cui è il contribuente che invoca la detrazione/deduzione a dover dimostrate (exarticolo 2697 codice civile), ai fini della richiesta della detrazione/deduzione delle spese sostenute, che le operazioni passive sono state effettuate “in stretta connessione con le finalità imprenditoriali”.
La Corte suprema ha, infatti, ripetutamente affermato che, se è vero che spetta all’Amministrazione finanziaria, nel quadro dei generali principi che governano l’onere della prova, dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria, è altrettanto vero che il contribuente che intenda contestare la capacità dimostrativa di quei fatti, oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, deve dimostrare, a sua volta, gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano (cfr Cassazione 10802/2002 e 18762/2006).
Da ciò ne è derivato il principio che, in mancanza di elementi certi e precisi forniti da parte del contribuente, non sono deducibili dal reddito d’impresa i costi ritenuti dall’ufficio non inerenti (cfr Cassazione 19489/2010).Risulta essere, quindi, del tutto consolidato l’orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui, in materia di imposte sul reddito, con riferimento alla determinazione del reddito d’impresa, l’onere della prova circa l’esistenza e l’inerenza dei costi, ai sensi del disposto dell’articolo 2697 del codice civile, incombe al contribuente, per cui (cfr sentenze 23731/2013, 7701/2013, 3340/2013, 18930/2011, 26851/2009, 11078/2008, 1709/2007, 18710/2005, 11240/2002, 10802/2002 e 16198/2001) è questi che deve documentare che i costi stessi sono stati effettivamente sostenuti e soprattutto che sono anche inerenti all’esercizio dell’impresa.
Le conclusioni raggiunte dalla sentenza della Ctp di Ravenna
Sulla base della appena riassunta articolata parte motivazionale della propria sentenza, i giudici romagnoli hanno, dunque, respinto il ricorso della società di capitali confermando, quindi, totalmente i recuperi di imposta operati dall’Amministrazione finanziaria.Maurizio Dalla Vecchia – pubblicato su FiscoOggi, lunedì 17 febbraio 2014