Il presente intervento riprende il tema trattato nella newsletter n. 28/2007 del 06/09/2007 da Rossana Prola di professione acqua.
Le problematiche affrontate sono, in sintesi, le seguenti:
a) ha senso, oggi, con l’evoluzione delle modalità di svolgimento dell’attività sportiva da parte della generalità della popolazione (meno agonismo e più attività sportiva non agonistica) continuare a costruire impianti sportivi con misure “olimpiche”, ovvero tarati su situazioni di sport di vertice (stadi e palasport per la serie “A”)?;
b) in particolare, è giusto che un’Amministrazione Pubblica (nella generalità dei casi un comune) utilizzi denari della collettività per finanziare impianti istituzionalmente in perdita economica a beneficio di pochi (atleti e tifosi), considerando anche il fatto che, sovente, il successo di un impianto è strettamente legato ai successi sportivi della squadra della città, cioè ad un elemento quantomai aleatorio, laddove impegno finanziario ed economico per il realizzo della struttura ed il suo mantenimento rappresentano oneri certi ed ineludibili?;
c) non sarebbe più corretto che le Amministrazioni Pubbliche realizzassero impianti meno ridondanti ed economicamente più gestibili, finalizzandone l’utilizzo alla generalità della popolazione (che pratica attività sportive non agonistiche) lasciando che siano le squadre di vertice a costruirsi e gestirsi gli impianti, ovvero creasse le condizioni normative, regolamentari ed anche economiche affinché tali piccoli impianti possano essere economicamente gestiti da privati?
E’ evidente che, poste le questioni nei termini di cui sopra, è difficile non concordare con
in momenti di congiuntura economica come quelli attuali in cui le risorse disponibili per le Amministrazioni Locali sono costantemente in calo a fronte di fabbisogni e richieste dei cittadini tendenzialmente in aumento è chiaro che certe situazioni non sono più sostenibili né giustificabili: probabilmente ogni città ha esperienze di impianti sovradimensionati – se non vere e proprie cattedrali nel deserto – finanziati con denaro pubblico e di fatto inutilizzabili per lo sport di base laddove i corsi di avviamento allo sport ovvero l’attività sportiva non agonistica si trovano di fronte a carenze infrastrutturali spesso sconcertanti;
inoltre, le piscine sono infatti probabilmente – a parità di target – gli impianti sportivi più onerosi sia a livello di realizzazione che di gestione.
Fatte queste premesse, mi trovo però sostanzialmente in disaccordo con alcune delle soluzioni proposte:
Se è vero che, ad oggi, gli impianti sono pensati essenzialmente per il mondo agonistico e, conseguentemente, risultano poco adatti alla pratica sportiva di massa, la soluzione non può essere rappresentata dal ribaltamento a 180° delle prospettive, e cioè finalizzare la realizzazione dell’impiantistica sportiva al soddisfacimento dello “sport per tutti” relegando l’agonismo agli spazi ed alle situazioni residue:
se una tale visione della pratica sportiva può essere assolutamente condivisibile nell’ottica dell’investitore privato, che, giustamente, deve rientrare del proprio investimento in maniera remunerativa, sicuramente non può esserlo nell’ottica dell’impiantistica pubblica.
Se si reputa che l’attività sportiva – ed in particolar modo l’attività sportiva agonistica svolta dai giovani – rivesta un ruolo ed una valenza sociale, ai vari livelli educativo, sanitario ed anche sociale quale centro di aggregazione intorno ad ideali positivi e di prevenzione contro pericolose devianze, allora non si può negare l’importanza di una adeguata impiantistica sportiva pubblica, che consenta, anche caricando parte del costo sulla collettività, agli enti associativi non profit che rappresentano la stragrande maggioranza del mondo sportivo dilettantistico, di perseguire i loro scopi ideali a beneficio dei veri protagonisti dell’attività sportiva agonistica: i giovani atleti.
Ovvio, quanto sopra non può giustificare scelte in tutta evidenza prive di ogni logica nel rapporto costi – benefici, non può costituire l’alibi per la costruzione di mega strutture palesemente sovradimensionate alle esigenze della collettività con finalità prevalentemente di visibilità politica, non può, infine, giustificare l’accollo alla collettività delle diseconomie nella gestione poco oculata (quando non speculativa) degli impianti esistenti da parete dell’Amministrazione Pubblica ovvero dei soggetti affidatari.
Ma l’esistenza di situazioni patologiche deve condurre ad una rivisitazione dei meccanismi di pianificazione, gestione e controllo dell’impiantistica sportiva e non ad una abdicazione da ogni finalità, o anche ambizione, agonistica.
Quali le possibili soluzioni, allora?
Innanzitutto occorre creare dei distinguo nell’ampia categoria dell’impiantistica sportiva; esistono infatti diverse tipologie di impianti:
a) gli impianti destinati allo sport di vertice (grandi stadi per lo sport professionistico);
b) gli impianti destinati allo sport agonistico non di vertice (piscine, palestre e campi di giuoco con misure “regolamentari”);
c) gli impianti destinati alla pratica sportiva di base ed all’avviamento allo sport (strutture di dimensioni più ridotte – impianti sportivi di quartiere)
d) gli impianti destinati alla pratica dell’attività sportiva non agonistica all’interno dei quali, spesso, all’attività sportiva si affiancano attività ricreative, centri estetici, bar e ritorantini etc (servizi alla persona).
è ovvio che gli impianti individuati sub d) possono, e debbono, essere pensati, realizzati e gestiti secondo pure finalità imprenditoriali: si tratta infatti di iniziative assolutamente privatistiche, ancorché, sovente, gestite senza fini di lucro, che devono tendere alla massima soddisfazione dell’utente/cliente nell’ambito di un piano “industriale”, economico e finanziario in equilibrio.
Tali iniziative debbono poter essere gestite senza impedimenti e, possibilmente, in un quadro normativo e rego
E’ tuttavia anche doveroso precisare che se il privato (come sovente accade) richiede contributi o agevolazioni di altro genere (deroghe a piani regolatori, agevolazioni tariffarie etc), allora è non solo condivisibile, ma a mio avviso doveroso che l’Ente Pubblico ponga paletti e pretenda una controprestazione in termini di servizi alla collettività
Infine, in re
Un discorso in qualche modo analogo può essere fatto per i c.d. “grandi impianti” di cui alla lettera a)
In effetti, spesso, tali impianti, e soprattutto gli stadi, sono “molch” difficilmente utilizzabili e gestibili al di fuori dell’evento – campionato.
In questo caso l’accollo di costi sulla collettività derivante da una realizzazione ed una gestione pubblica è francamente di difficile giustificazione nell’ottica del cittadino non tifoso, laddove appare assolutamente più coerente una gestione privatistica – con assunzione del relativo rischio imprenditoriale – da parte del team sportivo professionistico, strada, peraltro, che sempre più realtà stanno perseguendo.
Dopodichè la società di gestione dell’impianto potrà/dovrà industriarsi affinché l’utilizzo dello stadio/palasport non sia limitato alla semplice partita domenicale ma venga allargato ad altre iniziative potenzialmente remunerative (concerti, congressi, spettacoli etc.)
Ciò che, eventualmente, l’Amministrazione Pubblica può/deve fare in tali situazioni, in considerazione del fatto che, comunque, anche il tifoso è espressione della collettività, è creare alcune situazioni favorevoli alla gestione (parcheggi, organizzazione di linee di trasporto pubblico ad orari adeguati, concessione di autorizzazioni per eventi non sportivi etc.)
Infine, e veniamo al cuore della trattazione, esistono gli impianti sopra indicati nelle categorie b) e c):
si tratta, probabilmente, della maggior parte degli impianti pubblici, nei quali si fa un po’ di tutto: dall’avviamento allo sport, all’agonismo, allo sport per tutti; spesso sono impianti utilizzati anche da strutture scolastiche o per attività di rieducazione motoria; a volte, negli stessi impianti, si svolgono attività non sportive come spettacoli a vario livello e congressi.
Come gestire questi impianti? Vale la pena continuare a costruirne? E’ corretto che il costo di tali strutture sia, almeno in parte a carico della collettività?
La mia posizione, in questo in contrasto con la tesi del direttore di “professione acqua”, e per i motivi sopra esposti in considerazione della valenza educativa e sociale dello sport, è sicuramente favorevole.
Chiaro, vanno fatte diverse precisazioni e considerazioni:
– è ovvio che la realizzazione e la gestione non possono e non debbono perseguire logiche clientelari;
– altrettanto ovvio che la meritevolezza delle finalità non può giustificare il mantenimento di situazioni clamorosamente antieconomiche a carico della collettività;
– l’impianto sportivo pubblico deve contemperare esigenze diverse: dall’esigenza del bambino di essere avviato allo sport, a quella dell’atleta di alto livello a quella del semplice frequentatore;
– lo sport agonistico dilettantistico è un’attività istituzionalmente in perdita economica, che deve quindi essere supportata se non si vuole che ricada interamente sulle spalle delle famiglie
– Le pubbliche amministrazioni sono sempre meno in grado di coprire i costi di gestione di tali impianti
allora, quali sono le possibili soluzioni?
a) Innanzitutto, nel
ad esempio una piscina può avere misure olimpioniche, ma può, con le moderne tecniche di costruzione, essere “modulare”, cioè avere pontoni mobili che, nel quotidiano, suddividano la vasca in due/tre settori, ognuno dei quali può essere dedicato ad attività diverse; un piccolo/medio palasport può avere delle piccole palestre per l’utilizzo quotidiano sotto le tribune, le poltroncine del parterre possono essere removibili per creare spazio a due/tre campi divisi, durante la settimana, da pannelli e/o tende a scomparsa; un campo da calcio può essere progettato con misure che ne consentano l’utilizzo anche “in orizzontale” per campi da calcetto, e così via.
L’impianto dovrà essere inoltre dotato di un bar/ristorantino, di spazi vendita, di spazi per la rieducazione motoria ed anche per un centro estetico, il tutto con l’obiettivo di massimizzare l’utilizzo quotidiano garantendo al contempo lo svolgimento di manifestazioni agonistiche;
b) la realizzazione di impianti per lo sport agonistico consente all’Amministrazione Pubblica di attivare finanziamenti ad hoc per la costruzione e/o la ristrutturazione degli impianti c/o il credito sportivo e/o la cassa depositi e prestiti, agevolando la sostenibilità finanziaria dell’operazione
c) poiché la problematica maggiore, per l’Ente Pubblico, non è tanto la realizzazione quanto la gestione dell’impiantistica sportiva, che il privato può, e sa, perseguire con criteri economici in misura assai più efficiente, una strada percorribile è quella, peraltro indicata anche dal legislatore nell’art. 90 della L. 289/2002 (finanziaria 2003) dell’affidamento in gestione dell’impiantistica sportiva pubblica alle società ed associazioni sportive dilettantistiche:
attraverso tale strumento l’amministrazione ottiene i seguenti risultati
– garantisce, attraverso i vincoli imposti dalla convenzione, l’utilizzo pubblico dell’impianto;
– fissa in maniera certa e precisa i costi di gestione, rappresentati dal contributo che, a fronte degli obblighi di gestione accollati dal concessionario, è tenuta ad erogare;
– si riserva poteri di controllo e di coordinamento.
– Si libera degli oneri, non solo finanziari ma anche e soprattutto organizzativi, della gestione
Da parte sua il gestore/ASD si garantisce gli spazi necessari per lo svolgimento della propria attività sportiva, accollandosi tuttavia un pesante onere a fronte del quale potrà/dovrà:
– sfruttare l’impianto a livello pubblicitario;
– gestire le attività vs il “pubblico” con criteri di efficienza aziendale, ancorché senza scopo di lucro, potendo contare, rispetto al pubblico, su una elasticità gestionale in termini di orari e giorni di apertura dell’impianto enormemente superiore;
– gestire le strutture di supporto, (bar/ristorantino/solarium/centro estetico) per finanziare le attività fisiologicamente in deficit (agonismo)
– organizzare manifestazioni ed eventi – sportivi e non – economicamente redditizi;
– organizzare collegiali, stages, camp e, in generale, tutte quelle attività definite di “turismo sportivo”
mi preme sottolineare l’importanza delle ultime due tipologie di sfruttamento dell’impianto in quanto, se correttamente ed efficacemente organizzate, rappresentano un importante ritorno per l’Amministrazione e la collettività del territorio, rappresentando un ulteriore risultato positivo per l’Ente Pubblico: lo sviluppo del turismo e del territorio: si tratta di un settore economico in grande crescita, e che rappresenta un importante plus per le località turistiche, soprattutto in bassa stagione.
A questo riguardo, sorge ovviamente la necessità che anche le altre componenti della comunità economica locale recepiscano l’opportunità e “facciano sistema”: albergatori e strutture ricettive in genere che siano disposti ad offrire tariffe agevolate e organizzazione alberghiera dedicata (orari di colazione, pranzo e cena), trasporti pubblici pensati anche per agevolare l’afflusso agli impianti, negozianti che accettino la stipula di convenzioni per i frequentatori dell’impianto etc.
Tutto questo, ovviamente, richiede una crescita imprenditoriale e qualitativa delle società/associazioni sportive dilettantistiche che si accollano l’onore e l’onere della gestione; dilettantismo sportivo non può più significare dilettantismo ed approssimazione amministrativa e gestionale.
L’ambiente sportivo deve crescere culturalmente ed imprenditorialmente: sono finiti i tempi delle erogazioni a pioggia di contributi pubblici, del
Tuttavia, attraverso