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Home Approfondimenti Riforma dello sport e criticità negli affidamenti degli impianti sportivi pubblici
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Riforma dello sport e criticità negli affidamenti degli impianti sportivi pubblici

Donato FORESTA
Dottore Commercialista in Milano
15 Dicembre 2022
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    La riforma dello sport interviene anche sugli affidamenti in gestione degli impianti sportivi pubblici: e si profilano nuove "tegole" per gli enti pubblici. Nel contributo che segue mettiamo in luce le criticità e sottolineiamo l'esigenza di un “correttivo”

    Si è parlato molto in questi ultimi mesi della riforma dello sport. Al centro però dell’attenzione dei più è stato il nuovo inquadramento giuslavoristico, fiscale e previdenziale dei collaboratori sportivi, concentrando i commenti sul relativo d.lgs. 28 febbraio 2021, n.36. Meno risalto è stato dato al decreto di riforma riguardante gli impianti sportivi emanato in pari data. Ci riferiamo al d.lgs. 38/2021 “recante misure in materia di riordino e riforma delle norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi e della normativa in materia di ammodernamento o costruzione di impianti sportivi”.

    In questo approfondimento ci concentriamo su uno solo degli articoli di questo complesso provvedimento e specificamente sull’art. 51 relativo alle procedure di affidamento degli impianti sportivi pubblici a favore di associazioni e società sportive senza scopo di lucro.

    Ne evidenziamo le criticità, secondo l’opinione di chi scrive, rispetto ai principi della legge delega, al fine di contribuire ad aprire un dibattito ed un approfondimento sulle tematiche qui affrontate, auspicando interventi di natura correttiva e possibili revisioni.

    Come noto, gran parte degli impianti sportivi sono pubblici, di proprietà quindi degli enti locali e prevalentemente dei Comuni. La proprietà comporterebbe altresì l’onere di gestirli in maniera efficiente, mirando al conseguimento degli obiettivi di interesse pubblico, ed anche nel massimo rispetto di criteri di economicità.

    Efficienza, efficacia ed economicità, necessitano di competenze specifiche, competenze che gli enti locali non hanno o hanno solo molto raramente.

    Da qui la necessità di affidare la gestione degli impianti a privati in possesso di specifici requisiti che assicurino quella competenza opportuna al raggiungimento degli obiettivi della pubblica amministrazione.

    Relativamente agli impianti sportivi pubblici, gli obiettivi della pubblica amministrazione, ad avviso di chi scrive, dovrebbero essere:

    1. l’utilità dell’impianto per la collettività. L’utilità è intesa sia come attenzione alle esigenze della comunità territoriale sia come arricchimento della gamma di alternative sportive offerte. Le esigenze della comunità territoriale si identificano con la messa a disposizione di impianti per la pratica sportiva più diffusa sul territorio – si pensi agli sport del ghiaccio nelle regioni o province del nord (Val d’Aosta, Trentino-Alto Adige) – così come alle eccellenze che si radicano su un’area geografica – è il caso della scherma nelle Marche.
      L’arricchimento della gamma di alternative sportive è identificabile con la realizzazione di impianti polivalenti o miranti a colmare lacune esistenti anche relativamente a sport ampiamente diffusi (si pensi agli impianti di atletica leggera spesso carenti in molte zone del nostro territorio o, di contro, si pensi all’incessante realizzazione, da un paio d’anni a questa parte, di campi di padel in assenza di un’analisi di mercato (territoriale) volta a valutare il rischio di sovrabbondanza di strutture con inevitabili cadute di marginalità).
    • Il mantenimento degli impianti in buono stato di conservazione. Dovremmo dire “ottimo” stato, ma accontentiamoci del buono che pure sarebbe già un successo. La fatiscenza di molti impianti sportivi pubblici è conseguenza certamente dell’onerosità degli interventi di manutenzione, tanto maggiori tanto più “invecchiano” le strutture. Ma non solo manutenzioni di carattere straordinario, teoricamente spettanti al proprietario e quindi all’ente pubblico, ma anche di carattere ordinario, spettanti al gestore. Se per l’ente pubblico però l’onerosità dell’intervento di manutenzione straordinaria rappresenta un problema di bilancio dell’ente stesso con l’obbligo di rispettare equilibri economici e finanziari imposti dalla normativa sulla finanza pubblica, per il privato gestore oltre all’aspetto meramente economico delle attività manutentive, si aggiunge anche il limitato ambito temporale nel quale lo stesso gestore potrà utilizzare l’impianto. Ciò è particolarmente evidente quando si affidano ai privati anche gli interventi di manutenzione straordinaria: a fronte dell’obbligo contrattuale, manca del tutto una certezza di poter beneficiare degli investimenti manutentivi oltre il termine della convenzione di gestione, con il rischio che, nella successiva gara di affidamento, l’impianto venga affidato ad altro soggetto, impedendo così al gestore uscente il pieno recupero degli investimenti effettuati.

    Le previsioni legislative

    Con questa premessa analizziamo quindi cosa ha previsto il legislatore con la riforma dello sport per l’impiantistica sportiva (citato d.lgs. 38/2021), previsioni che avrebbero dovuto rispondere ai criteri stabiliti dalla legge delega (legge 86/2019). In questa legge delega gli obiettivi indicati dal Parlamento al governo per la riforma delle procedure di affidamento a privati degli impianti sportivi pubblici erano i seguenti:

    • semplificazione e accelerazione delle procedure amministrative e riduzione dei termini procedurali finalizzate prioritariamente agli interventi di recupero e riuso degli impianti sportivi esistenti o di strutture pubbliche inutilizzate;
    • individuazione di un sistema che preveda la possibilità di affidamento diretto dell’impianto già esistente alla società o associazione utilizzatori, in presenza di determinati requisiti, oggettivi e coerenti con l’oggetto e la finalità dell’affidamento, che assicurino la sostenibilità economico-finanziaria della gestione e i livelli di qualità del servizio.

    Il decreto che ne è derivato (il d.lgs. 38/2021) solo apparentemente risponde ai due obiettivi posti nella legge delega, ma nella realtà dei fatti non apporta né una significativa semplificazione delle procedure – e basti leggere il complicato e farraginoso art. 4 del medesimo d.lgs.38/2021 per rendersene conto -, né un efficace sistema di “affidamento diretto”, affrontato nell’art.5. Quest’ultimo è il tema del presente approfondimento.

    Da molti sodalizi sportivi atteso come norma di disciplina organica per gli “affidamenti diretti” con l’aspettativa di un’immediata applicazione sin dalla sua entrata in vigore, prevista per il 1° gennaio 2023, si rivela invece come una norma difficilmente applicabile per l’ente pubblico affidante, compromettendone così l’effettivo utilizzo.

    Analizzando quindi il contenuto della norma ne evidenziamo, come detto, le criticità.

    1a criticità: limitazione ai soggetti senza fine di lucro

    Innanzitutto, la norma si riferisce solo a a.s.d. o s.s.d. senza scopo di lucro. Una società con scopo di lucro, pertanto, non potrebbe essere beneficiaria di questa disposizione di affidamento di un impianto sportivo pubblico. Ciò se da un lato è comprensibile, stanti le indicazioni della legge delega di intervenire nell’ordinamento sportivo che, nel dilettantismo, comprende le s.s.d. e le a.s.d. soggetti senza scopo di lucro, dall’altro rappresenta una limitazione: consentire a soggetti con scopo di lucro, ivi comprese le società sportive professionistiche, di intervenire con propri capitali remunerati anche con la diretta partecipazione agli utili, potrebbe comportare una maggior numerosità di soggetti disposti ad investire nella gestione di un impianto sportivo, contribuendo al mantenimento degli impianti stessi in ottimale stato di conservazione e utilizzo

    2a criticità: si tratta di impianti “con” o “senza” rilevanza economica

    Da un lato  si ravvisa che il legislatore nell’art. 5 non abbia voluto proprio far riferimento alla tradizionale distinzione tra impianti “con” e impianti “senza” rilevanza economica.

    Secondo il Consiglio di Stato la distinzione tra servizi “economici” e “non economici”, come intesi nell’art. 164 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. 50/2016), “va letta alla stregua della terminologia delle fonti euro-unitarie, di modo che essa sta a differenziare i servizi remunerativi da quelli non remunerativi, vale a dire i servizi che abbiano o meno la possibilità di coprire i costi di gestione attraverso i corrispettivi dell’attività in ambito concorrenziale” (Consiglio di Stato, sez. V, 18.08.2021 n. 5915).

    La gestione degli impianti sportivi senza rilevanza economica è quindi quella che deve essere assistita dall’ente pubblico mediante un contributo finanziario, poiché la gestione non è in grado di sostenersi da sola. Quella degli impianti sportivi con rilevanza economica è invece quella che è in grado di “auto-sostenersi” e di produrre reddito (un margine positivo tra ricavi e costi).

    Da altro lato si evidenzia che dalla lettura dell’art.5 traspare come gli impianti oggetto di affidamento debbano produrre un margine positivo, rientrando in quanto tali tra gli impianti “con” rilevanza economica.

    Si corrobora la conclusione che gli impianti sportivi cui si riferisce l’art. 5 siano “con” rilevanza economica dal momento che l’affidamento è condizionato alla presentazione all’ente locale, sul cui territorio insiste l’impianto sportivo da rigenerare, riqualificare o ammodernare, di “un progetto preliminare accompagnato da un piano di fattibilità economico finanziaria per la rigenerazione, la riqualificazione e l’ammodernamento”.

    Ora, se si prevede l’obbligo di presentazione di un progetto di rigenerazione, riqualificazione e ammodernamento ne deriva che necessariamente sussiste un investimento.

    Se vi è un investimento iniziale, è necessario produrre nel tempo risultati positivi in grado di recuperare l’investimento iniziale.

    I risultati positivi provenienti dalla gestione dell’impianto stanno a rappresentare la capacità dell’impianto stesso di generare un utile o, nei termini espressi dal Consiglio di Stato, la sussistenza di servizi remunerativi, facendo quindi ricollocare l’impianto tra quelli “con” rilevanza economica. Il recupero degli investimenti potrebbe per la verità anche ottenersi con contributi in conto impianti a carico dell’ente concedente (sottoposti al limite del 49% di cui all’art. 183 del codice dei contratti pubblici?) o contributi in conto esercizio a carico dell’ente concedente finalizzati non solo a coprire i costi caratteristici di gestione per la parte che eccede i ricavi operativi, ma anche gli oneri finanziari derivanti dal rimborso dei finanziamenti ottenuti per sostenere l’investimento iniziale medesimo. E ciò potrebbe anche non essere sufficiente dovendosi assicurare non solo la copertura degli oneri finanziari (interessi passivi), ma anche della quota capitale della rata di mutuo secondo il piano di ammortamento del finanziamento ricevuto. Tuttavia in questo caso il contributo assume nella sostanza la veste di corrispettivo per il servizio ricevuto dal privato introducendo ad un’ipotesi di appalto di servizi, per il quale l’affidamento “diretto” non sembra l’istituto giuridico ortodosso, dovendosi invece rispettare i criteri di imparzialità della pubblica amministrazione perseguiti dal codice dei contratti pubblici citato, criteri garantiti solo dall’espletamento di una gara.

    3a criticità: l’affidamento “diretto” e l’imparzialità della pubblica amministrazione

    Tema collegato a quello della sostanziale necessità che l’impianto da affidare in gestione sia “con” rilevanza economica è quello riguardante la “gratuità” dell’affidamento e cioè la rinuncia dell’ente pubblico a richiedere un canone per la messa a disposizione dell’impianto al gestore privato.

    Da un punto di vista logico i due temi sono tra loro contrastanti: infatti se un impianto è “con” rilevanza economica e quindi produce risultati positivi perché l’affidamento dovrebbe escludere la corresponsione a carico del gestore privato di un canone all’ente pubblico concedente? Vero che la pubblica amministrazione potrebbe anche non richiedere un canone dando prevalenza all’obiettivo di una manutenzione dell’impianto che tenga l’impianto stesso in ottimo stato di conservazione, ma, a nostro avviso, qui l’assenza di un canone rischia di diventare elemento di censura più che di merito. Infatti, la “gratuità” si rinviene maggiormente nei casi di affidamento di un impianto che non produce un margine di redditività e quindi di un impianto “senza” rilevanza economica, affidamento che anzi possa prevedere anche un contributo pubblico a sostegno delle spese di gestione, come precedentemente evidenziato.

    Questa incoerenza non può che accentuare il distacco degli amministratori locali dall’applicazione concreta di questa normativa. L’imparzialità della pubblica amministrazione rappresenta uno dei capisaldi dell’azione amministrativa pubblica. Affidare “direttamente” un impianto pubblico ad un privato per la gestione, in mancanza di regole certe e condivise a livello nazionale e senza un confronto competitivo, specie se l’impianto produce utili di gestione, rappresenta un punto di debolezza per l’amministratore locale riguardo all’imparzialità della propria azione esponendo lo stesso amministratore a possibili ricorsi da parte di altri operatori esclusi dall’affidamento dell’impianto remunerativo, ed anche, appunto, alle censure da parte dagli organi di controllo, dai revisori dei conti degli enti locali alla corte dei conti.

    4a criticità: la documentazione da produrre

    Altro tema che non sembra andare nella direzione della semplificazione riguarda i due documenti richiesti dalla norma e cioè il “progetto preliminare” e l’accompagnante “piano di fattibilità economico finanziaria”, il cui contenuto minimo non viene codificato e, di fatto, demandato al singolo proponente concessionario.

    In merito al “progetto preliminare”, rileviamo che secondo il codice dei contratti pubblici la progettazione in materia di lavori pubblici si articola secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici in “progetto di fattibilità tecnica ed economica”, “progetto definitivo” e “progetto esecutivo” (art.23 del D.lgs. 50/2016 “Livelli della progettazione per gli appalti, per le concessioni di lavori nonché per i servizi”).

    Il “progetto preliminare” e l’accompagnante “piano di fattibilità economico finanziaria”, richiamati dall’art. 5 in commento, possono identificarsi con il “progetto di fattibilità tecnica ed economica” dell’art. 23 del codice dei contratti pubblici? Se la risposta è affermativa, perché sono state utilizzate espressioni differenti che possono ingenerare confusione nell’amministratore pubblico chiamato ad analizzare la documentazione presentata per l’affidamento diretto?

    Si faccia però attenzione che ai sensi del citato art. 23 del codice dei contratti pubblici “Nel progetto di fattibilità tecnica ed economica, il progettista sviluppa, nel rispetto del quadro esigenziale, tutte le indagini e gli studi necessari per la definizione degli aspetti di cui al comma 1, nonché gli elaborati grafici per l’individuazione delle caratteristiche dimensionali, volumetriche, tipologiche, funzionali e tecnologiche dei lavori da realizzare e le relative stime economiche, secondo le modalità previste nel regolamento di cui al comma 3, ivi compresa la scelta in merito alla possibile suddivisione in lotti funzionali.”.

    Si sta quindi in sostanza parlando solo di analisi tecnica demandata a figure professionali quali architetti, ingegneri, senza un’analisi economica e finanziaria correlata.

    Forse allora ci si riferiva all’abrogato art. 17 del dpr 5.10.2010 n.207 in cui si definiva il “progetto preliminare” quale progetto che “definisce le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire nel rispetto delle indicazioni del documento preliminare alla progettazione; evidenzia le aree impegnate, le relative eventuali fasce di rispetto e le occorrenti misure di salvaguardia, nonché le specifiche funzionali ed i limiti di spesa delle opere da realizzare, ivi compreso il limite di spesa per gli eventuali interventi e misure compensative dell’impatto territoriale e sociale e per le infrastrutture ed opere connesse, necessarie alla realizzazione” e che poteva comprendere anche un “quadro economico del progetto”.

    Anche l’espressione “piano di fattibilità economico finanziaria” non trova un puntuale riscontro nell’ordinamento vigente, che, invece, affida le analisi economico finanziarie ai “piani economico finanziari” (c.d. PEF- si vedano i ben 21 riferimenti nel citato codice dei contratti pubblici).

    L’assenza di un puntuale riscontro nell’ordinamento accentua quindi l’incertezza dell’amministratore pubblico oppure aumenta la complessità di analisi dipendente da eccessivi documenti raccolti per poter procedere all’affidamento diretto dell’impianto, documenti elaborati in assenza di specifiche linee guida o, appunto, riferimenti normativi chiari.

    In questo caso l’elemento di semplificazione diventa elemento di incertezza e può invece tornare davvero ad essere vera semplificazione con opportune aggiunte esplicative del legislatore riguardo al contenuto minimo che sia il “progetto preliminare” che il “piano di fattibilità economico finanziaria” devono avere.

    5a criticità: destinazione dell’impianto per aggregazione e inclusione

    Altro tema di criticità è l’indicazione della norma in commento che l’impianto richiesto in gestione dal privato venga utilizzato per favorire l’aggregazione e l’inclusione sociale e giovanile.

    È di tutta evidenza che questa destinazione d’uso dell’impianto sportivo si fondi solo su una progettualità dichiarata in idonee relazioni gestionali prospettiche, demandando poi di fatto allo stesso ente pubblico locale il costante monitoraggio sulla concreta attuazione dei proclami.

    Questa osservazione porta a soppesare il fatto che l’affidamento consista in un atto di “fiducia” dell’ente pubblico sull’impegno del gestore, fiducia che ridimensiona il suo valore considerando che l’aggregazione e l’inclusione sociale e giovanile rappresentano quasi sempre elementi intrinseci dell’utilizzo di impianti sportivi.

    In tal senso resta certamente quindi più complessa la verifica del rispetto dei progetti operativi ex post da parte dell’ente pubblico, piuttosto che la valutazione ex ante dei propositi aggregativi e inclusivi del potenziale gestore, limitando quindi la responsabilità dell’amministratore locale sulla scelta del gestore medesimo.

    6a criticità: la durata della concessione

    Ultimo tema invece di assoluta criticità è la determinazione della durata della concessione che, ai sensi della normativa citata, non può essere inferiore ad un quinquennio.

    La durata della concessione comporta un’alterazione delle regole “di mercato” laddove essa sia oltremodo prolungata, escludendo altri potenziali nuovi operatori dalla gestione dell’impianto.

    Contemporaneamente la durata incide sulla valutazione dell’azione imparziale dell’amministrazione, spostando l’ago verso una visione di “parzialità” laddove tale durata non risponda i requisiti di proporzionalità richiesti dall’art.5 in esame.

    Infatti, quest’ultimo prevede che la durata sia determinata in proporzione al valore dell’investimento: in altri termini, maggiore è l’investimento iniziale di rigenerazione, riqualificazione e ammodernamento e maggiore la durata della concessione.

    In tal senso giova ricordare che sussiste già una normativa che definisce la durata della concessione in modo certamente più articolato di quanto non faccia la disposizione contenuta nel decreto di riforma.

    Ci riferiamo all’art. 168 del codice dei contratti pubblici secondo cui “la durata massima della concessione non può essere superiore al periodo di tempo necessario al recupero degli investimenti da parte del concessionario individuato sulla base di criteri di ragionevolezza, insieme ad una remunerazione del capitale investito, tenuto conto degli investimenti necessari per conseguire gli obiettivi contrattuali specifici come risultante dal piano economico-finanziario. Gli investimenti presi in considerazione ai fini del calcolo comprendono quelli effettivamente sostenuti dal concessionario, sia quelli iniziali sia quelli in corso di concessione.”.

    Ora è di tutta evidenza che l’amministratore locale nel determinare la “durata” dell’affidamento in gestione ricorra all’applicazione dell’art. 168 dianzi riportato, stante l’assenza totale di altri chiarimenti da parte della normativa riformistica. Quest’ultima in tal senso pecca ancora di un eccesso di semplificazione che poi però si tramuta in “assenza” di semplificazione: se infatti la semplificazione consiste nell’eliminare parole e riferimenti che possano portare chiarimenti operativi, ben venga invece la “non” semplificazione.

    Le criticità dell’art. 5 del d.lgs 38/2021 di riforma dello sport per gli impianti sportivi in sintesi

    L’art. 5 del d.lgs. 38/2021 riguardante la disciplina dell’affidamento “diretto” a privati di impianti sportivi pubblici in via di introduzione (entrata in vigore dal 1°gennaio 2023) appare al momento di scarsa applicabilità soprattutto nell’ambito dell’operato degli amministratori pubblici per questi elementi:

    1. nella sostanza l’art. 5 sembra potersi riferire solo a impianti in grado di produrre una redditività per poter coprire gli investimenti iniziali richiesti dalla stessa normativa, escludendo invece tutti gli impianti non in grado di produrre redditività in quanto per il gestore sarebbe impossibile coprire le spese di investimento per l’ammodernamento/riqualificazione;
    2. si obbliga l’amministrazione locale a rinunciare ad un canone di affidamento (affidamento “gratuito”) pur trattandosi di impianti in grado di produrre redditività;
    3. non viene prevista una selezione, almeno in modo formale, trattandosi di affidamento “diretto” che può eseguirsi anche con l’individuazione di un solo soggetto privato;
    4. non sono ben definiti i documenti che devono essere prodotti all’ente pubblico sia dal punto di vista tecnico-progettuale che dal punto di vista economico-finanziario;
    5. non si stabiliscono con certezza le regole di determinazione della durata dell’affidamento, limitandosi la norma a fissare un criterio di proporzionalità al valore dell’investimento e non, ad esempio, al tempo di recupero dello stesso rilevabile da un completo piano economico finanziario (come previsto per le concessioni e i project financing dal codice dei contratti pubblici);
    6. la nuova disciplina della riforma non si coordina con le altre disposizioni di legge esistenti creando così difficoltà di individuazione della normativa prevalente o concretamente applicabile.

    Si ricordano in proposito, oltre all’intero codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs.50/2016, l’art. 90 della legge 27 dicembre 2002, n.289, commi 24, 25 e 26; l’art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, relativo alla possibilità di realizzare accordi fra le amministrazioni pubbliche, ivi compresi l’affidamento di impianti sportivi; l’art. 15 del decreto legge 25 novembre 2015, n. 185 “Misure urgenti per favorire la realizzazione di impianti sportivi nelle periferie urbane”; l’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, comma 304, “legge sugli stadi”.

    Da tutto quanto precede appare inevitabile la necessità di una revisione del d.lgs. 38/2021, che, come detto, è parte dell’impianto complessivo della riforma dello sport e riguardante uno dei pilastri per lo sviluppo futuro dello sport italiano quale quello dell’impiantistica sportiva, perché lo sport può arricchirsi sempre più di praticanti con tutti i benefici che ne derivano all’individuo e alla collettività, non solo ma certamente anche e soprattutto nei luoghi deputati a consentirne la pratica.

    1. Art. 5 d.lgs. 38/2021: “Le Associazioni e le Società Sportive senza fini di lucro possono presentare all’ente locale, sul cui territorio insiste l’impianto sportivo da rigenerare, riqualificare o ammodernare, un progetto preliminare accompagnato da un piano di fattibilità economico finanziaria per la rigenerazione, la riqualificazione e l’ammodernamento e per la successiva gestione con la previsione di un utilizzo teso a favorire l’aggregazione e l’inclusione sociale e giovanile. Se l’ente locale riconosce l’interesse pubblico del progetto, affida direttamente la gestione gratuita dell’impianto all’associazione o alla società sportiva per una durata proporzionalmente corrispondente al valore dell’intervento e comunque non inferiore a cinque anni” [↩]
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      Donato FORESTA
      Donato FORESTA
      Dottore Commercialista e Revisore dei Conti Master in Business Administration presso la SDA Bocconi di Milano. Socio fondatore della società 5IVE SPORT CONSULTING SRL per la consulenza per lo sviluppo dell'impiantistica sportiva in ambito di partenariato pubblico privato (project financing). Partner dello Studio Associato FRPA Veritax, dottori commercialisti. Docente della Scuola Regionale dello Sport del CONI Lombardia nei corsi di formazione per dirigenti sportivi; docente della 24 Business School de Il Sole 24 Ore nel Master in management dello sport nell’area di elaborazione di business plan per la costruzione e gestione di impianti sportivi; docente dell’Università degli studi Bicocca di Milano nel Master in diritto sportivo e Rapporti di Lavoro nello Sport. Dal 2019 è socio e componente del comitato di redazione della rivista on-line “Fiscosport”.

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