Il quesito
Risposta di: Barbara AGOSTINIS
La formulazione del quesito non sembra invero oltremodo chiara; in particolare non si comprende perchè non debba più essere richiesto il certificato medico per le attività svolte, se riconosciute dal CONI (forse solo basandosi sull'affermazione del responsabile ASL), nè pare evidente la distinzione fra attività rese alla persona e quelle praticate in ambito sportivo.
In realtà, l'elencazione delle attività da parte del CONI (con le delibere n. 1566 del 16/12/2016; n. 1568 del 14/02/2017, n. 1569 del 17/05/2017 e, infine, n. 1575 del 18/07/2017) mira proprio ad individuare le discipline considerate sportive dall'ente, che ai sensi di legge (ex art. 7 d.l. 28/5/2004 n. 136 convertito nella l. 27/7/2004 n. 186), è l’unico organismo certificatore della effettiva attività sportiva svolta dalle società e associazioni sportive dilettantistiche. Lo svolgimento di una disciplina presente nell'elenco, in quanto sportiva, ne impone il trattamento come tale, non solo a fini tributari (consentendo al sodalizio, in possesso di tutti i requisiti, il godimento delle agevolazioni fiscali), bensì anche con riguardo alla tutela sanitaria del praticante.
La previsione statutaria dello svolgimento di attività sociali non impedisce di reputare le medesime sportive, posto che allo sport è riconosciuta un'importantissima funzione sociale (oltre che sanitaria). E' imprescindibile che si tratti di discipline riconosciute dal CONI.
La richiesta del certificato, oltre ad essere corretta poichè rispettosa del dettato normativo (cd. Decreto Balduzzi in combinato disposto con le delibere del CONI), consente la legittima percezione delle agevolazioni fiscali, non facendo ritenere l'attività commerciale. E' però oltremodo evidente la necessità che i soggetti praticanti siano tesserati in Italia come richiesto dalle circolari esplicative del Decreto Balduzzi (a firma del Ministero della Salute).