Introduzione
La finalità generale di questo lavoro è quella di fornire un quadro generale, della capacità del mercato del lavoro nel mondo Sportivo attraverso dati e informazioni tratti dalla ricerca sull’Occupazione nello Sport in Italia[1], e di analizzare la tipologia di contrattualistica, le normative fiscali e previdenziali vigenti applicabili al rapporto lavorativo sportivo.
L’evoluzione della professionalizzazione dello sport
Il rapporto di lavoro nel mondo dello sport coinvolge figure professionali tra loro molto diverse che possono andare dal manutentore di motori dei cantieri nautici, allo stalliere del centro ippico, dall’addetto alle pulizie della piscina, al biologo esperto in itticultura dei laghetti per pesca sportiva. Tutte figure professionali queste che difficilmente a prima vista potrebbero considerarsi facenti parte del mondo dello sport.
Occorre accantonare quindi, l’immagine che dello sport possano far parte soltanto, atleti, allenatori e istruttori. Affinché una manifestazione sportiva abbia un buon esito, o un centro fitness fornisca prestazioni adeguate sono necessarie molte altre professionalità, certamente prevalenti in termini quantitativi rispetto alle tradizionali figure dello sport.
Sono complessivamente 800 mila gli europei che lavorano nello sport, come professionisti dell’attività fisica, istruttori, ma anche lavoratori occupati nell’industria manifatturiera e del tempo libero e in tutte le realtà che compongono la “filiera” dello sport. Un numero di addetti quasi triplicato negli ultimi vent’anni e che vede l’Italia al quinto posto nell’Unione Europea a 25, con 48.802 lavoratori, dopo il Regno Unito (che con i suoi 269.872 assorbe un terzo dell’occupazione totale),
I dati emergono da un volume promosso dall’Ilo che allo sviluppo dell’occupazione e dell’integrazione sociale, in particolare quella giovanile, con lo sport ha dedicato un programma specifico, nell’ambito del più ampio progetto “Universitas” a sostegno di un lavoro decente attraverso formazione e innovazione.
Secondo i dati illustrati nel volume da Jean Camy, sociologo all’Università di Lione e fondatore dell’Osservatorio Europeo dell’Impiego nello Sport, i lavoratori “sportivi” sono circa 50 mila, nel
Lo sport dà lavoro anche attraverso il suo indotto, con una ricaduta occupazionale difficilmente stimabile. Sono legate al settore, infatti, tutte le imprese specializzate nella costruzione d’impianti e attrezzature sportive, come palestre e piscine, ma anche nell’industri manifatturiera che produce gli equipaggiamenti utilizzati, dai capi di abbigliamento alle calzature, dalle racchette agli sci. Un comparto in cui la concorrenza dell’Asia si fa sentire sempre di più. C’è, poi, tutto il settore della formazione, che comprende gli insegnanti di educazione fisica nelle scuole, ma anche nelle università e negli studi superiori. Coinvolto, nella filiera dello sport, anche il personale sanitario e in particolare quello specializzato in ortopedia, fisioterapia e riabilitazione.
E’ opportuno sottolineare inizialmente che, malgrado la plurisecolare storia dello sport, il mercato del lavoro sportivo costituisce una scoperta piuttosto recente, essendo entrato nel focus dell’attenzione degli addetti ai lavori solo con l’inizio degli anni ’90.
Prima di allora, l’interesse era stato piuttosto ridotto ed episodico, da un lato per la modesta dimensione del settore in termini occupazionali e per la sua ridotta dinamica, dall’altro per la prevalenza di servizi erogati da un volontariato piuttosto tradizionale, e anche per la ridotta segmentazione del mercato e il ristretto numero di “mestieri” che esso includeva. Con l’accelerazione dei processi di cambiamento negli anni ’80 e ’90, si manifesta una sostanziale ristrutturazione del settore, contraddistinta da un mutamento dei rapporti tra gli attori, una notevolissima crescita della domanda, dalla diffusione e diversificazione delle infrastrutture, nonché dalla moltiplicazione delle forme e delle occasioni di pratica. Tutto ciò ha incrementato l’importanza sociale ed economica dello sport (sia da parte degli enti locali, che delle aziende e delle famiglie) innescando fenomeni di commercializzazione di segmentazione non solo del mercato, ma anche dell’offerta, un processo di specializzazione e di professionalizzazione degli operatori e delle organizzazioni del settore.
Ai possibili rapporti di lavoro nel mondo dello sport si applicano tutte le norme civilistiche, contrattuali, previdenziali e fiscali atte a regolarne il corretto funzionamento in ogni altro settore della vita sociale ed economica il rapporto di lavoro assume la medesima configurazione giuridica indipendentemente dall’ambito imprenditoriale o meno in cui il lavoratore si trova ad operare.
Quindi, se sussiste una prestazione lavorativa in ambito sportivo, questa deve essere inquadrata, regolamentata e gestita sulla base delle norme che regolano il rapporto di lavoro più in generale.
Data la complessità e i rapidi mutamenti in corso nel settore sportivo, è necessario fornire:
a) la definizione del concetto “sport”, indispensabile per chiarire che cosa si intende per mercato del lavoro sportivo;
b) la definizione delle attività economiche e delle professioni dello sport per potere stabilire con validità il reale peso e le tendenze nel settore.
La definizione di sport usata come riferimento è quella dell’art. 2 della Carta Europea dello Sport, (Consiglio d’Europa), intendendo qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o meno, abbia per obiettivo l’espressione e il miglioramento della condizione fisica e mentale, promuovendo la socializzazione e/o con il conseguimento di risultati in competizioni a tutti i livelli; per la definizione delle attività economiche e delle professioni è stato adottato il modello EOSE[2] , che differenzia quelle sportive in senso stretto e quelle correlate allo sport.
Questo modello, a sua volta, si basa sulla Nomenclatura delle Attività Economiche della Comunità Europea e sulla classificazione ISCO-COM delle professioni sportive.
Tenendo conto dei sistemi statistici ufficiali e dei più accreditati approcci metodologici al mercato del lavoro sportivo, tra le attività economiche di tipo sportivo in senso stretto vanno incluse:
– la gestione degli impianti e delle infrastrutture sportive;
– la supervisione, l’organizzazione e la promozione delle attività sportive, condotta per lo più da club e organizzazioni affiliate alle federazioni nazionali, ad enti di promozione, ad altre federazioni non riconosciute dal CONI o da organizzazioni di carattere privato.
All’intero del settore sportivo propriamente detto è possibile differenziare quattro sottogruppi fondamentali:
1. Lo sport professionistico o sport spettacolo, che si è largamente sviluppato negli ultimi venti anni, più in termini di valore economico che occupazionale (non copre infatti più del 5-6% del totale degli impieghi del settore) vero e proprio.
2. Lo sport agonistico federale non professionistico che corrisponde in sostanza alle attività organizzate dal movimento associativo federale, che incorpora l’attività dei club dilettantistici, che sono poco meno di 70.000 attualmente in Italia (CONI 2001). Circa il 5,3% (poco più di 2 milioni e mezzo di persone) della popolazione Italiana[3] di oltre 3 anni d’età, usufruisce servizi resi da questo gruppo di organizzazioni.
3. Lo sport informale, di tempo libero e le attività di fitness organizzati in parte da associazioni o imprese private presso appositi impianti o svolti individualmente all’aperto o comunque in impianti aperti al pubblico. In numerosi casi queste attività vengono svolte in maniera informale (ovvero senza alcun tesseramento) e addirittura autoprodotte dai partecipanti. In totale si tratta di circa il 19% della popolazione italiana (oltre 10 milioni di persone) e si tratta delle attività che dal punto di vista della partecipazione crescono ad un ritmo particolarmente elevato.
4. Lo sport per gruppi speciali di popolazione (sport adattato). Si tratta di uno sport con una potente funzione di integrazione della popolazione che interessa in modo crescente anziani, disabili, emarginati, minoranze.
Oltre a questi quattro settori delle attività economiche di tipo sportivo in senso stretto, attorno allo sport si è sviluppato un settore significativo di attività correlate allo sport che includono organizzazioni che operano in ambiti come il giornalismo sportivo, medicina dello sport, fisioterapia, costruzione di impianti sportivi, produzione di materiali sportivi, istituzioni educative rilevanti per il settore (università, scuole) etc. Si tratta di attività e servizi indispensabili per il funzionamento e lo sviluppo di tutte le organizzazioni che operano nel settore sportivo, inteso in senso stretto
Le professioni dello sport
Nell’ambito del settore economico sportivo o correlato allo sport possono essere individuati numerosi mestieri o professioni. Sempre facendo riferimento alla metodologia citata in precedenza, le professioni di carattere sportivo in senso stretto sono le seguenti:
– atleti professionisti che pervengono a questa condizione professionale sulla base delle loro abilità sportive e che sono presenti in modo significativo in un numero abbastanza ristretto di attività sportive (in Italia calcio, ciclismo, basket maschile, ecc. ma solo per le attività di altissimo livello),
– “arbitri e ufficiali di gara”, che supervisionano le attività competitive. Solo nel calcio si può parlare in modo significativo di professionisti che fanno dell’arbitraggio un’occupazione;
– istruttori sportivi, che insegnano una (talvolta più di una) specifica attività sportiva a gruppi di persone che partono da zero o vogliono migliorare le loro abilità;
– allenatori responsabili per la preparazione e la guida sistematica in un singolo sport;
– animatori sportivi o istruttori di gruppi specifici di popolazione (giovani, anziani, disabili), che operano presso organizzazioni di diversa natura (pubblica, privata e non profit) con diverse forme di rapporto di lavoro.
La differenziazione tra le ultime tre categorie non è sempre nettissima e nei fatti sono piuttosto numerosi i soggetti che esercitano contemporaneamente o in successione stagionale attività che possono essere riferite a più di una delle categorie precedenti.
Oltre a questi mestieri dello sport in senso stretto (come tali denominati dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro e accolti nelle Classificazioni Ufficiali delle Professioni di una larga parte dei paesi Europei), si possono identificare numerosi altri mestieri o professioni collegati allo sport (manager sportivi, insegnanti scolastici, giornalisti sportivi, psicologi dello sport, architetti specializzati in installazioni sportive), caratterizzati da una preparazione professionale o un itinerario legato allo sport, ma la cui base di competenze professionali è riferibile ad altri ambiti (medicina, psicologia, giornalismo, educazione, etc.) e che quindi in alcune circostanze presentano formazioni o itinerari di accesso alla carriera sufficientemente istituzionalizzati, e talvolta specifiche organizzazioni professionali, norme o codici deontologici.
Le professioni del fitness
Gli operatori del fitness sono circa 21.000 e operano in oltre 7.000 palestre e centri fitness e circa 6200 centri per il benessere[4]. La quasi totalità di questi operatori è remunerata, anche se con forme estremamente variabili di rapporto di lavoro (che include i contratti di collaborazione continuata e coordinata; lavoro dipendente part-time o full time, ma anche rapporti non regolarizzati). Negli ultimi anni il numero di palestre private esistenti in Italia non è aumentato, anche se mediamente l’offerta di servizi è aumentata per effetto della crescente concentrazione del settore e dell’affermazione crescente di imprese di dimensioni maggiori. La maggior parte delle aziende del settore peraltro mantiene dimensioni ridotte.
Le professioni del turismo sportivo
Si tratta di un settore in notevole espansione (8 milioni di clienti in Italia con incrementi annui di volume d’affari compresi tra il 5 e l’8% all’anno), caratterizzato da una crescente integrazione tra aziende del settore turistico in senso stretto e professionalità caratterizzate da una significativa esperienza sportiva. Più raramente anche se in modo sempre più visibile, alcune organizzazioni del settore sportivo, stanno sviluppando modelli di servizi di carattere turistico-sportivo. Si tratta di aziende con dimensioni di natura variabile, ovviamente fortemente caratterizzate in senso geografico e stagionale.
Lo sviluppo di questa tipologia di servizi, accanto a quelli più orientati alle attività di benessere e fitness, spiega gli alti tassi di incremento degli operatori tecnici in sport come l’equitazione, la vela, il golf, il tiro con l’arco (tassi piuttosto elevati non sempre accompagnati da un analogo incremento del numero delle società sportive affiliate alle rispettive federazioni).
Le professioni del management sportivo
Si tratta di una gamma assai diversificata di attività professionali che si occupano della gestione delle organizzazioni sportive e degli impianti, della promozione e del marketing, della gestione degli atleti. Si tratta di ambiti in espansione con opportunità crescenti soprattutto nel settore privato e in quel segmento di attività non-profit capace di professionalizzarsi e di agire in modo più concorrenziale sul mercato.
Le notevoli differenze di impatto occupazionale tra il mercato del lavoro sportivo tra paesi come l’Italia e l’Inghilterra si evidenzia soprattutto nei termini del peso delle attività manageriali, strettamente legate al lancio di azioni imprenditoriali specifiche ed innovative.
Accesso e formazione per le professioni in sport
Le professioni sportive in Italia, rientrano quasi sempre nell’ambito delle professioni non regolamentate, con la sola eccezione dei maestri di sci e delle guide alpine (professioni regolate in virtù della legge 81/91 e 6/89).
Le direttive europee sulle professioni regolamentate si applicano quindi ad un numero assai ristretto di professioni; alle attività svolte dagli allenatori e dagli istruttori sportivi, essendo subordinate comunque al possesso di una qualifica rilasciata dalle federazioni sportive[5] si applica tuttavia la direttiva europea 92/51 che peraltro è finalizzata alla libera circolazione dei lavoratori. I titoli di qualificazione sportiva rilasciati dalle federazioni sportive nazionali rientrano infatti nell’ambito applicativo di questa direttiva dato che queste organizzazioni sono state formalmente incaricate di svolgere tale funzione.
Malgrado la mancanza di normative specifiche per la maggior parte delle professioni Sportive, è abbastanza infrequente in Italia che attività di carattere professionale in questo settore vengano svolte da soggetti privi di una qualche formazione specifica o di una qualifica rilasciata da un ente sportivo.
In Italia come nella maggior parte altri paesi europei esistono quattro agenzie di base per la formazione delle professioni nello sport:
Æ Gli ISEF (fino alla primavera 2002 per i corsi avviati nell’anno accademico 1997-1998) e le Università a partire dall’anno accademico 1998-1999 (per le nuove immatricolazioni);
Æ Le organizzazioni sportive collegate al CONI (Federazioni, EPS, DSA e lo stesso CONI con le sue strutture centrali e periferiche di formazione).
Æ Gli enti locali.
Æ Le organizzazioni professionali.
Come in altri paesi Europei, l’impatto delle formazioni accademiche sui mestieri dello sport è ancora limitato, ma certamente in crescita: in Francia e Gran Bretagna dal 7 al 9% degli occupati hanno una formazione accademica con valori in crescita rispetto al passato. In Germania, che vanta una notevole tradizione nel settore la maggioranza dei laureati viene assorbita dal sistema scolastico, il resto nel settore della salute/benessere e del tempo libero e solo una minoranza nel settore dello sport competitivo (Hartmann e Mertes 2000). In Belgio, si rileva una forte diaspora dei laureati verso professioni che mantengono rapporti piuttosto limitati con il settore sport[6].
Peraltro il possesso di un titolo universitario rappresenta un notevole vantaggio in alcuni paesi per ricoprire i ruoli e gli incarichi più elevati a livello tecnico e amministrativo nelle federazioni sportive nazionali, ma questo effetto non è dovuto ad una condizione d’accesso regolamentata ma al libero gioco delle forze di mercato. Ovunque in Europa si è sviluppato un percorso caratterizzato da “bi-formazioni”, ovvero la partecipazione da parte di coloro che vogliono lavorare nel settore sia a percorsi formativi accademici che a percorsi professionalizzanti, nell’ambito dell’offerta formativa delle federazioni o di altre strutture pubbliche o private. Resta evidente che la massimizzazione delle opportunità di trovare occupazione e sviluppare una carriera nel settore dipende primariamente dall’esperienza e talvolta anche dai successi sportivi personali, che si concretizzano in itinerari effettivi realizzati in campo di 10-15 anni e oltre.
Le informazioni disponibili e le ricerche condotte mostrano che – qualunque sia l’agenzia di formazione presa in considerazione, la relazione tra formazione e occupazione sportiva in Italia è estremamente debole a causa di una netta discrepanza tra i contenuti e le prassi formative e le abilità realmente richieste sul mercato del lavoro. Oltre a ciò il tasso di disoccupazione nel settore, computato sui dati relativi ai diplomati ISEF (pari al 21,5%), gli unici per il momento effettivamente disponibili, appare più che doppio rispetto a quello medio delle facoltà universitarie nello stesso periodo, confermando la debolezza del fit tra preparazione professionale e esigenze del mercato del lavoro. Questa è evidentemente una delle sfide principali che le nuove facoltà universitarie devono necessariamente attrezzarsi per risolvere, con un continuo confronto con gli ambienti professionali.
A tal proposito inoltre ancora del tutto in Italia nel settore sport, una significativa presenza delle parti sociali (datori di lavoro e associazioni professionali) nella definizione e riconoscimento delle qualifiche occupazionali, a differenza di quanto avviene in altri paesi Europei, soprattutto in Francia, Svezia e Olanda, paesi in cui non soltanto i trattamenti retributivi, ma anche gli aspetti legati alla formazione degli operatori vengono presi in considerazione nell’ambito della contrattazione collettiva.
Trend futuri e nuovi mestieri
Negli ultimi anni non c‘è stato soltanto un significativo aumento dell’occupazione nello sport in Italia, ma anche la comparsa e la strutturazione di nuove professioni in questo settore, con profili particolarmente interessanti. Le figure degli operatori di sport si sono certamente diversificate a seguito del processo di modernizzazione e di razionalizzazione che ha investito lo sport fin dagli inizi del secolo e che ha assunto ritmi e proporzioni più significative nell’ultimo trentennio. Tale processo è caratterizzato dalla specializzazione crescente dei ruoli. Si sono così sovrapposte o interrelate nuove figure alle tre figure tradizionali del contesto sportivo che erano emerse già nei primi trent’anni del secolo (l’allenatore, il dirigente e l’ufficiale di gara).
Sviluppare la rete tra operatori del settore, migliorare la qualità dell’occupazione costruendo un sistema professionalizzato, rafforzare il legame tra formazione e lavoro e la possibilità di un’integrazione lavorativa e sociale attraverso lo sport. Queste sembrano essere le ‘ricette’ per creare un modello europeo dello sport, con l’obiettivo di avvicinare i giovani allo sport, favorendone l’integrazione sociale e creando occasioni di impiego e di qualificazione professionale.
[1] “Sport Employment in Europe”, realizzato dallo EOSE, European Observatoire for Sport Employment, per conto della DG X della Commissione Europea con l’adattamento realizzato da Alberto Madella della Scuola dello Sport CONI, componente del Gruppo di Ricerca dell’EOSE e da un volume promosso dall’ILO – Organizzazione internazionale del Lavoro – a cura di Giovanni di Cola, nonché dalla Carta Sportiva Europea del Consiglio d’Europa.
[2] Camy , 1999
[3] elaborazione OPOS su dati Compass 1999, 2002
[4] elaborazione OPOS su fonte FIIS 2001, e Seat
[5] legge istitutiva CONI e D.L. 242/99
[6] Taks,. 2000