Il quesito
Risposta di: Stefano ANDREANI
L’inquadramento del rapporto indicato nel quesito è operazione delicata, e richiede una serie di informazioni che non sono state fornite.
Trattandosi di un caso abbastanza frequente ricordiamo però le linee generali in base alle quali tale inquadramento deve essere effettuato.
Il primo aspetto da chiarire è se si sia in presenza di un rapporto con le caratteristiche del lavoro subordinato: obbligo del rispetto di un orario deciso dal datore di lavoro, subordinazione gerarchica, obbligo di fornire lavoro e non un risultato, dovere di svolgere l’incarico personalmente, obbligo di sottostare alle direttive del datore di lavoro, ecc.
Se siamo in presenza di un rapporto di lavoro subordinato la questione è rigidamente disciplinata dalle disposizioni relative.
Una volta che sia stato escluso il rapporto di lavoro subordinato, si deve chiarire se si rientri nell’esercizio di “arti o professioni”, ovvero di “impresa commerciale”.
Sempre rimanendo necessariamente sui principi generali e in via di larghissima approssimazione, si ha esercizio di arti o professioni o attività di impresa se l’attività è svolta con carattere di abitualità, professionalità e, per l’attività di impresa, di una organizzazione anche minima.
Se sussistono tali requisiti il soggetto sarà civilisticamente un professionista, un prestatore d’opera, un imprenditore ma soprattutto sotto il profilo fiscale (che è quello che ci interessa in questa sede) sarà tenuto ad aprire una posizione IVA.
Per contrastare la prassi di “far prendere la partita IVA” a soggetti che in realtà sono lavoratori subordinati, se si verificano determinati presupposti (monocommittenza, reddito inferiore a determinate soglie, disponibilità di una postazione fissa di lavoro, ecc.) la recente “riforma Fornero” può riqualificare tali rapporti in rapporti di lavoro dipendente (vedi sul punto gli articoli apparsi su Newsletter n. 16/2012 e su Newsletter n. 4/2013).
Se escludiamo sia il lavoro dipendente che l’attività di impresa o lavoro autonomo, nel caso in esame, poichè l’oggetto del rapporto di lavoro non è sportivo (allenatore, istruttore, atleta, preparatore atletico, ecc.) dobbiamo infine porci un’ultima domanda: si tratta o no di una collaborazione coordinata e continuativa (e quindi di un rapporto che, pur non essendo di lavoro dipendente, presenta caratteristiche di durata nel tempo e di coordinamento con gli altri collaboratori e in generale con la struttura della a.s.d.)?
Se si tratta di collaborazione coordinata e continuativa, va segnalato che le associazioni sportive dilettantistiche sono gli unici soggetti (oltre agli enti pubblici) esonerati dalla normativa sulle collaborazioni a progetto, il rapporto potrebbe quindi essere inquadrato come co.co.co., senza la necessità di predisporre un progetto, che per l’attività di pulizie sarebbe decisamente improponibile.
Sempre nell’ambito delle co.co.co., sarebbe poi teoricamente possibile inquadrare il rapporto come collaborazione amministrativo-gestionale, alla quale l’art. 67 TUIR riserva le medesime agevolazioni fiscali stabilite per le prestazioni sportive (inquadramento come redditi diversi, e quindi trattamento fiscale agevolato e nessun prelievo previdenziale). Su questa scelta manifestiamo peraltro fortissime perplessità, trattandosi di una prestazione non certo specifica del settore sportivo e ben sapendo che le attività di pulizia sono da sempre “nel mirino” dei verificatori: sinceramente, non ci pare opportuno correre il rischio di contestazioni pressochè certe in sede di eventuale verifica.
In tutti gli altri casi, saremo invece in presenza di prestazioni occasionali o collaborazioni occasionali, fiscalmente trattate come “redditi diversi” e quindi con prelievo fiscale ordinario, soggette anche a contribuzione previdenziale se si superano le soglie stabilite dall’INPS (30 giorni lavorativi nell’anno ovvero 5.000 euro di ricavi).
Come si è visto, la situazione è complessa e da affrontare con grande attenzione, esaminando attentamente il caso specifico.