1. Premessa
La Suprema Corte, con la sentenza n. 10914 del 27 maggio 2015 ha accolto la tesi secondo la quale non è sufficiente che l’azienda affermi di aver sostenuto i relativi costi al fine di incrementare le vendite o acquisire nuova clientela, ma deve fornire prova in merito all’inerenza dello strumento promozionale, sia sotto il profilo territoriale che della tipologia di clientela interessata.
Come si evince dalle sentenze che si susseguono, con riferimento alla presunzione legale ex art. 90, c. 8, L. 289/2002, sono "aperte" diverse interpretazioni; la sentenza in oggetto è relativa ad una fattispecie accaduta ante entrata in vigore di tale norma che, quindi, non era all'epoca applicabile.
Questo rafforza la posizione della Corte, dove sottolinea, con la sentenza n. 8679/2011 e l’ordinanza n. 14252/2014, che le spese di pubblicità sono quelle finalizzate alla realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente, anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi o, comunque sostenute per ottenere un incremento del fatturato più o meno immediato.
Inoltre, con sentenza n. 6458 del 2012 la Cassazione dichiara che il contribuente è chiamato a provare che le spese di sponsorizzazione sostenute rispettino il principio di inerenza, avendo così un nesso logico tra l’attività dello sponsor e la promozione, il tutto per renderle idonee potenzialmente al conseguimento di maggiori ricavi.
L’Ufficio vuole sempre più riprendere a tassazione il costo, riqualificandolo come spese di rappresentanza, deducibili solo parzialmente secondo l’articolo 108 del T.U.I.R.
Secondo le sentenze della Cassazione n. 3433/2012 e 27482/2014, oltre quelle già richiamate, sono spese di rappresentanza quei costi qualificati dal contribuente come sponsorizzazioni nei quali non si provi che all’attività sostenuta sia riconducibile una diretta aspettativa di ritorno commerciale.
All’interno del testo unico delle imposte sui redditi, diverse norme precisano il concetto di inerenza in relazione a specifiche fattispecie; si tratta sovente di norme che hanno l’obiettivo di “forfettizzare” l’inerenza di determinati costi, limitandone in vario modo la deducibilità.
In sostanza, anziché rimettere la valutazione sull’inerenza ad un giudizio caso per caso, per quei costi che per loro natura sono particolarmente suscettibili di un utilizzo extraimprenditoriale e privato, la legge predetermina in un certo qual senso la “misura” dell’inerenza, in tal modo forfettizzandola ed evitando così il proliferare di controversie tra amministrazione e contribuente.
Tra queste norme può essere annoverata anche quella che si occupa delle spese di pubblicità e delle spese di rappresentanza (art. 108 comma 2 Tuir).
Ora, le spese di pubblicità – se realmente tali – devono certamente considerarsi inerenti, secondo la logica in base alla quale sono deducibili anche quelle spese sostenute in chiave prospettica, nella prospettiva di uno sperato incremento dei ricavi di vendita.
Al contrario, per le spese di rappresentanza il giudizio di inerenza è in astratto più sfumato,
poiché il concetto di “rappresentanza” sottende delle spese aventi degli specifici “beneficiari”.
Insomma, mentre la pubblicità, oltre ad essere di solito rivolta ad un pubblico indistinto, non genera particolari utilità o benefici per i destinatari del messaggio, i costi di rappresentanza sono rivolti ad una cerchia ristretta di soggetti, e producono nei loro confronti un vantaggio in senso lato anche patrimoniale, più o meno apprezzabile (si pensi ad un omaggio, all’invito ad una cena, e così via).
La distinzione tra pubblicità e rappresentanza non è dunque, come a volte affermato in giurisprudenza, legata all’“oggetto” della promozione (un prodotto piuttosto che l’immagine dell’impresa), ma all’esistenza o meno di un’utilità e un vantaggio per il destinatario del messaggio.
Sulla necessità di dimostrare l’inerenza all’attività produttiva svolta delle spese di rappresentanza vedi in giurisprudenza Cass., n. 6650/2006.
In passato la legge poneva un tetto alla deducibilità delle spese di rappresentanza, stabilendo che soltanto una quota delle stesse (1/3) fosse deducibile, in cinque esercizi, e ciò indipendentemente dall’entità della spesa, dalla sua relazione con le dimensioni e il tipo di attività dell’impresa, e così via.
Oggi, invece, più correttamente tali spese sono “deducibili nel periodo di imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza e congruità stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse, del volume dei ricavi dell’attività caratteristica dell’impresa e dell’attività internazionale dell’impresa”, con l’avvertenza che “sono comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50”.
3. Alcune sentenze di commissioni tributarie provinciali
Molte son state anche le sentenze di Commissioni Tributarie Provinciali che si sono espresse sull’argomento, citiamo:
1. La sentenza n. 116/4/12 della Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia del 18 settembre, secondo la quale le sponsorizzazioni sportive sono deducibili solo se c'è inerenza tra l'attività economica svolta dallo sponsor e la capacità da parte dell’associazione sportiva beneficiaria di promuovere l'immagine della ditta stessa. L'inerenza richiesta dall'articolo 109 del T.u.i.r. deve essere accertata:
a) in ordine al reddito,
b) in ordine all'attività stessa dello sponsor.
Qualora non sia dimostrabile i costi non possono essere computati in diminuzione dalla base imponibile.
In questo caso la società operava nel settore degli impianti di depurazione e dei servizi ambientali.
L’Agenzia contestava, tra l’altro, la deduzione dei costi di pubblicità conseguenti a contratti di sponsorizzazione pubblicitaria sottoscritti con due associazioni sportive dilettantistiche della zona. L’ ufficio accertatore, considerando che il 96% della clientela del contribuente era costituito da enti locali, società pubbliche e imprese private, ha ritenuto che la capacità delle sponsorizzazioni (peraltro di natura localistica) di attrarre nuovi clienti era pressoché nulla.
A giudizio della ricorrente, invece, tali spese erano deducibili in quanto “l'inerenza non deve essere funzionale al reddito ma all'attività dell'impresa” e poiché, in ogni caso, la deducibilità era assicurata dall'articolo 90, comma 8 della legge n. 289/2002. La Finanziaria 2003 ha previsto infatti come per le spese di sponsorizzazione sostenute nei confronti di associazioni e società sportive dilettantistiche vi sia la presunzione assoluta che, fino un massimo di 200 mila euro annui, esse siano di pubblicità. E quindi deducibili, a due condizioni:
1) gli oneri devono essere destinati a promuovere l'immagine del soggetto erogante;
2) deve essere riscontrata una specifica attività del beneficiario in questo senso.
La CTP di Reggio Emilia ha parzialmente accolto il ricorso confermando, tuttavia, le riprese fiscali per costi di sponsorizzazioni ritenuti non inerenti ammontanti a 300 mila euro.
2. La sentenza 423/1/2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Pisa, trae origine da una verifica fiscale a carico di una SRL alla quale è stato chiesto di produrre la documentazione contabile relativa alle spese di pubblicità e sponsorizzazione effettuate nel 2006 e nel 2007. L’Ufficio, in esito al contraddittorio procedimentale, non ha ritenuto sufficientemente provato l’inerenza dei costi della pubblicità rispetto all'attività d’impresa e pertanto non ha riconosciuto la deduzione degli stessi ai fini IRPEF e IVA.
Gli avvisi di accertamento emessi dall’Ufficio sono stati prontamente impugnati davanti alla competente C.T.P. di Pisa, che ha deciso per il loro annullamento.
Nel ricorso la società ha fatto presente che i costi in questione erano inerenti alla sua attività. Con le associazioni sportive dilettantistiche erano stati stipulati contratti di pubblicità e queste facevano manifestazioni a livello nazionale “con la partecipazione di atleti campioni nel panorama sportivo italiano”. Costituitasi in giudizio, l'Amministrazione Finanziaria ha difeso il proprio operato rilevando che non vi era data certa sui contratti di sponsorizzazione. Inoltre non vi era alcuna prova che la pubblicità fatta attraverso l'associazione sportiva dilettantistica avesse avuto un’incidenza sull'attività svolta dalla ricorrente.
Nell'accogliere il ricorso della società, la CTP di Pisa richiama la giurisprudenza della Suprema Corte secondo la quale per la deducibilità del costo di pubblicità deve esserci la prova di una correlazione fra la pubblicità e l'attività di impresa, nonché la prova di un effettivo incremento commerciale, altrimenti il costo deve rientrare fra le spese di rappresentanza (cfr. Cass. 53/2012 n. 3433). Nella specie, secondo la CTP, la ricorrente, attraverso la documentazione prodotta, è riuscita a dimostrare sia il ritorno economico per la sua attività sia che le spese di pubblicità hanno rappresentato una minima parte dei ricavi.
In ogni caso “deve essere tenuto presente che pur se i predetti insegnamenti giurisprudenziali impongono dei rigorosi limiti di valutazione sull'inerenza del costo, deve sottolinearsi che per quanto riguarda i pagamenti effettuati alle associazioni sportive dilettantistiche, l'art. 90, comma 8, legge n. 289/2002, recita che: ‘il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche… costituisce per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell'immagine o dei prodotti del soggetto erogante…”.
Insomma, la legge sembra prevedere in questi casi una presunzione assoluta d’inerenza del costo, che quindi è integralmente deducibile dagli sponsor, per il solo fatto che il contratto di pubblicità è stato stipulato non con una normale impresa di pubblicità, ma con una associazione sportiva dilettantistica.
Alla luce di tali rilievi la C.T.P. ha annullato gli avvisi di accertamento impugnati. Spese di lite compensate.
4. Conclusioni
Concludendo, per predisporre un’adeguata difesa si consiglia di adottare le seguenti cautele:
1. Stipulare un contratto in forma scritta e con data certa (ad esempio con timbro postale);
2. All’interno del contratto indicare in modo analitico l’oggetto, le modalità di espletamento, gli obblighi, l’obiettivo, il ritorno commerciale che ci si augura, e modalità e termini di pagamento;
3. Tutti i pagamenti effettuati tramite strumenti tracciabili, conservandoli;
4. Raccogliere tutti i documenti al termine dell’evento, corredandolo con il materiale fotografico e pubblicitario adoperato.