La competenza sulle controversie tra enti beneficiari e l’Agenzia delle entrate o gli altri soggetti deputati alla tenuta degli elenchi dei beneficiari, all’erogazione dei fondi e al controllo delle rendicontazioni spetta alla magistratura ordinaria e non a quella tributaria.
Lo ha stabilito la Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 23/10/2017 n. 24964, mettendo fine ad un contenzioso radicatosi nel 2006 e avviato da un’associazione, esclusa dagli elenchi, per aver indicato un codice fiscale errato nella domanda presentata all’Agenzia delle entrate attraverso i canali telematici.
L’Agenzia delle entrate costituitasi in giudizio aveva eccepito in via principale il difetto di giurisdizione e, in via subordinata, l’inammissibilità del ricorso perché proposto contro un atto non impugnabile ex art. 19 d.lgs. 546/92.
In effetti risulta difficile individuare, tra gli atti ricorribili presso il giudice tributario, la comunicazione di diniego all’iscrizione dell’elenco dei beneficiari del 5 per mille, salvo ritenerla “diniego o revoca di agevolazioni” (cfr. art. 19, comma 1, lettera h), d.lgs. 546/92).
Il fatto è che il cinque per mille non è un’agevolazione tributaria: lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza 18/06/2007 n. 202 giudicando il ricorso per incostituzionalità dell’art. 1, commi 337, 339 e 340, legge 266/2005 (la Legge finanziaria 2006 per capirci), proposto dalle Regioni Campania, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia.
In quel frangente la Corte aveva infatti ricostruito la natura del contributo escludendo che si trattasse di un’agevolazione tributaria e giungendo a inquadrale la questione come un adempimento contrattuale attraverso un mandatario necessario cioè l’Agenzia delle entrate.
Nella sentenza infatti si leggeva che
il titolo di acquisto della quota del 5 per mille dell'IRPEF incassata dall'erario subisce una trasformazione nel caso in cui il contribuente – con apposita dichiarazione di volontà – si sia avvalso della facoltà prevista dalla legge di finanziare i soggetti di cui al censurato comma 337. Infatti, per effetto di tale dichiarazione, la pretesa tributaria dello Stato si riduce della quota del 5 per mille degli "incassi in conto competenza relativi all'IRPEF" (comma 339) del singolo contribuente e il relativo importo viene trattenuto dallo Stato non più a titolo di tributo erariale, ma come somma che lo Stato medesimo è obbligato, come mandatario necessario ex lege, a corrispondere ai soggetti indicati dal contribuente stesso, svolgenti attività ritenute meritevoli dall'ordinamento (comma 337) ed inclusi in apposite liste (comma 340). Il finanziamento di detti soggetti è, perciò, direttamente ascrivibile alla volontà del contribuente (commi 337, alinea, e 339) e la quota del 5 per mille dell'IRPEF perde la natura di entrata tributaria erariale ed assume quella di provvista versata obbligatoriamente all'erario per tale finanziamento. Ne deriva che l'obbligo del contribuente di corrispondere la suddetta quota non viene meno, ma è da lui adempiuto a favore del beneficiario per il tramite necessario dell'erario.
Purtroppo il contenuto di questa sentenza è stato totalmente ignorato dai giudici sia di prime cure che di appello, mentre l’Agenzia delle entrate ha, giustamente, resistito sino al giudizio di Cassazione dove la corte, a Sezioni Unite, ha deciso che la competenza del giudizio spetta alla magistratura ordinaria.
Per inciso vale la pena di ricordare che la questione interessa non solo gli “enti del volontariato” (definizione tecnicamente impropria ma sbrigativa) ma anche gli enti della ricerca, le università e le associazioni sportive dilettantistiche cioè tutti i possibili destinatari dei fondi 5 per mille.
Pertanto va sgombrato il campo anche del possibile (ma improbabile) ricorso alla giustizia amministrativa qualora entrino in gioco enti pubblici quali le università.
La sentenza arriva dopo ben undici anni dall’inizio delle ostilità (2006) e non è dato sapere se poi sia valsa la pena che la vertenza sia stata portata al massimo grado di giudizio (e se abbiamo bene interpretato la decisione, non è ancora finita, dato che non ne è stata dichiarata l'estinzione ma il fascicolo è stato rinviato alla magistratura ordinaria che lo valuterà in base a un autonomo procedimento).
E questo ci dà lo spunto per ricordare ancora una volta che, quando sorgono possibili contenziosi sullo specifico tema, occorre valutare attentamente se sia conveniente l’instaurazione di un costoso e faticoso procedimento giudiziario a fronte di un contributo aleatorio e, nella maggior parte dei casi, esiguo a meno che non si disponga di dati storici ben assestati.
In questo caso è stata l'Agenzia a portare avanti i gradi successivi di giudizio, probabilmente per avere una risposta chiara e definitiva sulla questione (e questo spiegherebbe anche il rinvio alle Sezioni Unite), ma qualora i ruoli fossero invertiti, non possiamo che continuare a raccomandare alle associazioni di valutare preventivamente tempi e costi del contenzioso, prima di avviarlo e coltivarlo.
Uguale considerazione si deve fare allorquando si deve ricorrere ai “tempi supplementari”, pagando la sanzione di 250 euro, per sanare eventuali ritardi nella presentazione della domanda di iscrizione o nell’invio dell’autocertificazione del possesso dei requisiti.
E’ pur vero che, per effetto della stabilizzazione del 5 per mille, ora non è più necessario presentare annualmente la domanda di iscrizione agli elenchi ma vi sono comunque altri adempimenti a cui fare attenzione.
Un esempio classico è quello di dover inviare una nuova autocertificazione di sussistenza dei requisiti per l’accesso ai fonti allorquando l’ente ha mutato il proprio rappresentante legale: adempimento inutile ma quanto mai insidioso.
Con l’entrata in vigore del d.lgs. 111/2017 si è ridisegnato gli iter mediante i quali gli enti del Terzo Settore potranno accedere ai fondi 5 per mille e dovranno essere esperiti i controlli.
Ben presto, alle norme del decreto legislativo, andranno ad aggiungersi quelle del decreto del Presidente del consiglio dei ministri di prossima emanazione che completerà il quadro giuridico di riferimento.