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Home Enti Terzo Settore TERZO SETTORE: UNA RIFORMA CHE NON CONVINCE
  • Enti Terzo Settore

TERZO SETTORE: UNA RIFORMA CHE NON CONVINCE

Marco D'ISANTO
Dottore commercialista in Napoli
11 Ottobre 2018
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    I decreti attuativi della legge delega 106/16 sulla Riforma del Terzo Settore sono stati approvati in via preliminare il 12 maggio 2017 dal Consiglio dei Ministri. I decreti sono ora al vaglio delle Commissioni parlamentari competenti e della Conferenza Stato-Regioni. Le commissioni parlamentari dovranno esprimere i pareri sui tre decreti legislativi ed entro il 3 luglio il Consiglio dei Ministri dovrà approvare in via definitiva i decreti attuativi della Riforma.

    1. Alcune premesse

    Innanzitutto ci preme chiarire che, allo stato attuale della formulazione dei decreti, la Riforma non include tra i soggetti definiti Enti del Terzo Settore (di seguito ETS) le associazioni sportive dilettantistiche e le società sportive dilettantistiche, le quali saranno oggetto, probabilmente, di un futuro intervento normativo.

    Questo però non esclude che le organizzazioni che esercitano attività sportiva dilettantistica, rinunciando ai benefici previsti dalla normativa dello sport dilettantistico, possano iscriversi nel Registro Unico degli Enti del Terzo Settore.

    Tutti gli enti del Terzo Settore, escluse le imprese sociali, possono infatti acquisire tale qualifica nella misura in cui effettuano una delle attività di interesse generale individuate dall’art. 5 del Codice del Terzo Settore tra cui anche l’esercizio dell’attività sportiva dilettantistica.

    E’ evidente, per i motivi che tratteremo in seguito, che tale scelta non risulta conveniente.

    Ciononostante non intendiamo trascurare l’analisi di un provvedimento così importante e questo per due motivi: in primo luogo per analizzare le ricadute prodotte dalla Riforma sulle organizzazioni sportive ed in secondo luogo perché il legislatore ha realizzato un riassetto della disciplina civilistica e fiscale che in futuro potrebbe interessare anche le organizzazioni sportive.

    In questa sede proveremo a delineare alcuni principi generali che la Riforma contiene riservandoci di analizzare le singole disposizioni quando i decreti saranno approvati in via definitiva.

    L’art. 45 del decreto dispone l’istituzione, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Registro unico nazionale del Terzo settore, suddiviso in specifiche sezioni al quale tutti gli ETS saranno obbligati ad iscriversi.

    Le Associazioni possono, nell’ambito degli ETS, classificarsi come associazioni di promozione sociale, organizzazioni di volontariato o altri enti del Terzo Settore.

    Le organizzazioni sportive di tipo associativo, che decidono di acquisire la qualifica di Enti del Terzo Settore, sono tendenzialmente destinate ad acquisire la qualifica di Associazioni di promozione sociale.

    2.  I principi generali della Riforma

    Dichiariamo subito che l’impianto generale della Riforma non ci convince.

    La nostra perplessità, che su alcuni aspetti specifici è invece netta contrarietà, deriva dal fatto che l’intervento normativo da una parte persegue l’obiettivo, da noi condiviso, di introdurre un regime di trasparenza vigoroso per tutti gli enti del Terzo Settore ma allo stesso tempo appesantisce gravemente l’operatività degli enti associativi compromettendo nei fatti la sopravvivenza di molti di questi.

    Il Terzo settore, secondo la rilevazione Istat del settore non profit, è composto da 301.191 organizzazioni non profit di cui circa il 90% enti associativi e conta 681mila addetti e 271mila lavoratori esterni (con contratto di collaborazione), 5mila lavoratori temporanei e oltre 4 milioni di volontari.

    I due terzi delle istituzioni non profit (il 67,5 per cento) si caratterizza per un volume di entrate non superiore ai 30 mila euro annui.

    Esso costituisce in base all’analisi per attività economica la principale realtà produttiva del Paese nei settori dell’Assistenza sociale (con 361 istituzioni non profit ogni 100 imprese) e delle Attività culturali, sportive, di intrattenimento e divertimento (con 239 istituzioni non profit ogni 100 imprese). Inoltre il peso della componente non profit nell’Assistenza sociale risulta rilevante anche in termini di occupazione: 418 addetti non profit ogni 100 addetti nelle imprese.

    Parliamo dunque di un settore rilevante ma al tempo stesso composto in larga parte da micro-organizzazioni.

    La Riforma punta essenzialmente a dividere il campo del Terzo Settore in due componenti: gli enti associativi i quali saranno destinati a svolgere un’attività solidaristica fondata quasi esclusivamente sul contributo dei volontari e una componente rappresentata dall’impresa sociale destinata invece ad accogliere le attività di natura imprenditoriale.

    Questo giudizio si ricava dal complesso delle disposizioni contenute nel codice.

    L’art. 35 e 36 del decreto declinano il concetto riportato sopra in maniera molto chiara:

    Le associazioni di promozione sociale sono enti del Terzo settore costituiti in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, da un numero non inferiore a nove persone fisiche o a cinque associazioni di promozione sociale per lo svolgimento in favore dei propri associati, di loro familiari o di terzi di una o più attività di cui all’articolo 5, ad esclusione di quelle di cui alle lettere o) e s), avvalendosi in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri associati.

    Le associazioni di promozione sociale possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura, anche dei propri associati, fatto comunque salvo quanto disposto dall’articolo 17, comma 5, solo quando ciò sia necessario ai fini dello svolgimento dell’attività di interesse generale e al perseguimento delle finalità. In ogni caso, il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non può essere superiore al venti per cento del numero dei volontari o al cinque per cento del numero degli associati”.

    Si legge ancora nella relazione tecnica di accompagnamento ai decreti:

    La possibilità di avvalersi di lavoratori dipendenti o autonomi viene limitata per valorizzare le caratteristiche dell' apporto dei volontari e le finalità della legge nel suo complesso, superando le difficoltà interpretative della normativa vigente.

    E’ di tutta evidenza che un ente associativo che non potrà fare ricorso a lavoratori autonomi o dipendenti per la realizzazione delle proprie attività ha un margine effettivo di operatività molto contenuto.

    Le modalità di reperimento delle risorse economiche, l’aggravamento delle disposizioni fiscali, l’introduzione di obblighi contabili e di bilancio e la disciplina dei controlli e delle sanzioni per eventuali violazioni, allude ad un meccanismo che, nei fatti, circoscrive il campo di azione degli enti associativi in un ambito molto ristretto.

    Le disposizioni fiscali prevedono infatti l’abrogazione del regime forfettario di cui alla Legge 398/91, l’inapplicabilità delle disposizioni contenute nel terzo comma dell’art. 148 del T.U.I.R. e cioè la decommercializzazione dei corrispettivi specifici e l’abrogazione della normativa delle Onlus.

    Per le organizzazioni sportive che scegliessero di assoggettarsi alla normativa in commento non sarebbe applicabile chiaramente la disciplina dei compensi sportivi di cui all’art. 67 del T.U.I.R..

    Emblematica è la formulazione del secondo comma dell’art. 79 nel titolo dedicato alle disposizioni fiscali che recita testualmente:

    Le attività di interesse generale di cui all'articolo 5 svolte dagli enti del Terzo settore si considerano di natura non commerciale quando le stesse sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico che coprono solo una frazione del loro costo effettivo, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con quest'ultimo e, comunque, non superiori alla metà del corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale. Ai fini del calcolo delcosto effettivo si tiene conto anche del valore normale delle attività di. cui all'articolo 17e delle erogazioni gratuite di beni o servizi.

    Quello che è considerato fonte di abusi per le imprese, e cioè un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, viene invece elevato a principio generale cui deve informarsi il modus operandi degli enti del Terzo Settore.

    Anche gli aspetti sanzionatori non sono da meno. L’art. 91 al primo comma stabilisce che

    In caso di distribuzione, anche indiretta, di utili e avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominate a un fondatore, un associato, un lavoratore o un collaboratore; un amministratore o altro componente di un organo associativo dell'ente, anche nel caso di recesso o di ogni altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto associativo, i rappresentanti legali e i componenti degli organi amministrativi dell'ente del Terzo settore che hanno commesso la violazione o che hanno concorso a commettere la violazione sono soggetti alla sanzione. amministrativa pecuniaria da euro 5.000,00 ad euro 20.000,00.

    Chi frequenta le dinamiche del fisco in materia di Terzo Settore sa bene che la contestazione della distribuzione indiretta degli utili contiene un giudizio qualitativo sull’operato dell’ente che talvolta presenta il rischio anche di una valutazione arbitraria degli organi di verifica. E suscita non poca preoccupazione la previsione che gli organi amministrativi siano suscettibili di sanzioni fino a 20.000 euro che si sommerebbero poi ad eventuali sanzioni tributarie. Considerando che l’80% degli enti produce un volume d’affari inferiore ai 30.000 euro e che mediamente i componenti del consiglio direttivo siano tre si tratterebbe di una sanzione pari al doppio del volume d’affari medio del Settore. Una sanzione decisamente sproporzionata per soggetti che per “costituzione giuridica” sono chiamati ad operare in ambiti che lo Stato considera di interesse generale e in grado peraltro di produrre un lucro oggettivo molto contenuto.

    E’ bene sottolineare che le associazioni sportive dilettantistiche che in seguito alle deliberazioni assunte dal Coni sulle discipline sportive riconosciute esercitassero attività non incluse nell’elenco si troverebbero nella condizione di qualificarsi come Enti del Terzo Settore con l’assoggettamento alla normativa testé analizzata.

    A questo primo livello di analisi possiamo affermare che “imprenditorializzare” a freddo il Terzo Settore è una operazione ci lascia molto perplessi.

    Sarebbe stato più utile al paese, e al Terzo Settore, definire con precisione le attività commerciali, imponendo il giusto carico impositivo ma riconoscendo al tempo stesso, a tutti gli enti del Terzo Settore, ampi margini di operatività in modo da consentire ad ogni organizzazione di strutturarsi secondo le necessità, l’ambito di intervento, le specificità territoriali e le motivazioni dei proponenti. 

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      Marco D'ISANTO
      Marco D'ISANTO
      Laureato in Economia alla Federico II di Napoli, consegue il Master di “Marketing e Comunicazione” presso Ateneo Impresa, Business school in Roma. Iscritto all’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Napoli, iscritto all'albo dei revisori legali, svolge attività di Collegio Sindacale di Imprese Sociali. Collabora attivamente da diversi anni con l'Arci di Napoli ed è consulente di Imprese Culturali e di Istituzionali Culturali. Collaboratore della Rivista Associazioni & Sport e autore di diversi articoli pubblicati sul Corriere del Mezzogiorno; promotore di diversi convegni sulle problematiche tributarie e civilistiche degli enti sportivi, culturali e degli Enti Non Profit e docente di materie tributarie in Master post-universitari. Collabora con la rivista online Fiscosport.

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