Da diversi anni si è consolidata una pratica commerciale mediante la quale alcuni servizi o beni vengono ceduti a scopo promozionale mediante una rete di società che emettono coupon il cui valore nominale incorpora una determinata quantità di beni o prestazioni.
Anche le associazioni e società sportive dilettantistiche nell’espletamento delle loro attività commerciali spesso si affiliano a società che emettono voucher che danno diritto, da parte di chi l’acquista, alla fruizione di determinati servizi connessi alla pratica sportiva.
E’ bene precisare che si tratta di operazioni riconducibili esclusivamente alla sfera delle attività commerciali poste in essere dalle associazioni o società sportive non potendosi, mediante questo meccanismo, ritenere fondato un rapporto di natura associativa il quale si realizzerebbe mediante un rapporto diretto tra l’aspirante socio e l’ente sportivo.
Nell’ambito di questa pratica commerciale gli utilizzatori finali rientrano più appropriatamente nell’ambito di quei soggetti interessati alla esclusiva erogazione di un determinato servizio da parte dell’ente sportivo.
Il problema che qui ci interessa trattare è il trattamento tributario di questi proventi ai fini Ires e Iva.
Nella sostanza i soggetti coinvolti nell’operazione sono normalmente tre: la società emittente i coupon, l’ente che eroga il servizio e l’utilizzatore finale. Al momento dell’acquisto la società emittente rilascia all’utilizzatore finale un coupon o voucher dietro pagamento di un importo.
Tali coupon, come specificato dall’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione N. 21/E del 22 Febbraio 2011, “non possono qualificarsi quali titoli rappresentativi di merce, bensì quali semplici documenti di legittimazione ai sensi dell'articolo 2002 del codice civile. In sostanza, il buono può essere considerato alla stregua di un documento che consente l'identificazione dell'avente diritto all'acquisto di un bene o di un servizio, con la possibilità di trasferire tale diritto senza l'osservanza delle forme proprie della cessione.
Ne consegue che la circolazione del buono medesimo non comporta anticipazione della cessione del bene cui il buono stesso dà diritto e non assume rilevanza ai fini IVA. In particolare, pur in assenza di un'espressa regolamentazione della specifica fattispecie, si ritiene che la cessione dei titoli di legittimazione possa essere ricondotta nell'ambito applicativo dell'articolo 2, terzo comma, lettera a), del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, ai sensi del quale "Non sono considerate cessioni di beni … a) le cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro;".
Per ragioni di chiarezza evidenziamo che la risoluzione citata si riferisce ad un caso specifico leggermente diverso da quello che stiamo analizzando e cioè al caso in cui i soggetti in causa siano quattro invece dei tre qui descritti. Il quarto è rappresentato da una azienda che acquisterebbe i coupon per i propri dipendenti. Nell'analisi della risoluzione abbiamo pertanto estrapolato le questioni sostanziali che sono riferibili nel caso in cui i soggetti coinvolti nell'operazioni siano tre.
Dunque la cessione dei buoni effettuata dall'emittente a favore dell’ente non assume rilevanza ai fini dell'IVA ai sensi dell'articolo 2, terzo comma, lettera a), del DPR n. 633 del 1972.
In sostanza, in questa fase, la circolazione del documento di legittimazione non integra alcuna cessione di beni o prestazione di servizi ed il relativo pagamento assume carattere di "mera movimentazione di carattere finanziario".
Una volta incassato il coupon, la società emittente provvederà a rimborsare il valore facciale del coupon all’ente nel momento in cui l’ente attesta l’erogazione del servizio. Sebbene l’erogazione del servizio avvenga senza alcuna transazione finanziaria tra l’ente e l’utilizzatore finale, il momento di effettuazione dell’operazione assume rilievo ai fini Iva e l’ente sarà obbligato ad emettere fattura/ ricevuta fiscale per l’intero valore del servizio incorporato nel coupon.
La citata risoluzione dell’Agenzia delle Entrate spiega che “come chiarito dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee nella causa C-398/99 (Yorkshire Co-Operatives Ltd) con riferimento all'ipotesi dei buoni sconto (operazione che si svolgeva con modalità comunque analoghe all'ipotesi prospettata nell'istanza di interpello), "… il produttore che emette il buono sconto può essere considerato terzo rispetto all'operazione intervenuta tra dettagliante beneficiario del rimborso del valore del buono sconto ed il consumatore finale che ha utilizzato tale buono".
Inoltre, il fatto che una parte del corrispettivo percepito per la cessione del bene "non sia stata materialmente versata dal consumatore finale stesso, ma sia stata messa a sua disposizione, per conto del consumatore finale, da un terzo, estraneo a tale operazione, non assume alcuna rilevanza ai fini della determinazione della base imponibile di tale dettagliante" (in tal senso, anche la sentenza emessa nella causa C-427/98, Commissione/Germania)”.
In sostanza, il "corrispettivo soggettivo" per il dettagliante (ossia il corrispettivo realmente percepito con riferimento al caso concreto, secondo la nozione data dalla Corte nelle sentenze emesse nella cause C-154/80 e C-230/87, in seguito più volte richiamate dalla stessa Corte) si compone del prezzo integrale della merce, che è pagato in parte dal consumatore finale e in parte dal produttore; i buoni rappresentano per il dettagliante il diritto a ricevere dal produttore un rimborso pari all'importo indicato sul buono consegnato dal consumatore, il cui valore nominale deve essere incluso nella base imponibile del dettagliante medesimo.
Alcune criticità
E’ prassi, in questo tipo di operazione, che la società emittente liquidi all’ente l’importo pagato dal cliente al netto del compenso per il servizio promozionale offerto. In questo caso costituisce, invece, operazione rilevante ai fini IVA – per la quale dovrà essere emessa la fattura – il pagamento della commissione e di ogni eventuale ulteriore e diversa prestazione da parte dell'esercizio convenzionato a favore della società emittente.
In questo caso può essere motivo di confusione l’importo che l’ente deve fatturare all’utilizzatore finale. La confusione può essere generata dalla circostanza che l’ente riceve solo una parte dell’importo corrispondente al valore del servizio e potrebbe essere indotto nell’errore di fatturare solo detto importo. Alla luce delle considerazioni svolte è invece necessario che l’ente fatturi il valore facciale contenuto nel coupon indipendentemente dall’importo ottenuto al netto delle commissioni trattenute dalla società emittente e regolarmente fatturate.
Concludiamo questa breve trattazione con un semplice esempio.
L’Associazione si affilia ad una società emittente di coupon e stabilisce mediante specifico contratto la cessione di un servizio il cui valore è 30,00 euro. L’utilizzatore finale acquisterà il coupon trasferendo i 30,00 euro alla società emittente. Quando l’operazione sarà effettuata l’ente dovrà emettere una regolare ricevuta fiscale/fattura per l’intero valore del coupon e cioè 30,00 euro comprensivi di Iva. La società emittente provvederà a liquidare l’importo concordato trattenendo una percentuale come corrispettivo per il servizio promozionale che possiamo ipotizzare in 10,00 euro più iva. L’ente riceverà pertanto 17,80 euro e contestualmente gli sarà rilasciata una fattura di euro 10,00 più iva corrispondente alla commissione per il servizio prestato.
Le Associazioni o società sportive dovranno poi provvedere a liquidare l’Iva a seconda dei regimi fiscali ai quali aderiranno.
Ai fini Ires i proventi derivanti da questo tipo di operazione saranno imponibili.